di Claudio Zanini
Lorenzo Lotto "Giovane che legge" |
Paesaggi creaturali
Fin dalla prima occhiata, nel Poemetto delle api,
primo capitolo della raccolta poetica Tutte le forme di vita, si coglie la
densa e molteplice ricchezza di significanti che pervade l’intero testo.
La
raccolta è composta di brevi componimenti autonomi, coinvolti tuttavia entro un
continuo flusso poetante e filosofico che conferisce loro una intima e salda
unità di forma e pensiero. Ciascun testo è caratterizzato da un verseggiare
complesso : una miriade d’immagini scaturisce dalla frantumazione del discorso,
dove le parole esprimono una molteplicità semantica all’interno d’un tessuto
d’allitterazioni, salti percettivi, inattesi flashes, rime interne, richiami,
allusioni ad altre cellule del testo. Parole (simboliche e no), che sono “tronchi
fossili” carichi di storia, oppure nomi, sostantivi, aggettivi, forme verbali
che compaiono come inattese schegge di senso, in sotterranea relazione
reciproca. Il loro incontro amplia i significati, ne riflette obliquamente le
immagini e istituisce relazioni sorprendenti. Qui, Claudia mette in campo una
ricchezza lessicale e una magistrale capacità di cogliere ed evocare
connessioni, nella costruzione di senso, nell’intimo nesso di tutte le creature
e delle loro immagini entro un unico organismo vivente.
Ogni
componimento appare quale nucleo compatto che lampeggia di fulminee
illuminazioni, anche per associazioni mentali - come per esempio: “il bombo e la bombarda”, il
“gotico cisalpino veneziano/bombi/bombicina” o “tessuto medioevale/trina
architettonica/segni della natura”; in cui entrano in corto circuito: insetti e
macchina bellica, arte e manufatto, Storia e natura; oppure, il “nerogiallo
delle api” accostato/contrapposto a quello “delle armature dei goti”, e così d’una
Storia naturale e della specie umana.
Tale
concetto di “Storia umana e naturale”, mi ha richiamato subito alla memoria una
serie di piccole opere di Paul Klee in cui convivono, in un sapiente equilibrio
formale, gli elementi più disparati: fiori, animali, insetti, figurine, visi,
geometrie e segni, risolti in forme archetipiche. Anche questi brevi testi di
Claudia, come molte opere di Klee, hanno l’identità di figurazioni immaginali
complesse e gremite di senso. Il senso vasto e profondo che affiora
dall’inconscio millenario.
Paul Klee "Ad marginem" 1930 |
Per esempio, il dipinto Ad marginem (1930) di Klee, è risolto entro un testo pullulante di presenze, che permette diverse modalità di lettura (diritto, rovesciato, destra, sinistra), dove lo spazio è aperto, fluido (non c’è spazialità geometrica o cromatica, né prospettica o assonometrica). Un sole centrale suggerisce l’idea compiuta di cosmo. Parafrasando il titolo del trattato di Klee, Storia naturale infinita, allora la raccolta poetica di Claudia, mi appare come il palinsesto per una Storia creaturale infinita (infinita perché rivolta al futuro) recante il sottotitolo Paesaggi creaturali.
Uno
dei temi principali di tale Storia creaturale, riguarda gli animali e gli
insetti. La loro capacità salvifica. Potrebbero, dunque, salvarci gli animali,
con la loro ineffabile e segreta intelligenza? Sono oscuramente consapevoli che
il loro destino è d’essere incondizionatamente della natura. E di dover
perseguire l’incessante e paziente lavorio di connessione d’ogni suo elemento,
all’interno d’un disegno complessivo, al fine di ricostituire un universo di
relazioni, vivibile per ogni creatura e forma di vita. Claudia cita una miriade
d’animali (che ben potrebbero figurare in un kleeiano ma anche borgesiano Bestiario
fantastico); tra questi, “il gatto, che ha vita immaginale”, e “l’essere
veggenti delle cicale” in un’epoca d’omologazione assoluta; accanto a “la
mitezza della lupa”, “la civetta occhiuta” è sempre all’erta e “l’ermellino
bianco che piuttosto muore che insozzare il candido manto”; mentre affermano la
loro esistenza “clan di scimmie immutabili” insieme al fervido e costante agire
d’altri innumerevoli umili esseri nel ventre guasto della macina della storia. Sebbene
“gli insetti si vanno spegnendo”, essi, irriducibili, lavorano per il futuro.
