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martedì 25 agosto 2020

Taccuino
A MÒNITO
di Angelo Gaccione

Castiglione delle Stiviere
Palazzo Pastorio

 Patrioti, lapidi e polvere

Cosa deve essere stata la battaglia del 24 giugno 1859 lo rivelano le parole di quello che diverrà l’ispiratore della Croce Rossa Internazionale, lo svizzero Jean Henry Dunant: “Il campo di battaglia è in ogni parte coperto di cadaveri d’uomini e cavalli; le strade, i fossati, gli avvallamenti, le macchie, i prati sono cosparsi di corpi morti, e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente coperti. I campi sono devastati, i frumenti e il grano turco sono calpestati, le siepi rovesciate, i frutteti saccheggiati, di tratto in tratto si incontrano pozze di sangue”. Dunant era un uomo d’affari e dunque poco abituato alle carneficine dei campi militari, perciò ne restò fortemente impressionato: “Il sole del 25 illuminò uno degli spettacoli più spaventevoli che si possano presentare all’immaginazione”, sono ancora parole sue. La lapide che ho potuto vedere a Castiglione delle Stiviere murata sulla facciata del Palazzo Pastorio, quasi attaccato al Duomo, ci informa, infatti, che nei giorni seguenti fu tra quanti prestò ai numerosi feriti, con slancio caritatevole, la sua opera di soccorso, e proprio in quei giorni maturò l’idea di un organismo che poi divenne la Croce Rossa. 

La lapide murata a Palazzo Pastorio

Messe a confronto con le due guerre mondiali, per quanto spaventose potessero essere quelle precedenti, comprese le guerre di Indipendenza italiane, restano pur sempre poca cosa. La stessa guerra dei Trent’anni è poca cosa, anche se teniamo per buone le ricerche storiche più recenti che parlano di circa 12 milioni di morti complessivi, nel corso dell’intero trentennio.
Morti di nazionalità diverse a San Martino come a Solferino, e i cui resti oggi riposano assieme (almeno la morte non discrimina) negli ossari. Fra tanti crani, femori e arti umani di ogni sorta, non c’è posto per un solo “osso” di animale. Non se ne conserva memoria nelle due località risorgimentali; eppure, gli uomini hanno obbligato migliaia di animali a subire il terrore delle loro battaglie, con le devastazioni, le mutilazioni, il sangue, e il fuoco, che li ha travolti. Molti di essi hanno salvato la vita a soldati e comandanti o ne hanno favorito la gloria, ma non c’è lapide, né cippo, né iscrizione, che lo ricordi ai posteri. 

Solferino
La lapide in Piazza Castello

Una lapide murata in Piazza Castello ricorda invece la fierezza di Giuseppe Casnici che si opposeal prestabilito disegno austriaco d’incendiare l’abitato e le messi”. Proprio così dice la scritta: incendiare abitato e messi.
Nel leggerla mi sono detto che una minaccia così disumana avrebbe spinto chiunque, non solo i patrioti, ad imbracciare le armi contro l’austriaco invasore e i loro mercenari. Perché di mercenari ce ne sono sempre stati negli eserciti e nelle guerre, e il saccheggio per il bottino era ampiamente autorizzato da condottieri e prìncipi, come lo erano lo stupro e l’incendio. La presenza di mercenari contribuiva a rendere la guerra ancora più spietata e malvagia nei suoi esiti. Perché una cosa è certa: le guerre fanno emergere il peggio degli individui; li rende bestie più feroci di quanto già abitualmente non siano.

San Martino
La Torre Museo

Contrariamente alla “giovane” Torre circolare di San Martino della Battaglia, dedicata a Vittorio Emanuele II, alla cui sommità di 74 metri di altezza si può salire  percorrendo una rampa a spirale molto comoda e agevole, gustandosi i giganteschi affreschi dedicati al Risorgimento e quant’altro contenuto in quello che è in realtà un vero e proprio Museo, un complesso monumentale, per spaziare tutt’intorno ai vigneti ordinati in filari, ad una campagna ben tenuta e facendo volare lo sguardo fino al lago di Desenzano, alla penisola di Sirmione e ai monti che delimitano parti dell’orizzonte, la Rocca di Solferino è  una torre vetusta, risalente addirittura al primo ventennio dell’anno Mille. Ha la forma quadrata e si innalza per soli 23 metri d’altezza. Ma poiché è posta sulla sommità di un colle che si eleva di oltre 200 metri spaziando a perdita d’occhio sull’intera pianura circostante, tanto è bastato perché passasse alla storia con l’appellativo di “la Spia d’Italia”. Questa posizione strategica di prezioso “osservatorio”, si rivelò importantissima durante la Seconda guerra di Indipendenza. Vi si accede attraversando l’ampia piazza rettangolare, varcando la Porta a tutto sesto delle mura e salendo a piedi fino alla cima.

Solferino. La Rocca

In tutta la cittadina si respira un’atmosfera patriottica e sono tanti gli elementi che ve lo ricordano. Naturalmente non potrebbe essere altrimenti; ma a lasciare un’impressione più profonda (almeno per me è stato così), è la chiesa di San Pietro in Vincoli con il suo immenso ossario. I resti di settemila caduti di almeno tre eserciti diversi, molti di loro giovanissimi, hanno trovato qui pietosa sepoltura. È davvero impressionante vedere tutti questi teschi ammassati alle pareti: migliaia di vite che non hanno fatto più ritorno alle loro case, ai loro affetti; figli privati all’abbraccio di madri che li hanno attesi invano. Dovrebbero rappresentare un severo monito per i contemporanei questi poveri resti: di noi, in caso di guerra nucleare, non si potrà raccogliere neppure la polvere. 


Solferino
San Pietro in Vincoli. Ossario

ALBUM

Solferino. Piazza Castello


La Rocca

Lapide commemorativa