di Giorgio Riolo
Giorgio Riolo |
Il sistema-mondo, il neoliberismo e il malsviluppo
alla luce della pandemia. Il Covid-19 come catalizzatore-rivelatore di
come funziona il mondo. Alcune considerazioni e alcune alternative.
“La solidarietà è la cura.
La giustizia sociale è il vaccino”.
Transnational Institute
Prima parte
1. Alcune premesse metodologiche
Grafica di Giuseppe Denti |
Molti
contributi, analisi e proposte, attorno alla pandemia e alla crisi in atto si
sono prodotti nel mondo. Il pensiero nella sinistra mondiale è stato ed è
ricco, fecondo di proposte. Ha delineato scenari, prospettive e alternative. La
presente svolta storica avrà conseguenze di enorme portata.
La dialettica è materia scolastica, filosofica
propriamente. L’attuale preoccupante passaggio storico mostra in modo perfetto
cos’è questa cosa. Così ostica per l’intelletto comune, per il normale pensiero
della vita quotidiana.
La deforestazione, la manomissione e la manipolazione
di ecosistemi delicati e gli enormi allevamenti intensivi di animali per
l’alimentazione umana (suini, polli, bovini ecc.) sono all’origine del sorgere
e del mutare di virus patogeni nuovi per gli esseri umani. Come è avvenuto nel
recente passato per lo Hiv, Ebola, l’influenza suina, l’influenza aviaria, la
Sars e la Mers. La recente pandemia Covid-19 da Sars-CoV-2 rientra in questa
fenomenologia.
Fenomeni della ecopredazione ai fini
dell’accumulazione e del profitto sfociano processualmente in un fenomeno
sanitario esplosivo. La pandemia non è destino cinico e baro. Era annunciata. È
il risultato della logica perversa del sistema.
La sua enorme diffusione su scala mondiale, la
mortalità indotta, l’enorme impatto sui vari sistemi sanitari, esistenti o non
esistenti, come in molte aree del Sud del mondo, le gravi conseguenze
economiche e sociali in corso, la messa in discussione degli assetti
democratici e politici e della convivenza umana costituiscono un fenomeno
inedito rispetto alle precedenti crisi sanitarie e alle precedenti crisi
economiche.
Dimostrano in modo inequivocabile come oggi, nella
nuova globalizzazione-mondializzazione in atto, siano ancor più vertiginose
l’interazione, l’interdipendenza, i reciproci influssi dei vari momenti
dell’intero storico-sociale, del sistema-mondo capitalistico, come insieme
multidimensionale e multifattoriale.
L’economico, il politico, il sociale, il culturale,
l’antropologico, l’etico, il religioso-spirituale ecc. interagiscono localmente
e nel rapporto Nord-Sud del mondo. Ma interagiscono con l’altro fattore
fondamentale, il fondamento di tutto, tenuto spesso colpevolmente fuori dalla
considerazione. È la costituzione materiale del pianeta. La natura e
l’ambiente.
David Harvey parlava di violenta “compressione
spazio-temporale” del pianeta con il dispiegarsi del capitalismo. La
vertiginosa integrazione e interazione delle aree del pianeta, l'accelerazione
vertiginosa di tutte le transazioni umane ed economiche hanno compresso tempo e
spazio dell'esperienza umana. Il capitalismo ha messo la febbre al pianeta,
agli ecosistemi e agli esseri umani che lo abitano. Oggi su scala sempre più
impressionante.
Il capitalismo è “smisurato” proprio perché non si
pone limiti, nell'accumulazione, nella produzione, nella valorizzazione come
fine in sé. I limiti debbono essere posti o si impongono in modo “naturale” (il
limite fisico-materiale del pianeta) o in modo “artificiale”, per mezzo del
limite posto dai gruppi umani che a questo stato di cose si oppongono.
Oggi più che mai si palesano i nefasti effetti del
neoliberismo e della retorica del mercato autoregolatore, della retorica del
“privato”, sempre contrapposto al “pubblico” e al ruolo dello Stato, della
retorica dello “individuo”, sempre contrapposto al “collettivo”, alla
“comunità”, al sociale.
