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mercoledì 28 ottobre 2020

CURARE LA PERSONA
di Gabriele Scaramuzza



L’incontro col Cardinal Martini è stato significativo anche per chi non si potesse dire a pieno titolo credente, e tanto meno praticante. Non pochi sapranno leggere con profitto, ma anche con coinvolgimento, Curare la persona. In me suscita anche una qualche nostalgia: mi ricorda la “Cattedra dei non credenti”, che Martini ha tenuto nella nostra Università tra il 1987 e il 2002 e, per quanto potevo (fino al 1991 ho abitato a Padova), ho seguito, e non ero solo, con partecipazione. Spero le mie righe valgano come invito alla lettura di questa raccolta di scritti. Oltre a quelli di Lambertenghi e Garzonio, troviamo i contributi di Carlo Casalone, Mario Colombo, Mariella Enoc; tutti provenienti dall’area più illuminata del cattolicesimo; per lo più, ma non solo, milanese o lombarda.    
Curare la persona tocca un aspetto non molto frequentato dagli studiosi della personalità e del pensiero di Martini; non pochi comunque potranno ritrovarcisi, e non solo in questi tempi di emergenza. Il volume trae tuttavia spunto dai nostri giorni, e in essi acquista un’inedita incisività, dato che ci tocca da vicino. All’inizio della sua prefazione Marco Garzonio non a caso dà rilievo alla concomitanza del suo apparire col “verificarsi di un’attualità difficile, complicata, per non dire drammatica”, chiedendosi come il Cardinale vi avrebbe risposto.
Non potendo entrare da esperto nell’ambito dei problemi affrontati, toccherò solo qualche tema che più mi ha colpito. Condivido innanzitutto il modo non dogmatico, comprensivo, aperto in cui sono stati affrontati. Non mi sono mai trovato di fronte in questo libro a prese di posizione drastiche, quali nel mondo religioso purtroppo non sono mancate e non mancano; sempre mi ha preso l’apertura al dialogo, l’accoglienza verso chi pensa diversamente, la disponibilità insomma a “ragionare” insieme.  
Così nell’appendice sono riportati interventi (innanzitutto il bell’articolo di Martini stesso apparso su “Il Sole 24 Ore” il 21 gennaio 2007) sul tanto discusso caso Welby: un caso in cui si scatenarono veri e propri fanatismi, interessate prese di possesso partitiche, discutibili moralismi, rivendicazioni irresponsabili. I problemi che ha sollevato sono di vario ordine: da deontologici a morali ad antropologici a squisitamente filosofici e persino teologici - riguardano tutti, e sono ripresi benissimo nel capitolo finale curato dal Gruppo di studio sulla bioetica. Il dovere di non sacralizzare la dimensione biologica dell’esistere, la visione per cui “la nostra identità personale è costitutivamente relazionale”, come giustamente ricorda Carlo Casalone. I temi del fine vita (della morte dunque), dei limiti costitutivi dell’esistere; della differenza tra astensione dall’accanimento terapeutico ed eutanasia, la medicina palliativa, le disparità di destino (determinate dalle differenze sociali ed economiche) tra persone malate, tutte ugualmente bisognose di vicinanza e di aiuto.  
Nel suo scritto Giorgio Lambertenghi Deliliers raccoglie riflessioni ad ampio raggio. Per prima cosa colpisce il giusto rilievo che dà alla capacità del pensiero di Martini “di muoversi con la stessa competenza e il medesimo garbo tra argomenti di carattere teologico-spirituale e temi di natura etico-sociale, riuscendo sempre ad accendere le domande più vere e sostanziali: quelle che, di fatto, portano credenti e non credenti a dialogare fra loro senza chiudersi in rigidi schemi”. Questo riguarda anche Lambertenghi - come inclinazione di fondo, attiva su di un piano ovviamente diverso (data la diversità delle attività, anzi missioni, praticate). Appartiene ad entrambi la considerazione dei problemi economico-sociali: e con ciò l’attenzione allo stato sociale, la denuncia del piegarsi (attivo più che mai dalle nostre parti) delle istituzioni mediche a logiche aziendali e burocratiche. Non è solo di Martini, ma anche di Lambertenghi e degli altri collaboratori al volume, la sensibilità per temi che vanno oltre le questioni economiche, organizzative (che pur hanno un insostituibile rilievo): il richiamo per contrasto a una dimensione “umanistica” purtroppo messa in subordine da certa mentalità scientistica; e naturalmente per la dimensione spirituale, religiosa. A nessuno manca la capacità di apprezzare nella sua giusta e insostituibile portata la scienza e le più recenti tecnologie mediche, e la necessità di ricorrerci quando è utile. Nel saggio di Lambertenghi vengono riprese e commentate riflessioni di Martini: in modo personale, come del resto accade anche in altri scritti raccolti nel volume. Cito almeno le due “tesi di fondo” riprese da Lambertenghi di uno scritto di Martini: “quella per cui la dignità della persona non è affatto riducibile alla sua vita biologica; e quella per cui il malato non rappresenta soltanto un caso clinico, così che la professione del medico non possa concepirsi solamente nell’atto del ‘curare’, ma debba comprendere il gesto del ‘prendersi cura’. Anche su queste tematiche [il riferimento è ai casi Welby ed Englaro], aggiungeva il Cardinale, sarebbe stato opportuno ritrovare la capacità di un dialogo più stretto tra cattolici e non cattolici, tra credenti e non credenti, tra culture e sensibilità diverse”.        
Curare la persona reca chiaramente i segni di quel tipo di religiosità aperta, rara magari, ma con cui si può dialogare. Ed è assolutamente da sostenere, da mantener viva. Per tutti, praticanti o meno, credenti o meno, che siano.


Curare la persona.
Medicina, sanità, ricerca e bioetica 
a cura di Giorgio Lambertenghi Deliliers
e con Prefazione di Marco Garzonio
Àncora, Milano 2020, pp. 133, € 16.  
nel pensiero di Carlo Maria Martini