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lunedì 3 agosto 2020

TEMPO E MEMORIA
di Angelo Gaccione

Fulvio Papi

Appunti sul libro di Papi

Gabriele Scaramuzza nella sua nota al libro di Papi: Per andare dove. 1934-1949, ha mostrato in dettaglio la materia che lo nutre, e dunque mi asterrò dal ripetere cose che egli ha messo in rilievo così bene. La mia riflessione (perché i libri sono vivi se suscitano riflessioni) si concentrerà, invece, su due degli elementi che a me paiono indispensabili: il tempo e la memoria. Che poi sono gli ingredienti senza i quali non è possibile alcuna narrazione, e dentro i quali: luoghi, avvenimenti e personaggi, trovano la loro collocazione. Ed è questo binomio che sorregge il libro di Papi, trattandosi oltretutto di uno spaccato autobiografico. Papi ci aveva raccontato in altri libri, seppure parlando più degli altri che di sé, più di vicende collettive che di fatti personali, brandelli della sua esistenza. Erano brandelli di una vita già formata e consolidata, il cui percorso si era oramai tutto innervato nella attiva militanza socialista, con la direzione del quotidiano l’Avanti!, l’impegno intellettuale, la ricerca filosofica, il lavoro universitario, l’impronta determinante a “Corrente” e alla “Casa della Cultura”. Poco o nulla sapevamo invece della sua adolescenza; del padre e dei nonni emiliani in una terra quasi per vocazione antifascista dove “l’attenzione per chi sta peggio è la forma più elementare di socialismo”. E della madre e dei nonni triestini, in quella Trieste che gli darà i natali e a cui resterà sempre legato, manifestando spesso, anche in età tarda, una nostalgia ferita, per usare una poetica espressione di Eugenio Borgna. A Trieste Fulvio passerà un tempo non trascurabile per la formazione del suo io, nell’arco del quindicennio che la sua penna ci racconta. Vi passerà molte estati anche dopo il trasferimento dei suoi genitori a Milano avvenuto per ragioni di lavoro. Ed è certo che quella città di confine fatta di mare e di luce, di primi turbamenti e di libertà; di lingua e di clima, con il suo substrato umano ed affettivo, si siano incisi in lui più di quanto si possa immaginare. L’ho spesso sentito parlare con maggiore affetto e trasporto più di Trieste e di Stresa, nel corso dei nostri incontri a casa sua in questi anni, che di Milano: città che pure ha avuto una notevole importanza per la sua formazione intellettuale e per l’apporto che la sua intelligenza ha dato all’alta cultura nel dibattito pubblico. Ma la trasformazione (in peggio) dei rapporti, della ricomposizione sociale e della gestione della cosa pubblica, degli ultimi decenni, lo hanno reso estraneo al suo divenire e critico verso certe derive.

Papi di spalle con il presidente
della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
e Aldo Aniasi (13 aprile 2002)

Trieste e Stresa: due luoghi del tempo e della memoria che hanno contribuito  alla sua moralità e al suo sentire. La passione e la ragione che formeranno il futuro filosofo e l’adulto, sono racchiuse in quel tempo adolescenziale. Potremmo usare per lui giovinetto, le stesse parole che egli impiega per il suo giovane padre “socialista senza dottrina”, ma sorretto da un forte sentimento divenuto abitudine di vita. Un’abitudine che diventa un “criterio morale per giudicare i fatti del mondo”. Le esperienze di giovane studente a Stresa nel clima delle brutalità nazifasciste, formeranno il suo “sentimento” di giovane socialista, che la ragione e lo studio contribuiranno in seguito a solidificare.

Fulvio Papi sul balcone di casa sua
con Gaccione (luglio 2014)

Lo sappiamo bene: l’adolescenza conserva la sua incertezza nella ricostruzione di un suo equilibrio. E quel: per andare dove che il titolo esibisce, suona come un interrogativo alle nostre orecchie. Si va verso un traguardo se le premesse e le condizioni lo renderanno possibile, e non è detto che queste si combinino secondo le nostre volontà ed aspirazioni. È tutto affidato al caso, a un puro gioco del destino.
Il tempo e la memoria, dicevamo. Il tempo si trasforma sempre in un tempo della memoria e spesso finisce per diventare un tempo mitico, felice, non necessariamente nostalgico. Un tempo che la memoria cerca di ricostruire, ma che come tutto il tempo che ci è sottratto, è un tempo perduto, destinato a rimane come un rimorso perenne. È un tempo che si è inesorabilmente dissolto, liquefatto, e che solo la memoria può trattenere o ritornarvi; senza questa memoria che trattiene, nulla sarebbe esistito e tutto verrebbe cancellato. 

