E DEMOCRAZIA RECITATIVA
di
Franco Astengo
“Democrazia
Negoziale” è la nuova frontiera che la Confindustria offre al dibattito
politico. Spiega il neo-presidente Bonomi: “una democrazia negoziale in cui il
confronto con le parti sociali sia continuo” e aggiunge: “una democrazia
negoziale in contrapposizione con le leadership personali e carismatiche, costruita su una grande alleanza
pubblico privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per
mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le
rappresentanze di impresa, lavoro, professioni, terzo settore, ricerca e
cultura”.
Un
ritorno alla mediazione e, in apparenza, un duro colpo all’idea della morte dei
corpi intermedi su cui si sono basate idee e proposte derivanti dall’intreccio
tra la “democrazia del pubblico” teorizzata da Bernard Manin e il “partito
personale” nella formula ideata da Mauro Calise (“democrazia diretta” e
presidenzialismo per ridurre il tutto in pillole).
Due
formule che, forse arbitrariamente, mi permetto di considerare confluite nella
cosiddetta “democrazia recitativa” nell’esercizio della quale non viene negata
la libertà di scelta dei propri governanti (sempre con la formula dell’elezione
diretta delle cariche monocratiche) da parte di coloro che sono governati, cioè
le elettrici e gli elettori. Quello che accade è che questa libertà di scelta
viene resa semplicemente irrilevante sulle conseguenze politiche una volta che
la scelta del leader è stata fatta. Infatti dopo l’elezione al governo, chi
comanda ha libertà di violare ogni proposta/promessa pre-elettorale in maniera
totalmente impunita.
Salvini e Zaia |
Nell’attualità
del “caso italiano” la situazione appare ancora più paradossale di come sia
stata fin qui descritta: il massimo interprete della “democrazia recitativa”
non è stato mai eletto da nessuna parte (l’accenno riguarda il Presidente del
Consiglio in carica) ed è espressione “esterna” del partito di minoranza
relativa (si ricorda che il M5S nelle elezioni del 2018 ottenne il 23,07%
dell’intero corpo elettorale. Quindi non fu votato dal 76,93% del “plenum”
delle elettrici e degli elettori).
D’altro
canto non è la prima volta che accade nei tempi recenti: così fu per Renzi ed
anche per Monti, nominato senatore a vita con un ardito “coupe de theatre”
dal presidente Napolitano il giorno prima di ricevere l’incarico di formare il
governo.
L’Italia
quindi luogo ideale della “democrazia recitativa” (cui comunque si ispira
Donald Trump) in una situazione di sistema politico nel quale svolgendo
funzioni di supplenza (come era accaduto tante volte per la Magistratura) tocca
alla Confindustria proporre, addirittura, un mutamento di metodo politico. In
realtà cosa propone la Confindustria?
Non
vorrei apparire semplicistico ma lo schema della “Democrazia Negoziale”
potrebbe essere accostato al “corporativismo”, quindi ben oltre la
“concertazione” ancora reclamata dalla segretaria generale della CISL
nell’incontro a Villa Pamphili con la Presidenza Consiglio. CGIL - CISL - UIL
si sono presentati completamente a mani vuote e con il cappello in mano
soltanto per richiedere il prolungamento della Cassa Integrazione, in un paese
assalito dalla frenesia dell’assistenzialismo e in parte rilevante dedito al lavoro
nero in un coacervo di bonus, sussidi, elargizioni nel contorno di una enorme
evasione fiscale.
Giuseppe Conte |
Sul piano istituzionale dove potrebbe portare la proposta di Confindustria? Ad una seconda Camera trasformata in “Camera delle Corporazioni”?