Corrisponde
e si oppone a questa sotterranea realtà vitale, sebbene appariscente forse solo
all’acuminato sguardo poetico dell’autrice, la dolente realtà del presente, dove
la creatura homo sapiens vive l’immediato e ansioso qui e ora (il “dopo gli è
indifferente”), soffocato in un’esistenza da topi in una terra bruciata,
mettendo in pericolo la propria e l’altrui sussistenza. Il suo linguaggio è
corrotto dai “neologismi già putridi della neolingua”. Una lingua arida,
omologata a quella dei mercati finanziari e delle merci, che caratterizza gli ”uomini
vuoti” (Eliot) che hanno perduto la tagliente qualità dell’ironia (del witz) e
l’abitudine al riso liberatorio (“non v’ha arte senza riso”). Anche Jarry e
Artaud sono chiamati a evocare l’estrema libertà della loro lingua selvaggia,
in cui l’inconscio liberato perversamente rivela la dolorosa frammentazione
dell’Io contemporaneo: individuo dall’avida brutalità, che si aggira in un paesaggio
creaturale irrimediabilmente devastato.
Alla
parola arida e tradita, costretta entro un vuoto di segni e significati Claudia
oppone la bellezza di questa raccolta, che racchiude tutto “lo splendore del
libro miniato”. Infatti, alla presenza continua degli animali nel contrasto
allo sconfortante Stato delle cose, s’accompagna l’ostinato recupero e
salvataggio dall’oblio di accadimenti e vicende sotto cui, in trasparenza,
affiorano vividi residui della Storia alta, dell’Etica civile.
Si
percepisce, in questo franto e appassionato poema, la costante presenza di
“cose”, nella loro sofferta carnalità (grevi, logore, vissute, scarnificate).
Sono materiali (nomi, corpi, cose, eventi fattuali…) da cui traspare la memoria
profonda e migliore della specie: le tracce di “eroi e tombe”, dei miti
immortali, delle stagioni di quando gli dèi se ne sono andati sigillando
un’epoca remota di cui custodiamo aurei indizi.
Sono
versi sovente velati da un’accorata tristezza che li percorre come dolente
vena, da cui, tuttavia, si levano inattesi momenti di feroce ironia e aspre
invettive, che richiamano ciascuno alla consapevolezza morale e civile.
Raro
e luminoso materiale di recupero, in grado ancora di dare un senso a “tutto ciò
che accade”, vale a dire, (per Wittgenstein), al Mondo; mentre della bellezza
non rimane che la spoglia mirabile da difendere e custodire. Consapevole della
rovina della vicenda umana, il poeta, che solo ha la “voce che splende nella
bocca”, ansiosamente cerca chi se ne prenderà carico.
Claudia Azzola
Tutte le forme di vita
La
Vita Felice, Milano, 2020.
Pagg.
72 € 12,oo
***
IN VERSI
Abbiamo scelto questo testo poetico di Claudia
Azzola,
perché ci è sembrato il più adatto al momento storico
in cui ci
troviamo a vivere, ma anche per le vicende
che hanno riguardato persone e
vicende a noi vicine.
Non
c’è un “io” più fragile di quello
che
non dice mai un witz, fragile
alga
rossa in un vaso di vetro,
non
sappiamo quanto la struttura
del
corpo reggerà l’onda d’urto
sulla
spina dorsale e negli organi
interni
ostacolo
oracolo
miracolo
nevrosi
naturale
abitacolo
voce
dallo s-profondo,
non
v’ha arte senza il riso,
il
vero che per poco si afferra,
vena
rossa di terra, anima:
atomo
che ci precede e sfugge.
[Claudia
Azzola]