di Don Fitz
Nel dicembre del 1951, Ernesto
"Che" Guevara decise di prendersi una pausa di nove mesi dalla scuola
di medicina per fare un viaggio in moto attraverso l'Argentina, il Cile, il
Perù, la Colombia e il Venezuela. Uno dei suoi obiettivi era fare esperienza
pratica con la lebbra. La notte del suo ventiquattresimo compleanno, il Che si
trovò così a La Colonia de San Pablo,
in Perù: attraversando il fiume a nuoto, raggiunse i circa seicento lebbrosi
che vivevano in capanne nella giungla, cercando di curarsi a modo loro.
Il Che non si
sarebbe accontentato di studiare e simpatizzare con quei poveretti: voleva stare con loro, e capire in che modo
vivevano. Il contatto con persone che erano povere e affamate e al tempo stesso
malate, ha senz’altro trasformato il Che. Immaginava un nuovo tipo si medicina,
con medici che avrebbero servito il maggior numero di persone con cure
preventive, e promuovendo una maggiore consapevolezza circa l’importanza
dell’igiene. Qualche anno dopo, il Che si unì al Movimento del 26 luglio di
Fidel Castro nel ruolo appunto di medico, e fu tra gli ottantun uomini che
sbarcarono a Cuba il 2 dicembre 1956, a bordo della Granma.
Una medicina
rivoluzionaria
Dopo la
vittoria che il 1° gennaio 1959 rovesciò il governo di Fulgencio Batista, il
sogno del Che di un'assistenza medica gratuita per tutti venne incluso nella
nuova costituzione cubana in quanto diritto umano. La comprensione dei
fallimenti dei sistemi sociali così fondamentalmente scollegati tra di loro,
portò il governo rivoluzionario a costruire ospedali e cliniche in zone
dell'isola scarsamente servite, con la stessa convinzione con cui venivano
affrontati i problemi dell'alfabetizzazione, del razzismo, della povertà e
dell’edilizia popolare. Con l’obiettivo di servire al meglio la comunità dei
pazienti, Cuba ha rinnovato le sue cliniche sia nel 1964 che nel 1974; e nel
1984 introdusse direttamente nei quartieri delle équipes di medici e infermieri in grado di essere operativi nei
cosiddetti consultorios.
Mentre gli
Stati Uniti diventavano sempre più bellicosi, nel 1960 i cubani organizzarono dei
Comitati di difesa della rivoluzione per difendere appunto il loro Paese. Per
esempio in caso di uragano questi comitati avevano il compito di trasferire in
ripari elevati le persone anziane, o i disabili, gli ammalati gravi o affetti
di disturbi mentali. In questo modo l'assistenza sanitaria che sarebbe stata
materia di Politica Interna, si intrecciava con il campo degli Affari Esteri,
un aspetto che ha caratterizzato tutta la storia di Cuba.
Poiché la
rivoluzione in campo sanitario promossa da Cuba si basava sull'estensione
dell'assistenza medica ben oltre le grandi città per raggiungere le comunità
rurali che ne avevano più bisogno, non fu difficile estendere tale assistenza
ad altre nazioni. Il governo rivoluzionario fu in grado di inviare medici in
Cile dopo il terremoto del 1960 e una brigata di dottori e infermieri nel 1963
in Algeria, in lotta per l'indipendenza dalla Francia. Queste azioni hanno
posto le basi per l'aiuto sanitario a livello internazionale, che è cresciuto
nel corso dei decenni successivi e che ora comprende anche l'aiuto per la cura
della pandemia COVID-19.
