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mercoledì 17 giugno 2020

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

Nicola Santagada

Con questo primo scritto Nicola Santagada inizia la sua collaborazione con “Odissea”. Ne siamo molto contenti perché condividiamo con il professore il comune amore per le lingue madri e siamo affascinati dalle parole come tessere di civiltà, così le ha magistralmente definite nel suo prezioso e ponderoso volume: Alla ricerca della genesi delle parole (Imago Artis Edizioni, pagg. 412 € 10,00) pubblicato nel 2019. Nato ad Amendolara in provincia di Cosenza, ha prima insegnato e poi fatto il Dirigente Scolastico. Appassionato di linguistica, si è dedicato ad una lunga ricerca etimologica del dialetto di Amendolara e dei processi formativi del latino e dell’italiano esitata nel volume “Alla ricerca della genesi delle parole”, citato. L’interesse per la materia è sorto a seguito delle prime esperienze d’insegnamento con ragazzi che utilizzavano abitualmente il dialetto come lingua per comunicare; per veicolare i saperi, ha utilizzato il loro linguaggio, facendo altresì riferimento agli etimi latini e greci per spiegare i concetti astratti contenuti in tante parole.

La metafora del mago

Una delle radici linguistiche che ha esercitato su di me un grande fascino è μαγ, germinata nella cultura pastorale greca, trasmigrata poi nella cultura latina, in quella italica e infine in quella dialettale. C’è da premettere che la radice e le sue espansioni, così come le parole, sono fatte di segni/simboli, che si collegano al signum e al σμα della gravida e a tutti i significati che si deducono nel suo divenire, per esempio: che muta, che è oggetto di valutazione e di stima, che si ostenta e si mostra (per i greci: il mostrare fenomenico) ecc. Sulla base delle mie ricerche μαγ si può leggere «genera dal rimanere», messaggio del tutto sibillino, che s’invera nel divenire della creatura nel grembo, per come cercherò di spiegare nel prosieguo. Il pastore greco, aggiungendo il δ (qui con il significato di legare), che si assibila, ha coniato μάσσω, che il vocabolario Rocci oggi traduce con impasto. Verosimilmente ha inteso indicare l’impasto della farina, in funzione della lievitazione e della crescita. Al pastore genera dal rimanere aveva fatto pensare che il rimanere durante la gestazione determinasse, di per sé, una crescita, ma aveva desunto nel legame tra la madre e la creatura il concetto di impasto funzionale alla crescita. Successivamente ha coniato μάκτρα, madia, il contenitore per l’impasto e per la lievitazione. Quindi, μάγμα μάγματος, pomata/unguento condensato, forse ad indicare la massa lievitata, determinando il concetto di magma. E ancora, μάσσων, più lungo. Dalla medesima radice μαγ è stato dedotto mago, inteso come creatore, che fa magie ed è magico. Quindi, il mago è come colui che nel grembo realizza cose strabilianti ed escogita sortilegi eclatanti. Il mago, poi, nella cultura del mio territorio, è diventato magaro, colui che fa le magarie. Nella lingua latina, dalla medesima radice, è derivato il lemma massa, nel duplice significato di ammasso e di blocco, divenuto, poi, masso, quindi massiccio e massicciata. Non dissimile è il significato odierno di massa in ambito medico-oncologico, evocativo di una massa derivante da crescita. Nella cultura delle popolazioni meridionali il verbo masso è stato utilizzato per coniare massaro e masseria. Il massaro, che è il conduttore di un’azienda agricola e di allevamento del bestiame, diventa colui che attiva i processi di crescita, come la riproduzione degli animali e delle piante. La radice μαγ è stata conosciuta, letta e interpretata dai latini, che ne hanno dedotto magis, di più, e magister, colui che sa ricavare di più, da cui poi magistratus e magistratura. Nella nostra cultura magister è diventato maestro, ossia colui che è capace di far crescere nei saperi il fanciullo. Sempre dalla medesima radice è stato tratto magnus, grande/maggiore/massimo. A ben riflettere massimo indica il livello di crescita oltre il quale la creatura non può andare, il che rende chiaramente l’idea di superlativo assoluto e relativo. Potrei ancora proseguire nell’individuazione di altre parole, ma mi fermo qui, per non abusare della pazienza dei lettori.