Il Covid-19 ha svolto e svolge la funzione di
catalizzatore-rivelatore del sistema-mondo contemporaneo.
Ha svelato impietosamente il malsviluppo, la
diseguaglianza, le discriminazioni sociali, di classe, di razza, di genere, il
rapporto di predazione nei confronti della natura, il prometeismo insito nella
concezione della natura come fondo da cui attingere smisuratamente,
illimitatamente.
Ha svelato i nefasti effetti, ma anche la bancarotta
totale del neoliberismo, del privato, dell’individuo, del narcisismo
consumistico nel Nord del mondo. Solo che questo, che è nella realtà, e che è
nella coscienza delle forze antisistema o semplicemente nella testa di chi in
questa società possiede un minimo di spirito critico, per farlo valere nella
coscienza diffusa della società e della storia, abbisogna del movimento reale,
del conflitto, della lotta. Non è autoevidente. Le classi dominanti, i
dominanti, chi ha potere continuerebbero tranquillamente come per l’innanzi, se
non ci fossero i senzapotere a imporre loro l’evidenza dello stato del mondo e
della necessità che occorre cambiare. Che così non va.
Sono ormai 40 anni di dominio del capitalismo
neoliberista, a partire dal 1980, i “quaranta gloriosi” per i dominanti, per le
oligarchie finanziarie e industriali, per le multinazionali, per la
redistribuzione della ricchezza all’inverso, dal basso verso l’alto, dopo i “trenta
gloriosi”, 1945-1975 circa, del “compromesso socialdemocratico”, grazie alla
vittoria sul nazifascismo. Il quale, tra alterne vicende, ha garantito stato
sociale, welfare e democrazia in Europa e
decolonizzazione ed emancipazione nel Sud del mondo.
L’attuale stato delle cose dimostra come si sia in
presenza di una svolta storica e che occorra un ripensamento globale del
sistema-mondo nel suo svolgersi e nel suo modello di sviluppo.
Ricordiamo la triade. Capitalismo,
colonialismo-imperialismo, patriarcato. Ricordiamo che il capitalismo è
processo organico, che tutto ingloba, che tutto metabolizza. Polarizzante,
gerarchizzante, asimmetrico. Che ha orrore del vuoto.
Abbiamo sempre detto che nel capitalismo “tutto si
tiene”. Così è nel compito dell’analisi e nella presa di coscienza e così dovrà
essere nelle proposte, nelle alternative che riteniamo necessarie. Come
movimenti antisistemici e come eredi della tradizione delle ragioni storiche
del movimento operaio, socialista e comunista, del movimento ambientalista, del
movimento delle donne, del movimento contadino, delle classi e dei soggetti
subalterni in generale.
In tutto ciò risaltano le ragioni dei Forum Sociali
Mondiali e del coevo movimento altermondialista tra fine Novecento e inizi del
nuovo millennio. Oltre la retorica e la metafisica che spesso hanno
accompagnato questi importanti fenomeni del nostro tempo, purtroppo oggi in
crisi, nella parabola discendente dopo una esaltante prima fase di sviluppo.
In questa premessa metodologica è il luogo per richiamare
studiosi e attivisti, molto presenti nei Fsm e nel movimento altermondialista.
Essi ci hanno aiutato a comprendere il mondo e a ispirarci nel movimento reale
per cambiare le cose. Due sono viventi, e hanno scritto cose importanti
sull’attuale pandemia, il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos, la
scrittrice e attivista indiana Arundhati Roy. Gli altri recentemente scomparsi.
Samir Amin, François Houtart, Immanuel Wallerstein, Eduardo Galeano, José
Saramago. Altri e altre, come David Harvey, Vandana Shiva e Leonardo Boff, si
possono naturalmente aggiungere a queste figure.
Infine una menzione particolare. Si tratta di Gaël
Giraud, gesuita francese, valente economista, autore di uno scritto importante
sulla pandemia e sulle alternative necessarie per l’uscita dalla crisi.