Alla fine degli
anni ’80 e all'inizio degli anni ’90, due catastrofi hanno minacciato l'esistenza
stessa del Paese. Da notare che nel 1986 era morta la prima vittima dell'AIDS,
mentre nel dicembre 1991 si era verificato il crollo dell'Unione Sovietica,
ponendo fine al sussidio annuale verso Cuba di 5 miliardi di dollari e creando
perturbazioni nel commercio internazionale che oltre ad aggravare l'epidemia di
AIDS avrebbero causato il collasso dell'economia cubana. Si profilava cioè una
tipica tempesta perfetta: il tasso d’infezione da HIV per la regione caraibica
era secondo solo all'Africa del sud, dove oltre 300.000 cubani si erano trovati
a combattere durante le guerre in Angola. L'embargo sull'isola ebbe l’effetto
di ridurre la disponibilità di farmaci (compresi quelli per l'HIV/AIDS),
limitando le possibilità di fornitura ai farmaci esistenti che erano
scandalosamente costosi, e sconvolgendo le infrastrutture finanziarie utilizzate
per l'acquisto dei farmaci. Bisognosa di fondi, Cuba spalancò le porte al
turismo, incoraggiando tra l’altro il sesso in cambio di denaro.
Il governo fu
costretto a ridurre i servizi in tutti i settori tranne due: l'istruzione e
l'assistenza sanitaria. I suoi istituti di ricerca svilupparono il test
diagnostico per l'HIV di Cuba nel 1987 rendendo possibile completare oltre
dodici milioni di test entro il 1993. Nel 1990, quando la comunità gay era
diventata la principale vittima dell'HIV dell'isola, l'omofobia venne
attivamente contrastata nelle scuole. I preservativi erano forniti
gratuitamente negli studi medici e, nonostante i costi, anche i farmaci
antiretrovirali.
Lo sforzo
congiunto e ben pianificato di Cuba per affrontare l'HIV/AIDS ha dato i suoi
frutti. All'inizio degli anni ’90, nello stesso periodo in cui Cuba aveva circa
200 casi di AIDS, New York City (con circa la stessa popolazione) ne aveva
43.000. (Nota 1) Nonostante avesse solo una piccola parte della
ricchezza e delle risorse degli Stati Uniti, Cuba aveva superato gli effetti
devastanti del blocco degli Stati Uniti e aveva attuato un programma di cura
contro l'AIDS superiore a quello del Paese che cercava di distruggerlo. Durante
questo periodo così particolare, i cubani hanno registrato un arco di vita più
lunga e un tasso di mortalità infantile più basso rispetto agli Stati Uniti.
Cuba è diventata una fonte d’ispirazione per chiunque si occupasse di cura in
tutto il mondo, dimostrando che le possibilità di prosperare seppure in situazioni
avverse, non sono in contrasto con un sistema sanitario coerente e che mette la
vita umana al primo posto.
Il COVID-19
colpisce Cuba
Il superamento
delle crisi dell'HIV/AIDS in un periodo così particolare, ha senz’altro
preparato Cuba al COVID-19. Consapevole dell'intensità della pandemia, Cuba
sapeva di avere due responsabilità strettamente collegate: innanzitutto
prendersi cura di se stessa nel miglior modo possibile, e condividere le
proprie competenze a livello internazionale.
Il governo non
esitò ad assumersi un compito che si rivelò molto difficile in un'economia di
mercato, modificando le attrezzature delle fabbriche nazionalizzate (che
normalmente producevano uniformi scolastiche) per produrre mascherine in grande
quantità. Questa conversione ha reso possibile un'ampia fornitura a Cuba entro
la metà di aprile 2020, mentre gli Stati Uniti, con la loro enorme capacità
produttiva, soffriva ancora di enormi carenze. Le discussioni ai più alti
livelli del Ministero della Sanità Pubblica cubano hanno delineato la politica
nazionale. Sarebbero stati necessari test massicci per determinare chi fosse
stato contagiato. Le persone infette avrebbero dovuto essere messe subito in
quarantena, assicurando al tempo stesso che avessero cibo e altri beni di prima
necessità. Contemporaneamente si sarebbe svolto il più capillare tracciamento,
per individuare l’eventualità di altre infezioni, con il personale medico
incaricato di andare porta a porta per controllare lo stato di salute di ogni
cittadino, mentre il personale del Consultorio
avrebbe prestato la massima attenzione a coloro che risultavano particolarmente
esposti al rischio a livello di quartiere.