Papi alla Fondazione Corrente
con i poeti Vittorio Sereni (al centro)
e Mario Luzi (a sinistra) nel 1981

Molti anni orsono mentre mi trovavo in villeggiatura a Spotorno, ebbi la fortuna di visitare la casa del poeta Camillo Sbarbaro. Appartiene ad altri, ora, quella casa, e gli echi dell’esistenza del poeta sono andati perduti. Mi vennero alla penna questi versi che sulla memoria costruiscono la loro ragione:

“(…) Se può è la memoria a far da muro

a mettere radici, a trattenere

o la parola eterna dei poeti

che si fa pane e mai muta sapore…

Ecco, leggendo il libro di Fulvio Papi, mi è parso di riassaporare il sapore buono del pane, sentirne il profumo che la sua memoria ha saputo, nel tempo, custodire.  

***


PER ANDARE DOVE
di Gabriele Scaramuzza

 
La copertina del libro
È un’opera autobiografica Per andare dove, benvenuta ai miei occhi. Supera d’incanto le inibizioni che Fulvio Papi mi ha procurato con La biografia impossibile (Ibis, Como-Pavia, 2011); dove peraltro impraticabili, leggo, sono “biografie che immaginino di raccontare la verità di una esistenza”. Non qualsiasi biografia.  
Almeno nella prima parte di Per andare dove non c’è alcun immediato rapporto con la verità di un’esistenza singolare, ma un continuo differimento, un costante prendere le distanze di sé da sé. Quasi lo scrittore si guardasse attraverso uno specchio: la scrittura sembra ritorcersi di continuo su se stessa, in uno specchio senza fondo di rimandi. Il che non toglie che il sé allontanato torni nella tinta malinconica che, a quanto mi è dato avvertire, avvolge il testo. E non solo, non valgono specchi ad attutire, distanziandola anche di poco, la violenza della storia. Allora “il ragazzino che si guardava allo specchio” (p. 71) è costretto a fissar dritto lo sguardo davanti a sé, nessuno specchio è più disponibile per mediare l’impatto con la “durezza del reale”. C’è immediatezza nelle pagine che riguardano gli anni della tempesta, non me ne voglia l’Autore se confesso che queste sono le pagine che più sento mie.      
Mi ha in primo luogo toccato da vicino il fatto che l’epoca e l’ambiente, oltre alla personale sensibilità - prima di ogni “sapienza storica” e approfondimento “dottrinale” - abbiano maturato in Papi “una passione politica per il socialismo” (p. 12), che è rimasta poi costante in lui fino ad oggi - e che è anche mia. Anche per me non nasce dal nulla, bensì da esperienze personali, tra cui fondamentale “la considerazione dei milioni di contadini poveri e, per lo più, analfabeti, mandati, del resto con un armamento ancora inadeguato, a combattere e a morire su un fronte che dal mare arriva sino alle Alpi, e sotto il comando di un generale, violento, aggressivo, superbo della propria ottusa vanità caratteriale, e probabilmente molto mediocre come stratega militare” (p. 9). Riguarda la prima guerra mondie, certo; ma può ben riferirsi anche alla seconda, e a tante altre guerre.


Non poche cose in seguito ci accomunano: il metodo di insegnamento dell’alfabeto alle scuole elementari “del tutto opposto a quello globale” (p. 36); il disegno come “scoglio insuperabile”, con annessa angoscia delle brocche da copiare (56); l’idiosincrasia per la ginnastica; la noia del Catechismo. Appartengono anche a me agrette, krapfen e baggiane, “piaga” e semi di zucca, occhi della Madonna e tirasassi; l’“immagine romantica del femminile” (ma per me non era Alida Valli bensì Pola Negri); la raccolta dei francobolli, il gioco delle bocce, le rane nei fossati, l’acqua limpida e i pesci nei canali, nelle rogge, nei fiumiciattoli che attraversano Milano: Olona Lambro Redefossi Seveso… (poi maleodoranti, sporchi e invivibili, perciò coperti). Comune l’attrazione per le parate militari (che per me furono nel dopoguerra quelle di Corso Sempione, con netta preferenza per i Bersaglieri); la scarsissima simpatia per Topolino (come poi per me anche per “Il Vittorioso”), per i fumetti (che in seguito tuttavia, come Papi, imparai ad apprezzare); la simpatia per Salgari. E soprattutto l’essere “educato più all’ordine che alla libertà” (p. 53).
Comune (ma in senso assai diverso, data la differenza di età) la memoria del primo bombardamento pesante di Milano il 24 ottobre del ’42; e dello sfollamento che presto ne seguì. Ma poi per Papi la salvezza fu a Stresa e lì i Rosminiani; per me Inzago. Eventi che comunque, forse indebitamente, si intrecciano nel mio immaginario.
Ci sono nomi vivi anche per me: Carlo Emilio Gadda, Franco Loi, Umberto Saba e con lui Vittorio Sereni, Ernesto Treccani, Quintino e il figlio Pietro Di Vona, Daria Banfi Malaguzzi, Rilke donato da Elvira Gandini. L’Aida nel cortile di San Giusto preannuncia, nella mia ottica arbitraria, la figura di Marcello Conati, verdiano sommo, che per Papi assume un grande rilievo negli anni passati insieme al Liceo Carducci.
Non condivido però l’amore per il gioco del calcio, che non ho praticato mai, né mai mi ha granché interessato. Solo una volta sono andato a San Siro, allora inevitabile iniziazione alle maschie virtù, a vedere un Milan (il Milan di Schiaffino…) che perse contro l’Inter. Lontano, soffocato tra gente esagitata, urlante e scattante a comando; senza nulla capire di quanto avveniva in campo. Non ebbi alcuna voglia di tornarvi, né di seguire le partite alla radio (devo però averle sentite qualche volta, se mi è rimasta impressa la voce di Nicolò Carosio), né poi alla televisione. 
A me sconosciute per ovvi motivi, e perciò seguite con partecipazione, le pagine su Trieste prima e dopo la guerra; in particolare quelle sulla Risiera di San Sabba e l’atmosfera omertosa che la circondava (p. 87). Con grande interesse ho letto il capitolo “Balilla Moschettiere”, le pagine sull’educazione fascista, mistica fascista inclusa, a me ignota se non per sentito dire; il racconto esilarante del raduno davanti alla scuola, la “parata” tra Corso Italia e l’Arena. Inutile poi dire quanto mi abbia coinvolto il racconto degli anni tra il 25 luglio e l’8 settembre, fino alla Liberazione e al ritorno a Milano, che tanto rievoca il mio ritorno a Milano: macerie e trenini che le trasportano, freddo non alleviato dalle stufe a legna, la rarità del pane bianco.