2. La crisi e le crisi
La crisi attuale, con le sue peculiarità, si può
considerare come uno stadio particolare nella lunga crisi iniziata nel
2007-2008. Crisi economica in primo luogo, ma è in realtà una crisi sistemica,
una crisi complessiva. La Teologia della Liberazione parla da molto tempo di
“crisi di civiltà”.
È al contempo crisi economica, con in gioco la
giustizia sociale, e crisi ecologica, con in gioco la giustizia climatica, come
manifestazione più ampia della crisi ecologica, coinvolgendo popoli, classi,
soggetti delle periferie del mondo alle prese con gli effetti nefasti del
riscaldamento globale, causato soprattutto dalle emissioni di gas serra nei
centri capitalistici. È anche crisi culturale, con il disorientamento e la
perdita di valori di riferimento nella cosiddetta “fine delle ideologie”. In
realtà con l’imperio dell’ideologia e della filosofia complessiva del
capitalismo maturo. Con i valori dominanti del consumo, dell’individualismo,
della competizione ecc.
Nella storia del capitalismo le crisi hanno svolto il
ruolo di impulso alla trasformazione e a cambiamenti profondi nella sua logica
di funzionamento. Nella accezione medica, greca, del termine, punto di svolta
di un organismo malato. Si parla di transizione intrasistemica, perché sempre
di sistema capitalistico si tratta. Ma le precedenti crisi, soprattutto la
“grande depressione” del 1873-1896 e il “grande crollo” del 1929, non
comportavano una transizione ecologica, una trasformazione nel paradigma
ambientale. Il tutto si risolveva, come esito, in nuova organizzazione nella
produzione, in nuove tecnologie e macchine e nuovo paradigma energetico, nei
nuovi assetti proprietari, in nuova regolazione sociale ecc.
Oggi la possibile riorganizzazione del sistema
comporta una profonda, decisiva mutazione nella logica di sviluppo, nel
prendere in seria considerazione una trasformazione nel rapporto uomo-natura,
nel rapporto produzione-ambiente.
La crisi globale contemporanea è proprio crisi
globale, sistemica, non solo spazialmente. Ma proprio come crisi che investe
tutte le dimensioni, tutti i fattori di cui sopra.
Anche qui il Covid-19 svolge il ruolo di
rivelatore-messa a nudo di questo complesso problematico.
La possibile uscita dalla crisi non è univoca. Una
biforcazione si palesa, come sempre. Una uscita autoritaria, di destra, nel
segno del malsviluppo, o una uscita con maggiore democrazia, sviluppo
riproducibile ed equilibrato, un nuovo “compromesso socialdemocratico”, non
solo nel Nord del mondo, ma anche per i popoli delle periferie. Il Green New
Deal o il più radicale ecosocialismo, di cui trattiamo nella parte dedicata
alle alternative, rientrano in questa possibilità.
3. La pandemia
Molti scienziati concordano nel considerare l’attuale
pandemia come una prima manifestazione di epidemie globali ricorrenti a misura
della vertiginosa interdipendenza nella realtà contemporanea. La famosa peste
del 1347-1348 in Europa impiegò vari anni, almeno dal 1343, per diffondersi dal
luogo di origine nell’Asia centrale mongolica.
La cosiddetta influenza “spagnola” del 1918-1920, fu
la vera prima pandemia. Fu micidiale negli effetti: 500 milioni di contagiati e circa
50 milioni di morti. E anche per venire a noi, e per richiamare il
multidimensionale e il multifattoriale di cui sopra, fu l’evidente
dimostrazione che il virus, forse partito da un allevamento di bestiame del
Kansas, ebbe facilissimo terreno di propagazione nei corpi debilitati,
stressati, malnutriti della Prima guerra mondiale ancora in corso e nei corpi
di soldati sfibrati e accalcati nelle trincee. Il virus da solo, anche
l’attuale Coronavirus, non basta. Altre cause concorrono.