Entro il 2
marzo, Cuba aveva istituito il Novel
Coronavirus Plan for Prevention and Control. (Nota 2) E in soli
quattro giorni, il piano era stato ampliato per includere la rilevazione della
temperatura e l'eventuale isolamento dei viaggiatori eventualmente infetti in
arrivo nell’isola. Il che si verificò prima della diagnosi del primo caso di
COVID-19 a Cuba, in data 11 marzo. Cuba ha registrato la sua prima morte
accertata per COVID-19 il 22 marzo, quando i casi confermati erano 35, quasi
1000 i pazienti in osservazione negli ospedali, e più di 30.000 le persone
sotto sorveglianza a domicilio. Dal giorno successivo è partito il divieto
d’ingresso agli stranieri non residenti, nonostante l’importanza del turismo
per le casse del Paese. (Nota 3)
Nello stesso
giorno la Protezione Civile di Cuba è stata allertata per rispondere
rapidamente al COVID-19 e il Consiglio di Difesa dell'Avana ha deciso che c'era
un grave problema nel quartiere Vedado della città di Cuba, noto per la sua
enorme popolazione di visitatori stranieri non turisti, con maggiori
probabilità di essere stati esposti al virus. Entro il 3 aprile il quartiere è
stato chiuso. Come ha testimoniato Merriam Ansara, "chiunque abbia la
necessità di entrare o uscire deve dimostrare di essere stato testato e di
essere libero da COVID-19". La Protezione Civile si è assicurata che i
negozi fossero riforniti e che tutte le persone vulnerabili ricevessero
regolari controlli medici. (Nota 4)
Vedado ha avuto
otto casi confermati, parecchi per un’area così piccola. I funzionari della sanità
cubana hanno fatto in modo che il virus restasse nella fase di "diffusione
locale", quando può essere rintracciato mentre passa da una persona
all'altra. Hanno cercato di evitare che entrasse nella fase di "diffusione
nella comunità", quando diventa più difficile rintracciarlo perché fuori
controllo. Mentre gli Stati Uniti erano disperati per la mancanza di
dispositivi di protezione individuale (DPI) e per una tale scarsità di tamponi
da rendere necessaria la specifica richiesta da parte dei cittadini, invece che
una somministrazione di routine da parte del personale sanitario, Cuba aveva
abbastanza kits di test utili alla più rapida identificazione delle persone che
avevano contratto il virus.
Durante la fine
di marzo e l'inizio di aprile, anche gli ospedali cubani stavano cambiando i
protocolli, per ridurre al minimo il contagio. Alcuni medici dell'Avana sono
stati ricoverati all'ospedale di Salvador Allende per quindici giorni, e
obbligati a pernottare in un'area destinata al personale medico. Poi sono stati
trasferiti in una zona separata dai pazienti dove hanno vissuto per altri
quindici giorni e sono stati sottoposti a test prima di tornare a casa. Sono
rimasti a casa senza uscire per altri quindici giorni e sono stati esaminati
prima di poter riprendere il lavoro. Questo periodo di quarantacinque giorni di
isolamento ha impedito al personale medico di portare malattie all’interno
delle comunità di appartenenza, magari nei loro quotidiani spostamenti da e per
il lavoro.
Il sistema
medico si estende dal consultorio
a tutte le
famiglie di Cuba
Gli studenti
del terzo, quarto e quinto anno di medicina sono stati assegnati dai medici del
consultorio, con l’incarico di recarsi ogni giorno in determinate case. Tra i
loro compiti c’è la raccolta di dati di indagine da parte dei residenti, o le
frequenti visite agli anziani, ai neonati e a coloro che hanno problemi
respiratori. I dati raccolti in queste sessioni di medicina preventiva, vengono
poi esaminati da coloro che occupano le più alte cariche decisionali del Paese.
Quando gli studenti portano i loro dati, i medici usano una penna rossa per
contrassegnare i punti caldi in cui è necessaria un'assistenza supplementare. I
medici del quartiere si incontrano regolarmente nelle cliniche per discutere di
ciò che ogni medico sta facendo, di ciò che sta scoprendo, delle nuove procedure
che il Ministero della Sanità Pubblica cubano sta adottando e di come l'intenso
lavoro sta interessando tutto il personale medico.
