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sabato 26 settembre 2020

DISTRUGGERE ARMI E MILITARISMO
di Giuseppe Natale



26 Settembre: Giornata contro le armi nucleari
 
Il 26 Settembre è la Giornata contro le armi nucleari istituita dall’ONU. Con la scelta di questa giornata, alla vigilia della ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, si vuole ricordare Stanislav Petrov, militare sovietico addetto al controllo del sistema di difesa antimissilistica, che il 26 settembre 1983 salvò l’umanità dalla catastrofe nucleare. Non avvisò il comando superiore quando sul suo computer apparvero tracce che sembravano di missili americani. In effetti si trattava di riflessi di onde elettromagnetiche e non di attacco nucleare. Con questo gesto, l’“uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto”, rischiando pesantissime sanzioni, evitò la guerra nucleare totale per errore.
Il rischio persiste sempre e, oggi, ci troviamo nella situazione in cui le maggiori potenze nucleari non vogliono firmare il Trattato di messa al bando delle armi atomiche, mentre sono in aumento le spese militari. Addirittura si vuole affidare a tecnologie sofisticate di “intelligenza artificiale”!, come i 5G, l’uso militare della cosiddetta “deterrenza nucleare”, che dissuaderebbe aggressioni nemiche. Qui siamo alla follia pura: si continua a pensare che per evitare la guerra, addirittura anche quella atomica, occorra armarsi sempre di più, per giunta affidandosi a strumenti tecnologici che possono sfuggire al controllo umano. La spada di Damocle della catastrofe nucleare per errore pende sulla testa dell’umanità.
Un appello dei Disarmisti esigenti, mette in evidenza che “un altro passo sciagurato che abbassa la soglia nucleare è quello di ammodernare e potenziare le armi nucleari tattiche, che servono per la guerra ‘di teatro’ in Europa.”
E l’Italia che fa? Si accoda alla politica militare degli USA e della Nato, mentre l’Unione Europea non riesce (non vuole?) a scegliere la strada dell’autonomia e dell’indipendenza piena, l’unica adeguata ad avviare un processo di superamento dei vecchi blocchi militari adottando una strategia lungimirante per la pace e la solidarietà tra i popoli.
La bussola deve essere l’art. 11 della nostra Costituzione:L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Purtroppo sono tante le volte in cui i governi italiani hanno violato e violano il dettame di questo lapidario articolo pacifista (interventi a fianco degli USA e della Nato in Iraq, Afganistan, ex Iugoslavia…).


 
Anche altri articoli della Costituzione vengono violati quando le classi dirigenti del nostro Paese dimostrano di non tutelare la piena indipendenza dell’Italia e contribuiscono assai poco a una necessaria e urgente politica europea autonoma. Ad es. non ha senso ed è assai pericoloso continuare ad ospitare basi militari ed ordigni nucleari americani sul nostro territorio; è riprovevole che l’Italia non abbia ancora firmato il Trattato internazionale di messa al bando delle armi nucleari. Gridano vendetta le enormi spese militari del nostro bilancio statale (che Trump ha la spudoratezza di chiederci di aumentare): 100 milioni al giorno, 36,5 miliardi all’anno. Anziché autoridursi (o auto castrarsi) il Parlamento sapeva dove poter risparmiare!


 
In piena crisi ambientale, sociale e sanitaria è arrivato il momento per le classi dirigenti (almeno per una parte di esse) di interrogarsi sul triste primato di essere tra i maggiori Paesi produttori ed esportatori di armi. La invocata e spesso ipocritamente proclamata riconversione economica per uno sviluppo sostenibile non può non prevedere anche la riconversione dell’industria delle armi in azioni e produzioni di pace. È certo che il necessario cambiamento radicale può avvenire, non tanto o soltanto se migliora la classe politica, ma soprattutto se si rafforzano e si diffondono al maggior numero possibile di persone, in quanto società civile e cittadinanza attiva, la consapevolezza e la volontà di partecipare al governo del Bene comune. In questa direzione va la ripresa dell’impegno civile contro il riarmo e per il disarmo e la pace, di cui sono protagonisti periodicamente i diversi movimenti che si sono succeduti nel corso degli ultimi settant’anni.



Accanto e in alleanza con i movimenti per la giustizia sociale e contro le disuguaglianze, per la giustizia ambientale e contro la distruzione dell’habitat naturale, deve rinascere il movimento per la pace e per il disarmo contro tutte le guerre e la catastrofe nucleare. In questa direzione va la Rete Italiana Pace e Disarmo, nata dalla unificazione delle due Reti storiche, quella per il disarmo (2004) e quella per la pace (2014), a cui aderiscono diverse associazioni e comitati di cittadinanza attiva. Si impone - si legge nella nota di presentazione (22 settembre scorso, Giornata ONU per la Pace) - un’azione congiunta in uno scenario internazionale preoccupante di imponente crescita degli armamenti e degli strumenti di morte che sottraggono enormi risorse per le opere di pace e per gli interventi contro la povertà.