Oggi tutto è in divenire e gli studi seri, non quelli
interessati delle lobby farmaceutiche, della sanità privata ecc., sono in
corso. Ma intorno al mondo, molti ricercatori e molte ricercatrici individuano
alcune concause. In primo luogo, l’inquinamento atmosferico. A causa del
particolato fine, le particelle PM 2,5 e PM 10, e del biossido di azoto. In
secondo luogo il pervasivo, molto sottaciuto per evidenti interessi di potenti
lobby, inquinamento elettromagnetico (il cosiddetto elettrosmog). Molti studi
rilevano la enorme diffusione dell’epidemia in luoghi del mondo molto
inquinati. La Pianura Padana è una di queste aree.
Il discorso della cattiva alimentazione, delle
condizioni di vita di molti strati sociali, si farà alla fine di questo
contributo. Ma la concausa delle deficienze del sistema immunitario è da tenere
in molta considerazione.
4. I sistemi sanitari. In particolare il
sistema sanitario italiano
L’epidemia ha messo a nudo lo stato del mondo dal lato
di esistenza o meno di sistemi sanitari efficienti, adeguati alla bisogna. In
Occidente le politiche neoliberiste di fine dello stato sociale e di tagli alla
spesa pubblica, in primo luogo sanità e istruzione, hanno reso molte sanità
pubbliche non all’altezza della situazione.
Nel Sud del mondo, a causa del debito, le politiche
imposte dalle agenzie del neoliberismo mondiale, in primo luogo dal Fondo
Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, complici le oligarchie compradore
locali, hanno tagliato servizi essenziali minimi e a povertà si è aggiunta
altra povertà. In questo Sud del mondo, la sanità di Cuba è per i dominanti
mondiali uno scandalo e un cattivissimo esempio e non se ne deve parlare. E i
media mainstream ligiamente eseguono.
Il caso dell’Italia è emblematico. Come è noto, il
sistema sanitario nazionale (Ssn), universale e gratuito, nasce nel dicembre
1978, ministra Tina Anselmi, sul modello del National Health Service inglese
del secondo dopoguerra. La riforma fu avviata nel 1980, ministro Aniasi.
Anselmi e Aniasi, entrambi belle figure della Resistenza italiana. I loro
partiti, Dc e Psi, furono in seguito molto attivi nello scempio di questo
strumento di civiltà e di progresso.
Nelle intenzioni c’era la fondamentale premessa della
“prevenzione” (meglio prevenire che curare, elementare verità) e della medicina
territoriale, con la figura centrale del medico di base. Tutto progressivamente
vanificato nei decenni successivi. Sotto l’azione delle potenti lobby
farmaceutiche e mediche. Meglio curare e ospedalizzare, e quindi lucrare, che
prevenire.
Il Ssn si articolava in 695 Usl (Unità Sanitarie
Locali). La cattivissima e corrotta amministrazione statale e pubblica, alla
mercé dei partiti politici di governo, male storico italiano, almeno dall’Unità
in avanti, lottizzò immediatamente queste strutture. Giustamente concepite in
origine per conciliare centralismo e bisogni delle comunità locali. Si
procedette ad assunzioni clientelari, dai presidenti allo sproporzionato numero
di dirigenti, al personale sanitario, agli amministrativi, all’usciere. Il
classico voto di scambio, tipicamente italiano, bacino enorme di consenso
elettorale. La parte del leone la fece la Dc, lasciando qualcosa nella spartizione
al Psi, e poi scalando a Psdi, Pri ecc.
La spesa di dette unità si risolse inevitabilmente in
sprechi scandalosi diffusi. Come avveniva in molta parte dell’amministrazione
pubblica. Ma qui, nella sanità, la torta era ed è maggiore, rispetto ad altri
settori.
Nel 1992 le Usl diventano Asl (Aziende, e
l’aziendalizzazione per ottemperare al dogma neoliberista del “modello
impresa”, in seguito colpevolmente esteso anche alla scuola e alla università).