In questo modo,
ogni cittadino cubano e ogni operatore sanitario, da quelli degli uffici medici
di quartiere a quelli degli istituti di ricerca ai più alti livelli, partecipa
alla definizione della politica sanitaria. Cuba conta attualmente 89.000
medici, 84.000 infermieri e 9.000 studenti che dovrebbero laurearsi in medicina
nel 2020. Il popolo cubano non tollererebbe che chi sta al governo nel loro
Paese ignorasse i consigli dei medici, sparando sciocchezze e incoraggiando una
politica basata su ciò che sarebbe più redditizio per le imprese.
Il governo
cubano ha approvato la distribuzione gratuita di un certo farmaco omeopatico,
il PrevengHo-Vir, ai residenti dell'Avana e della provincia di Pinar del Rio. (Nota
5) Susana Hurlich è stata tra coloro che anno ricevuto questo
trattamento. L'8 aprile, il Dott.
Yaisen, uno dei tre medici del consultorio operativo a due isolati da casa sua,
si è presentata alla porta con una bottiglietta di PrevengHo-Vir e le ha
spiegato come usarlo. Le istruzioni avvertono che rinforza il sistema
immunitario ma non è un sostituto dell'Interferone Alfa 2B, né un vaccino.
Secondo Hurlich la cosa che conta "per quanto riguarda il sistema
sanitario di Cuba è che, invece che operare su due distinti livelli, come
spesso accade in altri Paesi, con la ‘medicina classica’ da un lato e la
‘medicina alternativa’ dall'altro, Cuba ha UN SOLO sistema sanitario che li
comprende entrambi Quando si studia per diventare medico, si impara anche a
conoscere la medicina omeopatica in tutte le sue forme". (Nota 6)
Solidarietà
globale al tempo di COVID-19
Un modello,
insomma, molto efficace. La componente forse più notevole
dell'internazionalismo medico di Cuba durante la crisi del COVID-19 è stata
quella di usare la sua esperienza decennale per creare un esempio di come un
paese può affrontare il virus con un piano al tempo stesso sollecito e
competente. I funzionari della sanità pubblica di tutto il mondo hanno tratto
ispirazione dall’esempio di Cuba.
Per quanto
riguarda il trasferimento di conoscenze, è noto che gran parte del mondo è
andato nel panico quando i virus che causarono l'Ebola, principalmente attivi
nell'Africa subsahariana, sono aumentati drammaticamente nell'autunno del 2014.
Più di 20.000 persone sono state rapidamente infettate, più di 8.000 sono
morte, mentre cresceva la preoccupazione che il numero dei morti potesse
superare le centinaia di migliaia. Gli Stati Uniti hanno fornito sostegno
militare; altri Paesi hanno promesso denaro. Cuba è stata la prima nazione a
rispondere con ciò di cui c'era più bisogno: ha inviato 103 infermiere e 62
medici volontari in Sierra Leone. Mentre molti governi non sapevano come
rispondere alla malattia, Cuba ha formato volontari di altre nazioni presso
l'Istituto di medicina tropicale Pedro Kourí dell'Avana. Cuba ha insegnato a
13.000 africani, 66.000 latinoamericani e 620 caraibici come curare l'Ebola
evitando il contagio. Condividere la comprensione su come organizzare un
sistema sanitario è il più alto livello di trasferimento di conoscenze.
Il Venezuela ha
cercato di replicare aspetti fondamentali del modello sanitario cubano a
livello nazionale, e ciò è stato molto utile nella lotta contro il COVID-19.
Nel 2018, i residenti di Altos de Lidice hanno organizzato sette consigli
comunali, tra cui uno per la salute della comunità. Un residente ha messo a
disposizione dell'iniziativa del Sistema Sanitario Comunale uno spazio nella
sua casa, affinché il dottor Gutierrez potesse avere un ufficio. Egli coordina
la raccolta dei dati per identificare i residenti a rischio e visita tutti i
residenti nelle loro case per spiegare come evitare l'infezione da COVID-19.