Papi di spalle con Scalfaro e Aniasi

Un capitolo a sé meriterebbero le canzoni dell’anteguerra, non tutte però così insulse, sentimentaloidi e banalmente orecchiabili (ma perché dovrebbe essere un difetto, quest’ultimo?); e propagandistiche quali Faccetta nera o Ti saluto. Non c’era solo Rabagliati, talune erano maliziose, ricche di doppi sensi come La torre di Pisa, argute; perché non ricordare il Trio Lescano, Maramao perché sei morto, Ma le gambe, È arrivato l’ambasciatore, Pippo non lo sa, Tuli-Tuli-Pan. Perché dimenticare la malinconia di alto livello di Signorinella. Nel mio vissuto anticipa la strada che condurrà ai vertici di Lili Marleen.
Insospettabile per me la derivazione da Spengler (p. 44) delle parole iniziali del discorso del 10 giugno 1940 dal balcone di Palazzo Venezia (ero troppo piccolo per poter dire che l’ho ascoltato): “Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria”.   
Per andare dove infine marca l’incertezza di un cammino, e l’indeterminatezza dell’esito cui conduce. Fulvio Papi più di una volta mi ha sottolineato che non c’è un destino tracciato che predetermina una vita, bensì il farsi mutevole e cangiante di ogni esistenza sotto l’urto delle circostanze storiche, ambientali e personali che si attraversano. Per parte mia aggiungo: Per andare dove riguarda la direzione della vita, o di quel tratto di vita, il suo futuro. Ma certo riguarda anche lo scrivere, questa narrazione: perché scriverla, dove conduce lo scriverla e, ora, l’averla scritta? Cosa produrrà nell’esistenza dello scrittore, e nella vita di noi che lo leggiamo? La scarsa possibilità di rispondere al perché (cosa che altrove Papi ha sottolineato), dà comunque senso alla domanda circa il senso, il rapporto tra l’autore e il testo.
La mia convinzione è che una risposta sia reperibile leggendo, lasciandosi prendere dai modi, dal ritmo della scrittura. Non inseguendo meditazioni astratte, formulando ipotesi discorsive a sé stanti.


Fulvio Papi
Per andare dove 1934-1949,
Mimesis, Milano-Udine 2020,
pp. 142, € 12,00   


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L’AUGURIO DEL FILOSOFO CARLO SINI A PAPI

Carlo Sini

Caro Fulvio, con l’augurio più fervido il ringraziamento per tutto ciò che, in tanti anni, ci hai insegnato e donato col tuo pensiero sempre giovane e con un esempio altissimo di onestà civile e generosità umana.
Il tuo
Carlo Sini

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PER FULVIO PAPI


Fulvio Papi e Gian Carlo Ferretti
alla Casa della Cultura
in occasione della presentazione
del numero monografico di "Capoverso"
dedicato a Pier Paolo Pasolini

(3 novembre 2016) Archivio "Odissea"

“A Fulvio Papi per il suo novantesimo compleanno, con gli auguri più affettuosi e riconoscenti da parte di tutti noi, che tanto gli dobbiamo di sapere e di umanità”.


Carlo Felice Besostri
Silvana Borutti
Roberto Diodato
Gian Carlo Ferretti
Angelo Gaccione
Tomaso Kemeny
Fabio Minazzi
Emilio Renzi
Franco Sarcinelli
Gabriele Scaramuzza
Gianni Trimarchi
Silvia Vegetti Finzi
Gli amici di “Odissea”
di “Materiali di Estetica”
della “Casa della Cultura”
della “Fondazione Corrente”