Con il governo di centrosinistra di Giuliano Amato, sempre nel 1992, oltre alle
pensioni, si procede ai primi tagli alla spesa sanitaria. Tagli proseguiti, con
governi di destra e di sinistra, fino a oggi.
Nel 1993, Duilio Poggiolini, l’allora direttore
generale della sezione farmaceutica del Ssn, che decideva sui farmaci ammessi o
meno nei prontuari, sui prezzi ecc., venne indagato per corruzione. Il suo
patrimonio ammontava a decine di miliardi di lire, con conti correnti
all’estero e con lingotti d’oro e oggetti di lusso nascosti in vari luoghi
della sua casa.
Con l’altro scandalo, sempre del 1993, di tangenti al
ministro della sanità Francesco De Lorenzo, tutto ciò costituì il facile
terreno per una ulteriore, gigantesca offensiva a favore della privatizzazione
dei servizi pubblici. Lobby e stampa interessati e il favore popolare a causa
del cattivissimo “pubblico”, così corrotto e inefficiente. Naturalmente la
spesa è pubblica, la sanità viene spartita tra strutture pubbliche e strutture
private convenzionate, pagate dalla spesa sanitaria pubblica.
La prevenzione cancellata, la medicina del lavoro e la
medicina territoriale quasi inesistenti, i medici di base ridotti a meri
burocrati della compilazione di ricette e di prescrizioni, con le lodevoli
eccezioni di medici di base attivi nel loro compito di primo livello della
prevenzione e della cura.
Il risultato dei tagli è 72.000 posti-letto in meno,
medici, infermieri, ausiliari in continua diminuzione, cancellazione di molte
strutture locali di primo soccorso e cura. Il risultato è quello impietosamente
esibito nella pandemia.
Lo “spagnolismo” e la retorica barocca italiana e
italiota in azione. “Eroi”, applausi, cartelli ecc. Meglio sicuramente di due
dita negli occhi. Ma giustamente le infermiere e gli infermieri, i medici, gli
ausiliari, le lavoratrici e i lavoratori, ricordano che hanno fatto e fanno
semplicemente il loro lavoro e che piuttosto occorre più personale sanitario,
meglio retribuito. Che occorre una riconsiderazione complessiva. Prevenzione,
medicina di base, medicina del lavoro, medicina sociale, medicina pubblica e il
privato molto ridimensionato.
Max Hamlet "Uomo d'affari" |
5. Le conseguenze. Il Sud della pandemia
Gli effetti economici sono drammatici. Su scala
mondiale e nelle singole economie nazionali. Alcuni punti, solo come esempi.
1. Il
lavoro è la prima vittima. Sicuramente il lavoro dipendente del settore
formale. Ma soprattutto il lavoro del vasto settore informale, il lavoro nero,
il lavoro precario, in tutte le sue forme. Poche e inaffidabili sono le
statistiche.
Qui in Italia. Ma pensiamo ad altre aree del mondo. Un
solo esempio. In India circa il 70% della manodopera è lavoro informale. Ma
anche qui le statistiche sono poco affidabili.
2. L’impoverimento
colpisce soprattutto le classi subalterne. Ma anche tra i subalterni esiste “il
Sud della pandemia”. Migranti, rifugiati, donne, anziani, handicappati,
senzatetto ecc. La discriminazione è sempre di classe, razziale, di genere.
Negli Usa, a fronte di alcuni miliardari, in dollari,
che in queste settimane si sono ulteriormente arricchiti, quasi 40 milioni di
persone hanno perso il lavoro. E gli afroamericani e i migranti sono i primi a
cadere. Così come sono la maggioranza i neri a essere colpiti dall’epidemia. In
sovrammercato, con il cibo spazzatura a buon mercato, l’obesità, il diabete, le
malattie cardiovascolari ecc., terreno privilegiato per le infiammazioni e
quindi per l’infezione da Covid-19.
Ricordiamo sempre che 27 milioni di statunitensi non
hanno alcuna assicurazione medica. A questi occorre aggiungere 11 milioni di
migranti non assicurati. Tutti non hanno alcuna possibilità di avere cure
mediche.