L'infermiera Del Valle Marquez è una Chavista che ha aiutato a realizzare il
Barrio Adentro quando sono arrivati i primi medici cubani. Ricorda che i
residenti non avevano mai visto un medico all'interno della loro comunità, ma
quando i cubani sono arrivati "abbiamo aperto le nostre porte ai dottori,
ed essi hanno vissuto con noi, hanno mangiato con noi, hanno lavorato insieme a
noi". (Nota 7)
Storie come
questa permeano il Venezuela. Come risultato della costruzione di un sistema di
tipo cubano, l’emittente TeleSUR ha
riferito che entro l'11 aprile 2020, il governo venezuelano ha condotto 181.335
test di reazione a catena della polimerasi in tempo per ridurre il tasso di
infezione in America Latina. Il Venezuela ha avuto solo sei infezioni per
milione di cittadini, mentre il vicino Brasile ne ha avute 104 per milione. (Nota
8)
All’epoca della
presidenza di Rafael Correa, oltre mille medici cubani costituivano la spina
dorsale del suo sistema sanitario in Ecuador. Subito dopo la vittoria di Lenin
Moreno che prese il posto di Correa nel 2017, i medici cubani vennero
immediatamente espulsi, e la medicina pubblica precipitò nel caos. Moreno seguì
le raccomandazioni del Fondo Monetario Internazionale di tagliare il bilancio
sanitario dell'Ecuador del 36%, lasciandolo senza professionisti della sanità,
senza DPI e, soprattutto, senza un sistema sanitario organizzato in modo
coerente. Risultato: mentre il Venezuela e Cuba hanno avuto 27 decessi
COVID-19, la città più grande dell'Ecuador, Guayaquil, ha registrato circa
7.600 casi di decessi. (Nota 9)
Sul piano
internazionale, la reputazione della medicina cubana è indiscussa e proprio per
questa dimensione di internazionalismo, che è tra le qualità più riconosciute.
Un chiaro esempio fu il devastante terremoto che ha scosso Haiti nel 2010. Al
personale medico inviato da Cuba venne richiesto di vivere tra gli haitiani ed
è rimasto lì per mesi o anche anni dopo il terremoto. I medici statunitensi,
invece, si sono ben guardati dal condividere gli umili dormitori dove erano
ricoverate le vittime haitiane e ogni notte tornavano nei loro hotel di lusso,
oltre a limitare i loro soggiorni entro il limite delle poche settimane. John
Kirk ha coniato il termine "turismo catastrofico" per descrivere il
modo in cui molti Paesi ricchi rispondono alle crisi sanitarie nei Paesi
poveri.
L'impegno che
il personale medico cubano è in grado di offrire a livello internazionale, non
è altro che la naturale conseguenza dello sforzo fatto dal sistema sanitario
cubano a livello nazionale nell’arco di ben tre decenni, per capire il modo
migliore di rafforzare i legami tra i professionisti del caregiving e quanti erano bisognosi delle loro cure. Nel 2008, Cuba
ha inviato oltre 120.000 operatori sanitari in 154 Paesi, i suoi medici hanno
curato oltre 70 milioni di persone nel mondo e quasi 2 milioni di persone
devono la loro vita ai servizi medici cubani nel loro Paese.
L'Associated Press ha riferito che quando il COVID-19 si era
già diffuso in tutto il mondo, Cuba aveva 37.000 operatori sanitari in 67
Paesi. E ciò non gli ha impedito di inviare altri medici in Suriname, Giamaica,
Dominica, Belize, Saint Vincent e Grenadine, Saint Kitts e Nevis, Venezuela e
Nicaragua. (Nota 10) Il 16 aprile, Granma ha riferito che "21 brigate di operatori sanitari sono
state dispiegate per unirsi agli sforzi nazionali e locali in 20 Paesi" (Nota
11). Lo stesso giorno, Cuba ha inviato duecento operatori sanitari in
Qatar. (Nota 12)
Quando l'Italia
settentrionale è diventata l'epicentro dei casi COVID-19, una delle città più
colpite è stata Crema, nella regione Lombardia. Il pronto soccorso del suo
ospedale era pieno di gente. Il 26 marzo, Cuba ha inviato 52 medici e
infermieri che hanno allestito un ospedale da campo con 3 posti letto in
terapia intensiva e 32 altri posti letto con ossigeno. Ecco come una nazione
caraibica così piccola e povera è riuscita ad aiutare una grande potenza
europea.
