26 Settembre: Giornata
contro le armi nucleari Il
26 Settembre è la Giornata contro le armi
nucleari istituita dall’ONU. Con la scelta di questa giornata, alla vigilia
della ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, si vuole
ricordare Stanislav Petrov, militare sovietico addetto al controllo del sistema
di difesa antimissilistica, che il 26 settembre 1983 salvò l’umanità dalla
catastrofe nucleare. Non avvisò il comando superiore quando sul suo computer
apparvero tracce che sembravano di missili americani. In effetti si trattava di
riflessi di onde elettromagnetiche e non di attacco nucleare. Con questo gesto,
l’“uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto”, rischiando pesantissime
sanzioni, evitò la guerra nucleare totale per errore. Il
rischio persiste sempre e, oggi, ci troviamo nella situazione in cui le
maggiori potenze nucleari non vogliono firmare il Trattato di messa al bando
delle armi atomiche, mentre sono in aumento le spese militari. Addirittura si
vuole affidare a tecnologie sofisticate di “intelligenza artificiale”!, come i
5G, l’uso militare della cosiddetta “deterrenza nucleare”, che dissuaderebbe
aggressioni nemiche. Qui siamo alla follia pura: si continua a pensare che per
evitare la guerra, addirittura anche quella atomica, occorra armarsi sempre di
più, per giunta affidandosi a strumenti tecnologici che possono sfuggire al
controllo umano. La spada di Damocle della catastrofe nucleare per errore pende
sulla testa dell’umanità. Un
appello dei Disarmisti esigenti,
mette in evidenza che “un altro passo sciagurato che abbassa la soglia nucleare
è quello di ammodernare e potenziare le armi nucleari tattiche, che servono per
la guerra ‘di teatro’ in Europa.” E
l’Italia che fa? Si accoda alla politica militare degli USA e della Nato,
mentre l’Unione Europea non riesce (non vuole?) a scegliere la strada
dell’autonomia e dell’indipendenza piena, l’unica adeguata ad avviare un
processo di superamento dei vecchi blocchi militari adottando una strategia
lungimirante per la pace e la solidarietà tra i popoli. La
bussola deve essere l’art. 11 della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.Purtroppo sono tante le volte in cui i governi italiani hanno
violato e violano il dettame di questo lapidario articolo pacifista (interventi
a fianco degli USA e della Nato in Iraq, Afganistan, ex Iugoslavia…).
Anche
altri articoli della Costituzione vengono violati quando le classi dirigenti
del nostro Paese dimostrano di non tutelare la piena indipendenza dell’Italia e
contribuiscono assai poco a una necessaria e urgente politica europea autonoma.
Ad es. non ha senso ed è assai pericoloso continuare ad ospitare basi militari
ed ordigni nucleari americani sul nostro territorio; è riprovevole che l’Italia
non abbia ancora firmato il Trattato internazionale di messa al bando delle
armi nucleari. Gridano vendetta le enormi spese militari del nostro bilancio
statale (che Trump ha la spudoratezza di chiederci di aumentare): 100 milioni
al giorno, 36,5 miliardi all’anno. Anziché autoridursi (o auto castrarsi) il
Parlamento sapeva dove poter risparmiare!
In
piena crisi ambientale, sociale e sanitaria è arrivato il momento per le classi
dirigenti (almeno per una parte di esse) di interrogarsi sul triste primato di
essere tra i maggiori Paesi produttori ed esportatori di armi. La invocata e
spesso ipocritamente proclamata riconversione economica per uno sviluppo sostenibile
non può non prevedere anche la riconversione dell’industria delle armi in
azioni e produzioni di pace. È certo che il necessario cambiamento radicale può
avvenire, non tanto o soltanto se migliora la classe politica, ma soprattutto
se si rafforzano e si diffondono al maggior numero possibile di persone, in
quanto società civile e cittadinanza attiva, la consapevolezza e la volontà di
partecipare al governo del Bene comune. In questa direzione va la ripresa
dell’impegno civile contro il riarmo e per il disarmo e la pace, di cui sono
protagonisti periodicamente i diversi movimenti che si sono succeduti nel corso
degli ultimi settant’anni.
Accanto
e in alleanza con i movimenti per la giustizia sociale e contro le
disuguaglianze, per la giustizia ambientale e contro la distruzione
dell’habitat naturale, deve rinascere il movimento per la pace e per il disarmo
contro tutte le guerre e la catastrofe nucleare. In questa direzione va la Rete
Italiana Pace e Disarmo, nata dalla unificazione delle due Reti storiche, quella per il disarmo
(2004) e quella per la pace (2014), a cui aderiscono diverse associazioni e
comitati di cittadinanza attiva. Si impone - si legge nella nota di
presentazione (22 settembre scorso, Giornata ONU per la Pace) - un’azione
congiunta in uno scenario internazionale preoccupante di imponente crescita
degli armamenti e degli strumenti di morte che sottraggono enormi risorse per
le opere di pace e per gli interventi contro la povertà.