Del
resto già nell’Assemblea Costituente fu esaminata la possibilità di fare del
Senato la sede di una rappresentanza corporativa degli interessi: tema
affrontato nella sottocommissione Forti e ripresa in Aula dalla DC. Adombrata
una possibilità di intreccio tra la rappresentanza regionale e quella
corporativa il progetto fu poi superato per via della difficoltà a procedere
all’individuazione delle categorie e di un metodo di individuazione nella
spartizione dei seggi. Prevalse, invece, la nozione di “rappresentanza
politica” intendendo gli eletti come “rappresentanti della Nazione” e al di
fuori da ogni mandato imperativo come previsto dall’articolo 67 della
Costituzione. Articolo 67 che i propugnatori della “democrazia del pubblico” e
attuali interpreti della “democrazia recitativa” hanno più volte reclamato di
abolire. Il concetto di “rappresentanza politica” vero fulcro di quella
“centralità del Parlamento” della quale abbiamo tante volte discusso è stato
attaccato a fondo nel corso di questi anni utilizzando le modificazioni di
paradigma politico cui si è già accennato: modificazioni fondate tutte sul
primo e fondamentale cambiamento avvenuto con l’avvento del sistema elettorale
maggioritario (si ricorda ancora una volta come la definizione del sistema elettorale
non faccia parte del dettato costituzionale, anche se si fa fatica a non
riconoscere che il tema ha sempre assunto un rango di quel livello, come ha
riconosciuto implicitamente la stessa Alta Corte nelle due occasioni in cui ha
bocciato prima la formula elettorale vigente e nella seconda una formula
elettorale approvata dal Parlamento, con la fiducia, ma mai ammessa alla prova
delle urne).
Oggi
il cerchio si chiude e si arriva appunto a una proposta di “democrazia
negoziale”: una negoziazione continua tra enti intermedi che finirebbe con il
ridurre il concetto di sovranità popolare relegando il Parlamento al più a sede
di semplice interpretazione e ratifica, come del resto già sta accadendo
in tempi di un “presidenzialismo
materiale” spostato sul versante del Governo, visto che il Quirinale si è per
così dire “ritirato” nell’utilizzo di una sobria “moral suasion” in luogo del
protagonismo politico imperante nel periodo tra il 2006 - 2015.
Carlo Bonomi |
Ci troviamo quindi in un momento nel quale chi intende affermare ancora i princìpi della democrazia costituzionale e della rappresentanza politica (da questa ricostruzione è stata esclusa, soltanto per ragioni di economia del discorso, l’analisi relativa alla trasformazione del sistema dei partiti) è chiamato necessariamente a valutare a quale punto si situa la faglia dell’identità democratica del Paese: dove sta, insomma, lo spartiacque che divide costituzionale da anticostituzionale.
A
questo punto dovrebbe essere anche introdotto un altro tema, quello del
“vincolo esterno”. Nel senso dell’analisi del quadro internazionale là dove
deve essere ricordato come sia in atto uno scontro di grandi proporzioni circa
la collocazione internazionale dell’Italia tra multipolarismo appoggiato sulla
Cina e ritorno del “ciclo atlantico” e predominio USA, non più solo gendarme
del mondo in un quadro generale nel quale è sicuramente mutata la realtà della
“globalizzazione” verificatasi con
spostamento della centralità delle contraddizioni dalla geopolitica
all’universalizzazione dell’emergenza sanitaria.
Tornando
al sistema politico italiano l’impressione è che la “frattura” del sistema si
collochi molto più in arretrato di quanto non faccia apparire il sistema della
comunicazione di massa.
Le
difficoltà del sistema sono arrivate ad un punto nel quale appaiono molto
rilevanti i rischi di “stretta” al riguardo della rappresentatività delle
istituzioni come disegnate dalla Costituzione.
L’esempio
più lampante in questo senso è quello dell’uso dello strumento dell’informativa
come costante nel rapporto diretto tra Presidente del Consiglio e Parlamento.
L’informativa, in luogo della “comunicazione”, infatti esclude la possibilità
di votare un qualche documento presentato dall’aula. Con questo vero e proprio
stratagemma si è fin qui impedito di votare, ad esempio, sull’utilizzo del MES,
ma questo sistema è stato utilizzato per tutto il periodo dell’emergenza
sanitaria. Per questo motivo occorre una soggettività politica di sinistra che
si proponga, come vero e proprio punto identitario, di “riconquistare” il
Parlamento attraverso la riproposizione compiuta del dettato costituzionale. Una
“riconquista” che deve valere come fulcro un programma politico molto vasto e
impegnativo nelle sue diverse implicazioni. Un programma che non preveda
arroccamenti di mera visione ideologica proponendosi prima di tutto di superare
la “democrazia recitativa” e di bloccare l’ipotesi di “democrazia negoziale”.
L’obiettivo
deve essere quello di riaffermare il principio fondamentale della democrazia
rappresentativa, poggiando su di una recuperata identità e dimensione
organizzativa dei partiti: semplice da scrivere ma molto difficile da
realizzare, pur tuttavia è necessario tentare.