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venerdì 1 maggio 2020

SCUSE E RAGIONI
di Franco Astengo

Grafica di Giuseppe Denti

In questo Primo Maggio sento il dovere di rivolgermi ai destinatari dei miei numerosi interventi per scusarmi dell’insistenza quasi quotidiana con la quale ho rivolto le mie argomentazioni, almeno in questo mese di aprile che sta per terminare. Ho pensato, probabilmente sbagliando, che nel frangente di isolamento nel quale ci siamo tutti trovati all’improvviso valesse la pena di mantenere un collegamento, un filo rosso con la pretesa da parte mia (sicuramente frutto di presunzione) di essere capace di contribuire allo sviluppo di una riflessione collettiva su ciò che ci stava accadendo nei suoi riflessi culturali, politici e sociali.
Così mi sono ripromesso di tentare di portare avanti un’analisi e una proposta politica: sicuramente esagerando nella già ricordata presunzione.
Purtuttavia ritengo che questo tentativo abbia delle sue profonde ragioni ponendosi anche nella scia di quell’idea di “ricostruzione della sinistra” che da qualche tempo avevamo cercato di portare avanti, con altre compagne e compagni di diversa provenienza ideale e politica, all’insegna del “Dialogo Gramsci - Matteotti”.
L’idea di “ricostruzione” ha necessità di porsi a confronto con quell’affermazione del “nulla sarà come prima” che molti hanno avanzato in occasione dell’esplosione dell’emergenza sanitaria.
Se vogliamo davvero che “nulla sia come prima” allora, da sinistra, dobbiamo cercare di essere capaci di quel “cercate ancora” che potrebbe essere inteso quasi come l’incipit di un nuovo manifesto.
Nasce da questo abbozzo di ragionamento quell’esigenza di apertura di ricerca che soggettivamente sento molto forte. Non sarà sufficiente misurarsi soltanto con gli elementi che ci vengono forniti dalla nostra storia.
Così nasce la proposta di elaborare l’ipotesi di un “socialismo della finitudine”. In partenza si tratta di porsi un interrogativo: è davvero finita l’era delle “magnifiche sorti e progressive” e ci troviamo nella condizione dell’essere finito, limitato, imperfetto, come dimostrerebbe proprio la vicenda del virus? Chi intende continuare a pensare alla giustizia sociale dell’uguaglianza pare proprio trovarsi davanti a un bivio.

Grafica Giuseppe Denti

Preso atto della necessità di comprendere la condizione di “limite” come definire, allora, un nuovo obiettivo di sviluppo?
Oppure non resta da fare altro che ripiegare su di un pensiero di mera conservazione lasciando campo libero agli appetiti dell’egoismo?
La discussione, all’inizio di questa fase, si era aperta attorno all’ipotesi della elaborazione di un progetto di “società sobria” come nuova “terza via” (opposta a quella proposta a suo tempo dal blairismo): forse però questa nuova “terza via” potrebbe essere già stata superata e un diverso modello di vita ci sarà stato imposto dai fatti e dal governo assoluto della tecnica.
Si pone così davvero il tema di un mutamento di paradigma.
Se vogliamo contrastare l’affermarsi definitivo dell’egemonia della forza basata sull’esclusività del dominio della tecnologia e della conseguente concentrazione di potere, bisognerà elaborare una visione alternativa.
Allora mi sono permesso di coniare la definizione di “socialismo della finitudine”.
Non servono voci figlie della catastrofe: si tratta di “cercare ancora” per trovare vie di nuovo sviluppo e modificare le grandi storture della modernità.
Adesso siamo davanti alla necessità di un ripensamento generale ad un livello che non avremmo mai immaginato e che potrebbe essere indicato come “di civiltà”. Dobbiamo provare a muoverci pensando a quella dimensione propria di quell’orizzonte del “limitato” che richiede l’affermazione di una ricerca sull’uguaglianza possibile.
Si tratta di rifletterci sopra e di trovare la strada per adeguare la nostra pratica, anche se abbiamo un disperato bisogno di ritrovare anche tutto il pragmatismo necessario per affrontare le lotte del giorno per giorno che, beninteso, continuano.
È stata la volontà di contribuire a delineare un’idea di socialismo posto all’altezza delle contraddizioni che ci aspettano nel prossimo futuro, l’intento perseguito con la molteplicità di interventi che mi sono permesso di inviarvi in questo mese di aprile. Un mese di aprile 2020 trascorso in maniera così anomala, mancando l’appuntamento con il 25 aprile e preparandoci a trascorrere in casa anche il 1° maggio.
In questa dimensione pensare ad un mutamento nell’idea di socialismo posto al di fuori del quadro della progressività del futuro che ha contraddistinto la nostra storia, ha voluto essere soltanto un microscopico segno lasciato su di una grande pagina interamente bianca. Credo però che da parte di tutti sarebbe bene cercare di lasciarne tanti altri di questi segni fino a formare quella che un tempo si definiva come “linea”.
Esposte le ragioni rinnovo le scuse: se qualcuna/o si è ritenuto infastidito da questo reiterare di argomentazioni non avrà altro da fare che segnalarlo e il disturbo sarà immediatamente tolto.