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mercoledì 1 aprile 2020

LE “SPORE” IN CAMMINO DI ANGELO GACCIONE
di Filippo Ravizza

Filippo Ravizza


Sei vecchio
 gli disse l’uomo,

 “credi di mangiarne i frutti?”

Oh!” gli rispose il vecchio,
non è per me che pianto,
non è per me.

Inizio queste righe dedicate alla raccolta di poesie di Angelo Gaccione (Spore, Interlinea, Novara, 2020) con la citazione integrale di uno dei primissimi testi (il secondo, per la precisione) che compongono questa raccolta. Inizio da lì e da lì comincio a ragionare su questo illuminante libretto (il diminutivo è collegato esclusivamente al fatto concreto che i titoli di Interlinea spesso si materializzino in volumi di piccolo formato, 16 x 12, a voler essere precisi) perché da questa prima poesia parte il cammino che si dipana lungo due sezioni di distici prima prevalentemente epigrammatici e poi prevalentemente elegiaci; 66 composizioni, 65 poetiche e una invece sostanziata in una piccola intensissima prosa (pagina 77); ‘Per il verso giusto’ la prima sezione, composta di 57 testi, tutti rigorosamente privi di titolo, ma numerati, ‘La presenza dei morti’ la seconda: anche qui volutamente nessun titolo, ma la soluzione anche qui di una salda concatenazione numerica (da 1 a 9) a collegare strettamente l’intero cammino concettuale del libro. Così i versi di Gaccione disegnano un sentiero articolato in 66 stazioni concettuali in progressivo e costante movimento, finalizzato ad aprire, sviluppare e infine chiudere una ampia riflessione sul destino e sul mondo, sul significato possibile del nostro esserci, alla luce però anche di una lucida consapevolezza dello iato sempre amplissimo tra idea e realtà, tra l’idea e la possibilità dell’azione che invera l’idea, la fa diventare, in rari felici casi, vera. Le spore nel regno vegetale sono cellule riproduttrici, hanno la caratteristica di germinare, cioè produrre nuovi individui; tra i batteri le spore invece servono a resistere in condizioni avverse. Comunque le spore in entrambi i casi hanno la capacità di disperdersi nell’ambiente germinando. Queste, mi pare di poter dire, sono le “spore” di Gaccione: componimenti che vogliono resistere, e vogliono disperdersi tra noi, e vogliono creare nuove situazioni. Il nostro autore, dal canto suo, lo dichiara sin dalla seconda sua poesia, facendo appello ai ricordi e alla saggezza contadina della sua natia Calabria (anche se da oltre quarant’anni ormai egli vive a Milano). Mi piace immaginare che il vecchio del testo posto ad esergo di queste note sia il nonno contadino più volte citato da Angelo, il nonno che risponde, a chi gli chiede perché si ostina a coltivare piante di cui non potrà mangiare i frutti: “non è per me che pianto, / non è per me”. 
Spostiamoci ora con un ampio balzo (ma poi torneremo “nel mezzo del cammino”) all’ultima poesia del libro, la numero 9 della sezione seconda, ‘La presenza dei morti’:

Ho consegnato il testimone a te, figlia,
e mi ricorderai.

Tu lo hai consegnato alla tua,
e ti ricorderà.

Ecco, qui c’è il senso più vero di questo lungo cammino, senso che si dichiara mettendo in relazione al titolo del libro, la poesia numero 2 de ‘Per il giusto verso’ e la numero 9, l’ultima, scritta qui sopra, de ‘La presenza dei morti’: Gaccione ha tentato, riuscendoci bravamente, una serie di riflessioni sapienziali, sociali, storiche, sulla consistenza del nostro essere-nel-mondo; riflettendo sulle verità delle generazioni precedenti e su quelle della nostra, cercando di indicare, come lascito alle generazioni che verranno, lacerti di autenticità. Compito radicale-fondativo che Angelo non teme di assegnare alla propria scrittura, così come dovrebbe avere il coraggio di fare ciascuno scrittore, ciascun poeta.
L’interno del suo viaggio, l’interno del libro, si avvale di una cornucopia di strumenti tattico-stilistici: l’epigramma si è detto, soprattutto nella prima delle due sezioni, con la sua brevitas e la sua capacità di colpire il lettore con la forza dell’ironia o con la gravità della sentenza sapienziale, registri entrambi usati con maestria dal nostro autore. Ma anche il paradosso, il colpo di teatro (Gaccione è anche un noto drammaturgo, ha pubblicato tutto il suo lavoro per la scena in un unico volume “Ostaggi a teatro. Testi teatrali 1985-2007” non molti anni fa), infine il respiro concettuale dell’aforisma.
Qui di seguito il componimento numero 25, a pagina 33, nella prima sezione, bell’esempio della forza fulminea e categorica delle sentenze finali di alcuni di questi testi:

Barabba! Barabba!
gridava la folla.

È sempre l’innocenza
che spaventa il delitto.

Sul versante del paradosso valga per tutti a mo’ di esempio il testo numero 20, a pagina 30, sempre della prima sezione: 

All’uomo! All’uomo!
Gridò il lupo.

E non fu il solo
a prendere la via del bosco.

Non posso chiudere queste riflessioni senza dire qualche cosa, dare qualche traccia, anche sulla splendida seconda, breve (9 testi, abbiamo detto) ultima sezione, ‘La presenza dei morti’. Qui l’ironia e l’irta categoricità dell’epigramma vengono abbandonate a favore di una commozione evocativa, carica di fremente empatia. Qui il nostro autore rammenta il nonno, il padre, la madre, il paese e il territorio che gli hanno dato i natali. Qui si delinea definitivamente quel passaggio di conoscenza sapienziale da una generazione all’altra che è una delle colonne portanti, caposaldo di questo volume. A me poi, sin dal titolo, è venuto subito in mente un nome: Giovanni Pascoli; non stupisca questo accostamento tra un autore, Pascoli, che benché modernissimo nella sua epoca, traghettatore della poesia italiana dall’Ottocento al Novecento, possa apparire oggi “antico” e il nostro autore: al di là delle naturali profonde differenze di stile e visione del mondo, simile è il rapporto con i morti, simile la forza evocativa messa in campo; Angelo lo dimostra sin dalla prima poesia di questa ultima parte, a pagina 71:

È sorprendente quanto siano vive,
le cose appartenute ai morti.

Non è solo il maglione,
rimasto ripiegato sul divano,
o la vestaglia appesa alla parete.

Mio padre la vede muoversi in giardino,
e ravvivare il fuoco del camino.

Le parla spesso, dice, e lei risponde.
E per quanto incredibile, gli credo.

Oppure (lo dimostra) la penultima poesia, la numero 8 di pagina 78, in questa seconda e ultima sezione, quella subito prima del testo di chiusura, il testo della consegna alla figlia del testimone, con cui termina questo viaggio; questa penultima poesia invece è dedicata al padre:

Di te, non voglio che ricordare il lutto
che mi ha reso orfano.

Il vuoto che ho provato all’improvviso,
d’essere solo al mondo.

Ero padre anch’io,
ma me ne accorsi,
quando persi te.

Queste “spore” di Gaccione, al termine della lettura, benché disseminate e distribuite su una superficie concettuale vastissima, alla fine appaiono al lettore rinserrarsi in sé, acquisire nettezza e carattere, senza perdere duttilità e apertura: disegnano il tracciato di un ben connotato e riconoscibile, preciso cammino.

  
La copertina del libro
                                                                                

Angelo Gaccione  
Spore
Introduzione di Alessandro Zaccuri
con una nota di Lella Costa
Interlinea, 2020,
Pagine 90 € 12,00