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mercoledì 22 luglio 2020

CRISTO FRA I MURATORI 
di Franco Astengo


Una giornata tragica davvero, quella del 20 luglio, segnata in Italia da ben tre morti sul lavoro tra Roma e Vado Ligure: una giornata che si inserisce in un corollario di vittime che rappresenta quasi lo sgranare quotidiano di un rosario del sacrificio. Viene voglia di collegare questi drammatici eventi con l’annuale ricordo della strage di Marcinelle avvenuta l’8 agosto 1956.
Un appuntamento con la memoria quello di Marcinelle che .in questo 2020 segnato dall’ansia del ritrovare la vita, si presenta ancora sulla strada della testimonianza di ciò che si può ancora ben definire martirio.
La nostra mente è tornata così a tante altre tragedie di questa natura, figlie dei tempi e dei modi di uno sfruttamento eternamente intensivo nella logica del profitto più vorace.
C’è un film “Cristo tra i muratori” del 1949 che riassume questa costante sempre rinnovata evidenza dello sfruttamento e del sacrificio e che potrebbe rappresentarla ancora adesso in questa presunta “modernità”.
Tratto dal romanzo Crist in Concrete di Pietro Di Donato, che ha cercato di coniugare, non senza difficoltà ideali cristiani e prospettive marxiste, il film venne concluso in Inghilterra, a causa degli ostacoli creati al registra per supposte “attività antiamericane”, e racconta la misera vita di Geremia, un muratore italiano nella New York degli anni Venti. L’incisiva recitazione degli attori e l’ambientazione sobria sono in forte sintonia con le poetiche del neorealismo e ne fanno quasi un archetipo della narrazione del dramma del lavoro strappato in cambio del rischio della vita.
Arriviamo così alla memoria di Marcinelle.
L’8 agosto di 58 anni fa, 262 minatori, tra i quali 136 italiani, morirono nelle miniere di carbone a Charleroi, in Belgio, a causa di un incendio. Ricordarli oggi significa trovare nel quotidiano le ragioni che ci fanno ancora cercare una nostra civiltà diversa da questa nella quale che il morire per lavorare fa ancora parte della più stretta attualità. Abbiamo ancora davanti agli occhi una foto dove l’ingresso della miniera di Marcinelle assomiglia tanto all’ingresso di un lager e il pensiero corre immediatamente all’ “Arbeit macht frei”.
Da Marcinelle, 8 agosto 1956, a Vigna Murata e a Vado Ligure 2020, si dimostra ancora per intero la veridicità dell’analisi marxiana: i morti, i sacrificati all’idea del profitto, in quel tempo come adesso, soltanto degli sfruttati portati all’estremo sacrificio. Nella modernità di oggi tutto questo non è finito: pensiamo alle lavoratrici e ai lavoratori esposti, in tutto il mondo, al contagio della pandemia soltanto per ragioni di accumulo di mero profitto. Nel loro dramma si ascolta il respiro del mondo, si misura l’idea di uno sviluppo capitalistico globale che intensifica lo sfruttamento, scuote le relazioni tra le potenze, modifica i rapporti di forza tra le classi, spinge i padroni a schiacciare i proletari. Nell’Occidente sviluppato e maturo emergono tratti di vero e proprio “ritorno all’indietro” alle condizioni sociali della prima rivoluzione industriale, quelle descritte dalle pagine di Dickens o di Zola. Aumenta la pressione sulla condizione operaia in Europa come in America, il Sud del mondo viene usato per esasperare la concorrenza e costruire le condizioni dell’esercito di riserva, si sviluppa la politica imperialista contro i salari. Non si possono coltivare illusioni localiste, nazionaliste, protezioniste: la sola strategia per ricostruire, in Occidente come altrove è quella di una visione internazionalista rappresentativa di tutti gli sfruttati. La memoria di Marcinelle, momento storico esemplare nell’idea della ferocia dello sfruttamento, si lega strettamente a ciò che sta accadendo attorno a noi a Roma come a Vado come altrove e può servire a segnare l’indispensabile costanza della memoria richiamandoci all’altrettanto indispensabile costanza dell’impegno.