Un simile
sforzo ha avuto un notevole peso anche per Cuba. Il 17 aprile, 30 dei suoi
medici inviati all'estero sono risultati positivi al COVID-19. (Nota 13)
Portare il
mondo a Cuba
L'altra faccia
di Cuba che invia personale medico in tutto il mondo sono le persone che ha
portato sull'isola, sia studenti che pazienti. Quando i medici cubani erano
nella Repubblica del Congo nel 1966, non hanno potuto fare a meno di notare la
quantità di giovani intenti a studiare alla luce dei lampioni di notte e li
hanno invitati a continuare i loro studi all'Avana. Lo stesso è successo per un
gruppo ancor più numeroso di studenti africani durante le guerre d'Angola del
1975-88 e poi ancora per un gran numero di studenti latinoamericani,
interessati agli studi di medicina dopo gli uragani Mitch e Georges. Il numero
di studenti ospiti di Cuba per studiare è aumentato ulteriormente nel 1999,
quando si è inaugurata la Scuola
Latinoamericana di Medicina (ELAM). Nel 2020, l'ELAM ha formato 30.000 medici provenienti da oltre cento Paesi.
E non solo,
Cuba gode di un’ottima reputazione per essere riuscita ad ospitare pazienti
stranieri bisognosi di cure. Dopo la fusione nucleare di Chernobyl del 1986,
25.000 pazienti, per lo più bambini, sono venuti sull'isola per curarsi, e
alcuni di loro sono rimasti per mesi o anni. Cuba ha aperto le sue porte, letti
d'ospedale e un campo estivo per giovani.
Il 12 marzo,
mentre la nave da crociera britannica MS Braemar stava per avvicinarsi alle
Bahamas, una nazione del Commonwealth britannico, quasi cinquanta persone, sia
tra i passeggeri che membri dell’equipaggio, avevano il COVID-19, oppure
mostravano di averne i sintomi. Poiché la Braemar batteva bandiera bahamiana e
poteva quindi considerarsi sotto la giurisdizione del Commonwealth, sarebbe
stato logico sbarcare i passeggeri a bordo per le cure e tornare nel Regno
Unito. Ma il Ministero dei Trasporti delle Bahamas si è opposto, negando
l’autorizzazione ad attraccare e la possibilità di sbarco in tutti i porti
delle Bahamas. (Nota 14). Nei cinque giorni successivi, anche gli Stati
Uniti, le Barbados (altra nazione del Commonwealth) e diversi altri paesi
caraibici hanno respinto la nave. Il solo Paese che ha permesso l'attracco
degli oltre mille membri dell'equipaggio e dei passeggeri della Braemar è stato
Cuba, in data 18 marzo. A coloro che si sentivano troppo male per volare sono
state offerte le migliori cure negli ospedali cubani. La maggior parte dei
degenti si è recata in autobus all'aeroporto internazionale José Martí per i
voli di ritorno nel Regno Unito. Prima di partire, i membri dell'equipaggio
della Braemar hanno esposto uno striscione con la scritta "Ti amo
Cuba!" (Nota 15) La passeggera Anthea Guthrie ha postato
sulla sua pagina Facebook: "Ci hanno fatto sentire non solo tollerati, ma
persino benvenuti". (Nota 16)
Medicina per
tutti
Nel 1981 ci fu
un'epidemia particolarmente grave di febbre dengue trasmessa dalle zanzare, che
ogni tanto colpisce l'isola. In quell’occasione, molti ebbero modo di
apprezzare per la prima volta l'altissimo livello degli istituti di ricerca
cubani, che per curare con successo la dengue avevano trovato l'Interferone
Alpha 2B. Come sottolinea Helen Yaffe, "l'interferone di Cuba ha
dimostrato la sua efficacia e sicurezza nella terapia di malattie virali come
l'epatite B e C, l'herpes zoster, l'HIV-AIDS e la dengue " (Nota 17).
L'efficacia del farmaco è durata per decenni e, nel 2020, è diventata di vitale
importanza come potenziale cura per la COVID-19. Ciò che è soprattutto rimasto
è il desiderio di Cuba di sviluppare una molteplicità di farmaci e di
condividerli con altre nazioni.
