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giovedì 11 giugno 2020

Ricordi
ANCORA UNA VOLTA PER LELIO
di Fulvio Papi

Lelio Basso

L’ultima volta che incontrai Lelio Basso, dopo anni di frequentazione quando abitava a Milano in Corso Venezia numero 6, è stato a Roma nei pressi di Montecitorio nella tarda primavera del 1964. Fu un breve scambio di saluti e una stretta di mano che forse andava oltre il silenzio che ormai dominava la scena. Eravamo entrambi, senza assolutamente dimenticare il livello incomparabile dei protagonisti, a disagio come se fosse evidente in noi il tramonto politico cui eravamo destinati. Lelio certamente non aveva trovato nel nuovo partito, il PSIUP, nato dalla scissione socialista della fine del 1963, l’orizzonte etico nel quale potesse fiorire il gradualismo umanistico della società verso un esito socialista che era sempre stata la sua linea politica tra la concezione socialdemocratica e la concezione elitaria del partito e della morale bolscevica come avanguardia rivoluzionaria che guida il proletariato al suo destino storico. Nel nuovo partito si riproduceva il “gioco” politico che aveva dominato la scena italiana, certamente dal momento che l’apertura a sinistra era diventato l’argomento parlamentare rilevante. Quanto a me stesso, calato a Roma con altri nella prospettiva del riformismo rivoluzionario (le grandi riforme, la programmazione economica) di Riccardo Lombardi, cominciavo a comprendere che la nostra risposta al “neocapitalismo” avrebbe trovato una irriducibile opposizione certamente nel partito, ma, soprattutto, nella maggioranza conservatrice della DC e nei poteri molto forti del capitalismo italiano, agrario e industriale, sicché il nostro disegno teorico era facile immaginarlo come destinato a un esito negativo. Nel nostro fragilissimo sorriso si poteva leggere il destino della reciproca sconfitta. Il che, per quanto mi riguardava, anche dopo il mio ritiro dalla politica militante, non avrei mai mutato il mio atteggiamento di ammirazione e di affetto per Lelio che era rimasto eguale dal mio esordio politico da liceale nell’immediato dopoguerra al periodo in cui il partito aveva assunto la struttura di quadri “professionalmente rivoluzionari” a imitazione del modello leninista emarginando, anche in modi violenti, l’influenza politica di Lelio (che da segretario del partito nel 1948 era stato contrario al precipitoso errore di Nenni per la scelta del “Fronte Popolare”.

Lelio Basso

Sono passati tanti anni, sì da dare il profilo di una storia più che di una memoria personale, ma la mia emozione intellettuale per Lelio non è mai mutata, anche quando la mia esperienza filosofica veleggiava ormai per mari molto lontani. Così che ogni studio o ricerca storica sul percorso di Lelio continuava ad essere riconosciuto come una naturale appartenenza. Il che, ovviamente, vale per il libro di Alessio Olivieri, Lelio Basso per la rivoluzione in Occidente, uscito tempo fa per le edizioni di Punto Rosso, e di cui ci siamo occupati su questo giornale. È in ogni parte un buon libro che consiglierei a chi desidera frequentare il pensiero e la vicenda politica di Lelio.
I temi salienti sono quelli che ogni esperto poteva aspettarsi. Si può tracciare una linea dominante che va dall’adesione all’umanesimo marxiano di Rodolfo Mondolfo opposto ad ogni interpretazione evoluzionista e positivista, alla concezione socialista di Rosa Luxemburg, radicale rispetto alla “bismarkiana” visione della socialdemocrazia tedesca, ma contraria ad ogni avventurismo rivoluzionario che vedeva nella sintesi contingente del pensiero di Lenin e della Rivoluzione di ottobre (sèguito di quella già avvenuta nel febbraio) il modello saliente per l’autonomia politica del movimento operaio e per la strada corretta della sua azione rivoluzionaria. Non è qui il luogo per sviluppare questo tema, se non fosse per dire che esso è stato un abbaglio politico, storico, teorico, filosofico che ha avuto ripercussioni molto gravi certamente sul movimento operaio italiano suggestionato e dominato dalla Terza Internazionale sia sui socialisti massimalisti, sia sulla stessa area del PCI, come Gramsci riconobbe chiaramente nel ’33-’34 e che fissò teoricamente nel concetto di egemonia. Leggere l’interpretazione umanistica di Marx in un radicale profilo umanistico alla Mondolfo e in una dimensione  politica alla Luxemburg, era il tracciato fondamentale di Lelio e, debbo aggiungere, nella sua elevata dignità ideale, il motivo della sua debolezza politica. Molto più propensa all’altalena tra la visione leninista (che andava capita nell’insieme dei suoi motivi contingenti) e quella socialdemocratica che mostrava una sua compatibilità con le trasformazioni necessarie nello stesso sviluppo sociale (non solo economico) del capitalismo contemporaneo. 

Gramsci e Basso
Lelio era del tutto fuori sia della mitologia che teneva in piedi il movimento comunista, che dai limiti persino più ideali che operativi (il compromesso si può fare, diceva Lelio, purché si sappia che cosa è) della prospettiva socialdemocratica. Se devo aggiungere qualcosa (che deriva dal costo della nostra esperienza) dirò che Rosa aveva letto Il Capitale pensando che, proprio nel suo sviluppo imperialistico, avrebbe trovato la sua crisi definitiva. E che in questo quadro mancava la lezione del terzo libro del Capitale, dov’era in ombra la dialettica umanistica della filosofia di Mondolfo. Ma sono considerazioni che sarebbe meglio con pudore storico tenere per sé. La rivoluzione di Lelio, non dimentichiamo (come l’Autore non dimentica) la risonanza calvinista della sua giovinezza, era una rivoluzione umanistica in una società che avrebbe percorso dal punto di vista tecnologico e da quello comportamentale tutte le strade che aveva aperto l’incremento capitalistico a livello mondiale. Che Lelio trovasse il suo spazio nel Tribunale Russell, nella Lega per i diritti dei popoli, e nella estensione della “Carta di Algeri”, mi sembra l’epilogo più pertinente per chi aveva aperto una strada politica con un supporto sostanzialmente etico, com’era del resto l’umanesimo del giovane Marx. Lelio per tutta la vita aveva cercato il luogo “pratico” dove il suo marxismo ideale poteva realizzarsi, e devo dire che non è stato affatto un fallimento, ma un’esperienza fondamentale. La quale però lascia a noi la domanda su quali siano i fondamenti dell’azione politica, i poteri fondamentali che la condizionano, il dominio che sulle istituzioni esercita la potenza del sistema economico. Tutti temi che Lelio avvertiva, e che troviamo in una sua celebre intervista. Ed è proprio qui che dobbiamo trovare il nostro senso.