3. La
vicenda delle case di cura per anziani in Italia è un altro Sud terribile e
criminale. Il retroterra da darwinismo sociale e da considerazione della
popolazione “sacrificabile”, “inutile”, è perfettamente in linea con la
filosofia complessiva del neoliberismo.
4. La
distanza fisica tra le persone, detta distanziamento sociale, è stata una delle
prime misure imposte. Ma questo, qualora fosse veramente rispettato, è
possibile solo in Occidente. Con l’eccezione dei luoghi dove sono ammassati i
migranti, braccianti agricoli senza diritti e senza protezione. Come avviene in
Italia, da Nord a Sud, alla mercé del caporalato e delle tante mafie.
Caporalato e mafie impunite perché così è in Italia, malgrado i tanti proclami
delle istituzioni che quelle vergogne dovrebbero debellare.
Nel mondo, nel Sud del pianeta, circa il 25% delle
persone vive nei cosiddetti “quartieri informali”, soprattutto periferie delle
grandi città. Con molta parte vivente in slums, favelas, bidonvilles ecc. Un
solo esempio. A Mathare, sobborgo di Nairobi, la densità è di 68.941 abitanti
per km2. Solo come riferimento, la densità a Milano e provincia è di
2.063 per km2.
5. Acqua
e sapone per lavare le mani, come prima misura preventiva per evitare il
contagio. Nel campo profughi a Moria, nell’isola di Lesbo, fatto per ospitare
3.000 persone, ci vivono circa 13.000 persone. Un rubinetto d’acqua serve circa
1.300 persone e non c’è sapone.
6. Il
cosiddetto lockdown, la chiusura di luoghi pubblici, di esercizi
commerciali e di fabbriche, non ha fermato totalmente il lavoro, pubblico e
privato. Alcuni settori hanno usufruito del cosiddetto smart working.
La possibilità per una parte del lavoro, soprattutto impiegatizio, manageriale
e professionistico, di compiere il lavoro da casa, attraverso rete e computer.
La retorica anche qui in azione. Presentata come la
soluzione, in realtà ne usufruisce solo un esiguo strato di classe media
mondiale.
6. Conseguenze politiche e sociali. Stato
d’eccezione
Le restrizioni del movimento, dell’agibilità sociale,
politica e culturale, la regolamentazione nella vita, anche privata, dei
cittadini, rientrano tra le misure imposte per evitare il contagio. Tuttavia
molti paventano il pericolo del controllo sociale e dello stato d’eccezione che
può convertirsi rapidamente in stato permanente.
Il pericolo è il restringimento della democrazia e dei
diritti. È l’occasione non solo di cancellare ciò che è rimasto dello stato
sociale, malgrado il ricorso massiccio all’intervento dello Stato nella
bancarotta evidente del “privato” e del neoliberismo nella fattispecie, ma
anche di imporre misure autoritarie.
Paolo Bonomi, attuale presidente eletto della Confindustria
italiana, ha subito detto che gli italiani debbono prepararsi a nuovi sacrifici
e a nuovi doveri. Questo è già avvenuto e avviene nella realtà effettuale e non
occorre il supplemento retorico della Confindustria per ricordarlo. Tradotto.
Sacrifici e doveri ulteriori per lavoratrici e lavoratori (pensioni, salari,
diritti, condizioni di lavoro ecc.).
La questione non riguarda solo la pandemia. La crisi
generale del sistema, a partire dalla severa crisi economica, con al centro la
sua riproducibilità, dal lato della giustizia sociale e della giustizia
ambientale, con la soverchiante e ultimativa questione del cambiamento
climatico, pone anche la possibilità di un’altra svolta. Auspicabile per le
classi subalterne e per i soggetti sociali maggiormente colpiti su scala
planetaria.
Le alternative sono possibili e praticabili e questo è
fattore di civiltà di contro alla barbarie possibile del caos generalizzato,
negli ecosistemi e negli assetti sociali e politici.