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giovedì 2 luglio 2020

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


IL PASSATO

Una radice, che ha fatto un lungo cammino nel tempo e nello spazio, nel senso che, coniata in Grecia, è passata nella cultura latina, poi in quella italiana e, in particolare, dell’area magnogreca, è παθ, da tradurre “fa generare il crescere o fa dal crescere” ed è da interpretare nella logica del pastore e delle metafore che il pastore ne deduce, per rendere, verbalmente, ciò che cade sotto i suoi occhi, i vissuti, gli stati d’animo, le sensazioni, i sentimenti.  Quindi, da παθ, con le desinenze -η -ης (dal generare il legare), è stata coniata πάθη, stato passivo, accadimento, male, sofferenza, che potrebbe far pensare all’incipiente gravidanza e a ciò che provoca alla gestante, divenendo. Sicuramente, da un contesto del processo generativo, il pastore estrapola un fenomeno complesso: un evento sopraggiunto, che si subisce, determinando malessere fisico.  Da πάθη, come male che genera sofferenza, è stata dedotta patologia, ma, soprattutto, è stato coniato il verbo πάσχω, provo, provo impressione, sentimento, sensazione, soffro, subisco, mi trovo in uno stato d’animo, per rendere che cosa si prova durante quell’accadimento e nelle fasi del processo.  Da πάθη, con altri calchi, è stato formato παθητός, chi ha sofferto, da cui patetico, che è il modo di essere di chi ha sofferto; quindi, patema (deduzioni dialettali: appatimiscid’ e appat’mut’) inteso come accidente, affezione, sofferenza, afflizione; e ancora, simpatia ad indicare l’attrazione per, e antipatia. Lo psicologo moderno ha quindi coniato il sostantivo empatia e il rapporto empatico, come capacità di comprendere stati d’animo, senza la comunicazione verbale, e ha dedotto ancora apatia e apatico, designando con questo attributo colui che non si lascia coinvolgere in nulla e per nulla.  Per esprimere le sensazioni/i sentimenti, che prova la madre per la sua creatura dal momento del concepimento fino alla nascita e oltre, forse anche per un evento drammatico, tragico e infausto, è stato coniato il lemma patos, da cui sono stati dedotti, nella cultura italica, passione, come sentimento di forte e intensa attrazione per, con totale coinvolgimento emotivo, nonché appassionato e spassionato. Successivamente patos è stato utilizzato per indicare sentimenti ineffabili, quelli che si provano per le vicende dell’eroe delle tragedie, che sono analoghi a quelli che prova e vive intensamente la madre, durante il travaglio: sofferenza intensa e pervasiva, ma piena di passione e di amore.  La radice, approdata nell’antica Roma, è stata reinterpretata e ha dato luogo, innanzitutto, a pateo: sono visibile, sono aperto, sono praticabile, significati questi dedotti presumibilmente, dalla crescita del grembo. Quindi, con il calco del participio presente, è stato ricavato patente, colui/ciò che è aperto, visibile, da cui poi patente, titolo professionale abilitativo, che deve essere a tutti visibile e che consente di poter esercitare un’arte, come la iettatoria, di cui parla, in modo esilarante, Pirandello nella omonima novella. Inoltre, i latini, che conoscevano pate e pasco, verbo greco, hanno coniato il verbo deponente patior, soffro, sopporto, tollero, concetti dedotti dai processi della gravidanza. Quindi, con i calchi, è stato derivato il participio presente paziente, la pazienza (gli italici spazientirsi); da passus sum, ho sofferto, è stato ricavato passio Domini, compassione, passibile e passibilità e finanche patibolo. Sono stati infine dedotti tutti i significati contenuti in passivo, già riverberati in πάθη.  Da παθ, sembrerà strano, è stato ricavato il passo, inteso come crescita progressiva verso il traguardo finale; quindi passare, passaggio e il passato: quante ne ho passate!  Se crono e tempo sono metafore del grembo e rappresentano il fluire della vita, il pastore ha riscontrato, nel processo formativo dell’essere, il presente, il passato e il futuro. Il presente è la realtà del grembo in fieri, che non solo fluisce, determinando il passare, ma, nella sua staticità, dura, anche se per poco. Il presente, inoltre, è proiettato costantemente verso la nascita, che non solo rappresenta ciò che sarà, ma anche ciò che necessariamente sarà: deve essere, in dialetto: ha da iess’ (determinismo meccanicistico).  In quel che ha vissuto la creatura nel grembo - pochi momenti di felicità, tante traversie e peripezie - si rispecchia il passato dell’uomo, che diventa memoria esperienziale comune, soffusa, talvolta, di nostalgia, che si accetta e non si rinnega, che testimonia la fatica del vivere e che, comunque, è parte integrante della propria identità.