Cuba si è resa
disponibile a collaborare allo sviluppo di determinati farmaci con paesi come
la Cina, il Venezuela e il Brasile. La collaborazione con il Brasile ha portato
a vaccini contro la meningite a un costo di 95 centesimi piuttosto che 15-20
dollari a dose. Infine, Cuba insegna ad altri paesi a produrre farmaci da soli,
in modo da rendersi indipendente dai paesi più ricchi per il fabbisogno di
farmaci.
Per affrontare
efficacemente la malattia, la ricerca sui farmaci persegue tre obiettivi: test
per determinare le persone infette; trattamenti per aiutare a prevenire o
curare l’insorgere di problemi; e vaccini per prevenire le infezioni. Non
appena sono stati disponibili i test rapidi di reazione a catena della
polimerasi, Cuba ha iniziato a usarli ampiamente in tutta l'isola. Cuba ha
sviluppato sia l'Interferone Alpha 2B (una proteina ricombinante) che il
PrevengHo-Vir (un farmaco omeopatico). TeleSuR
ha riferito che entro il 27 marzo, oltre quarantacinque paesi avevano richiesto
l'Interferone di Cuba per contenere e quindi eliminare il virus. (Nota 18)
Il Centro
d’Ingegneria Genetica e di Biotecnologia di Cuba sta in effetti cercando di
sviluppare un vaccino contro il COVID-19. Il Dr. Gerardo Guillén, direttore
della Ricerca Biomedica, ha confermato che il suo team sta collaborando con i
ricercatori cinesi di Yongzhou, provincia di Hunan, per creare un vaccino che
stimoli il sistema immunitario e che possa essere preso attraverso il naso, che
è la via di trasmissione del COVID-19. Qualunque cosa Cuba sviluppi, è certo
che sarà condivisa a basso costo con altri Paesi, a differenza dei farmaci
statunitensi che sono brevettati a spese dei contribuenti, sebbene siano poi i
giganti della farmaceutica a trarre il massimo profitto da chi ne ha bisogno.
Paesi che
non hanno imparato a condividere
Le missioni di
solidarietà cubane sono la prova di una preoccupazione reale, che spesso manca
nei sistemi sanitari di altri Paesi. Le associazioni mediche in Venezuela,
Brasile e altri Paesi sono spesso ostili ai medici cubani. Ma quando si trovano
in difficoltà, non riescono a trovare abbastanza medici propri disponibili a
viaggiare in condizioni pericolose o a recarsi in zone povere e rurali, magari
in groppa a un asino o in canoa, come farebbero i medici cubani.
Quando sono
stato in Perù nel 2010, ho visitato il Policlinico di Pisco. Il suo direttore
cubano, Leopoldo García Mejías, mi ha spiegato che l'allora presidente Alan
García non voleva altri medici cubani e che se volevano rimanere in Perù
dovevano starsene zitti. Cuba sa bene che deve adattare ogni missione medica al
clima politico.
Il caso
dell’Honduras rappresenta tra tutti un caso eccezionale. Cuba ha iniziato a
prestare assistenza medica in Honduras nel 1998. Durante i primi diciotto mesi
degli sforzi di Cuba in Honduras, il tasso di mortalità infantile del Paese è
sceso da 80,3 a 30,9 decessi ogni 1.000 nati vivi. Ma gli umori politici a un
certo punto sono cambiati e, nel 2005, il ministro della Sanità honduregno
Merlin Fernández ha deciso di cacciare via i medici cubani. Il che ha suscitato
una tale opposizione che il governo ha dovuto modificare le sue decisioni e ha
permesso ai cubani di restare.
Un esempio
disastroso e senz’altro degno di nota, di un Paese che ha rifiutato un'offerta
di aiuti cubani, è quello che si verificò successivamente all'uragano Katrina
nel 2005, quando c’erano 1.586 operatori sanitari cubani pronti ad andare a New
Orleans. Il presidente George W. Bush, rifiutò tuttavia l'offerta: come se per
i cittadini statunitensi fosse stato meglio morire, piuttosto che riconoscere
la qualità degli aiuti cubani.
