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giovedì 11 giugno 2020

L’OCCASIONE DELLA SINISTRA
di Franco Astengo


Per la sinistra si sta presentendo una grande occasione di recupero di identità e di espressione di qualità progettuale su cui basare una proposta di ricostruzione per una adeguata soggettività politica. L’occasione arriva nella confusione che si sta creando attorno ai termini della necessità di affrontare la fase di crisi economica che si sta evidenziando con l’emergenza sanitaria.
Fase di crisi economica sulla quale la destra sta puntando per arrivare ad una pericolosa svolta autoritaria. Tutto questo avviene in un Paese dove sono emersi con chiarezza segnali forti di qualunquismo e corporativismo sui quali sta basandosi questo serio tentativo di assalto alla democrazia repubblicana fondata sulla Costituzione.
Ma non c’è soltanto la destra: appare evidente che l’impostazione che questo governo cerca ancora di seguire nella stretta dell’attualità è ancora quella dello “scambio politico”.
D’altro canto è bene ricordare che proprio qualunquismo e corporativismo hanno rappresentato gli elementi sui quali ha costruito le proprie fortune il partito di maggioranza relativa alle elezioni del 2018.
Partito di maggioranza relativa (nelle elezioni del 2018) alleatosi subito con l’estrema destra e successivamente passato all’alleanza con il PD attraverso la più eclatante operazione trasformistica della storia d’Italia.
Partito di maggioranza relativa (nelle elezioni del 2018) trasformatosi in un semplice riferimento di quell’assistenzialismo, che non va confuso con la lotta alla povertà e la ricerca dell’uguaglianza.
Assistenzialismo cui ha sempre aspirato il “ventre molle” di questo Paese all’interno di un disegno complessivo di cronica disuguaglianza economica, territoriale, democratica.
La fase dello “scambio politico” infatti, si è fin qui attuata, dall’avvento del M5S al governo nella loro vocazione trasformista di qualunquismo molto spicciolo, in una condizione di totale assenza di un piano industriale per il Paese, mentre stavano verificandosi almeno cinque fenomeni concomitanti:
1) L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2) La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”;
3) A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4) Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, in particolare le ferrovie ma anche autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio. Un discorso di programmazione affatto diverso, beninteso, dal semplicistico “sblocco delle grandi opere”.
5) In questo quadro è andato perduto il “welfare”, sono arretrati spaventosamente i diritti dei lavoratori, si è stupidamente reso fragile il rapporto “centro/periferia” cedendo a errate suggestioni autonomiste.
Sono stati questi, riassunti in una dimensione molto schematica, i punti che dovrebbero essere affrontati all’interno di quell’idea di riprogrammazione e intervento pubblico in economia completamente abbandonata dai tempi della “Milano da Bere” fino ad oggi.


Sarà soltanto misurandoci su di un’idea di progetto complessivo che si potrà tornare a parlare d’intervento e gestione pubblica dell’economia: obiettivo, però, che una sinistra rinnovata dovrebbe porre all’attenzione generale senza tema di apparire “controcorrente” dialogando anche con tutti i soggetti disponibili a livello europeo.
La sinistra deve fare del “ruolo del pubblico” l’oggetto di una sua precisa identità progettuale e, di conseguenza, politica.
Nel quadro di una resa ai meccanismi dello “scambio politico” e in assenza di una visione è avvenuto il tracollo della presenza industriale in Italia e si è instaurato un modello di sviluppo profondamente sbagliato.
Oggi ancora una volta, come dimostra anche il “Piano Colao” si sta, ancora una volta, cercando di recuperare il “peggio” degli anni passati esprimendo semplicemente una vaghezza di stampo propagandistico.
 Verrebbe da scrivere che nel momento più drammatico della recente storia d’Italia e d’Europa, siamo ben infilati dentro il tunnel senza segnali di fuoriuscita.
Al centro della nostra iniziativa i temi della programmazione economica, dell’intervento pubblico, del welfare universalistico, della democrazia rappresentativa, della Costituzione, dell’identità di una sinistra solidale, egualitaria, democratica, debbono rappresentare i punti di forza per contrastare il progetto in atto che prevede un orizzonte  che si vorrebbe determinato da un processo di integrazione delle priorità sociali all’interno della tecnologia, utilizzando l’isolamento fisico per realizzare una vera e propria “frantumazione sociale” utilizzando le esigenze dell’emergenza sanitaria come fatto strutturale.
 La politica sarebbe ridotta a puro ruolo di rappresentanza, simulacro di una “fu democrazia” e non possiamo permettercelo.