Ma anche se il
governo degli Stati Uniti non è in grado di apprezzare gli studenti che
studiano all'ELAM, ciò che essi
imparano rivela senz’altro utile, quanto tornano a casa. Nel 1988, Kathryn
Hall-Trujillo di Albuquerque, New Mexico, ha fondato il Birthing Project USA, con il proposito di formare personale in
grado di relazionarsi con le donne afroamericane e a restare in relazione con
loro durante il primo anno di vita del neonato. È grata per la collaborazione
del Progetto Nascita con Cuba e per
il sostegno ricevuto da molti studenti dell'ELAM.
Nel 2018, mi ha detto: "Siamo un luogo di ritorno a casa per gli studenti
dell'ELAM: il lavoro con noi
rappresenta un’opportunità per mettere in pratica ciò che imparano all'ELAM".
Il medico cubano
Julio López Benítez ha ricordato nel 2017 che quando Cuba ha rinnovato le sue
cliniche nel 1974, il modello di riferimento è stato completamente
rivoluzionato: invece di quello vecchio, in cui erano i pazienti a recarsi in
clinica, il nuovo modello prevedeva che fossero le cliniche a recarsi dai
pazienti. Analogamente, osservando ciò che stava succedendo nel suo quartiere
del Bronx meridionale durante il COVID-19, la Dott.ssa Melissa Barber, laureata
all’ELAM, si è resa conto che, mentre
la maggior parte degli Stati Uniti diceva alla gente di rivolgersi alle varie
agenzie, ciò di cui la gente ha bisogno è un approccio comunitario e personale
addestrato a dialogare con la gente. La dottoressa Barber lavora in una
coalizione con la South Bronx Unite,
le Mamas di Mott Haven e molte
associazioni locali di inquilini. Come a Cuba, stanno cercando di identificare
le persone vulnerabili all’interno della comunità, tra cui "gli anziani,
le persone che hanno neonati e bambini piccoli, le persone che sono costrette a
casa, le persone che hanno molteplici patologie e che possono essere realmente
suscettibili a un virus come questo.” (Nota 19)
Una volta
identificati coloro che hanno bisogno di aiuto, cercano le risorse adatte per
aiutarli, come generi alimentari, DPI, farmaci e cure. In breve, l'approccio
della coalizione è quello di andare a domicilio per assicurarsi che le persone
non cadano nel vuoto. Al contrario, la politica degli Stati Uniti a livello
nazionale è che ogni Stato e ogni comune farà quello che è in grado di fare, il
che significa che invece di avere qualche crepa in cui qualcuno potrà rischiare
di cadere, si creano voragini con enormi quantità di persone che sbandano da
tutte le parti. Ciò di cui hanno bisogno i Paesi con economie di mercato sono
azioni come quelle del South Bronx Unite
sull’esempio di Cuba, realizzate su scala nazionale.
E questo era
esattamente ciò che Che Guevara aveva immaginato nel 1951. Decenni prima che il
COVID-19 cominciasse a saltare di persona in persona, la visione del Che si
propagava da un dottore all’altro. O forse erano in molti a condividere le sue
stesse visioni e con tale raggio di apertura che, dal 1959 in poi, Cuba esportò
la medicina rivoluzionaria ovunque fosse possibile. Ovviamente, non è stato il
Che a progettare il complesso funzionamento interno dell'attuale sistema medico
cubano. Ma fu senz’altro aiutato da un buon numero di guaritori tradizionali
che intrecciarono ulteriori ipotesi di cura in un tessuto che ora si allarga a
tutti i continenti. In determinati momenti della storia, migliaia o milioni di
persone riescono a visualizzare immagini simili di un futuro diverso. Se le
loro idee si diffondono abbastanza ampiamente nel momento in cui le strutture
sociali si stanno disintegrando, ecco che un'idea rivoluzionaria può diventare
concretamente possibile nella costruzione di un mondo nuovo.
Note
Nancy Scheper-Hughes, “AIDS,
Public Policy, and Human Rights in Cuba,” Lancet 342, no. 8877
(1993), 965–67.
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[Pubblicato sul numero di giugno 2020 del mensile Usa
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