L’incontro col Cardinal Martini è stato significativo anche per chi non
si potesse dire a pieno titolo credente, e tanto meno praticante. Non pochi
sapranno leggere con profitto, ma anche con coinvolgimento, Curare la
persona. In me suscita anche una qualche nostalgia: mi ricorda la “Cattedra
dei non credenti”, che Martini ha tenuto nella nostra Università tra il 1987 e
il 2002 e, per quanto potevo (fino al 1991 ho abitato a Padova), ho seguito, e
non ero solo, con partecipazione. Spero le mie righe valgano come invito alla
lettura di questa raccolta di scritti. Oltre a quelli di Lambertenghi e
Garzonio, troviamo i contributi di Carlo Casalone, Mario Colombo, Mariella
Enoc; tutti provenienti dall’area più illuminata del cattolicesimo; per lo più,
ma non solo, milanese o lombarda. Curare la persona tocca un aspetto non molto frequentato dagli studiosi della personalità
e del pensiero di Martini; non pochi comunque potranno ritrovarcisi, e non solo
in questi tempi di emergenza. Il volume trae tuttavia spunto dai nostri giorni,
e in essi acquista un’inedita incisività, dato che ci tocca da vicino. All’inizio
della sua prefazione Marco Garzonio non a caso dà rilievo alla concomitanza del
suo apparire col “verificarsi di un’attualità difficile, complicata, per non
dire drammatica”, chiedendosi come il Cardinale vi avrebbe risposto. Non potendo entrare da esperto nell’ambito dei problemi affrontati, toccherò
solo qualche tema che più mi ha colpito. Condivido innanzitutto il modo non
dogmatico, comprensivo, aperto in cui sono stati affrontati. Non mi sono mai
trovato di fronte in questo libro a prese di posizione drastiche, quali nel
mondo religioso purtroppo non sono mancate e non mancano; sempre mi ha preso
l’apertura al dialogo, l’accoglienza verso chi pensa diversamente, la
disponibilità insomma a “ragionare” insieme. Così nell’appendice sono riportati interventi (innanzitutto il
bell’articolo di Martini stesso apparso su “Il Sole 24 Ore” il 21 gennaio 2007)
sul tanto discusso caso Welby: un caso in cui si scatenarono veri e propri
fanatismi, interessate prese di possesso partitiche, discutibili moralismi,
rivendicazioni irresponsabili. I problemi che ha sollevato sono di vario
ordine: da deontologici a morali ad antropologici a squisitamente filosofici e
persino teologici - riguardano tutti, e sono ripresi benissimo nel capitolo
finale curato dal Gruppo di studio sulla bioetica. Il dovere di non
sacralizzare la dimensione biologica dell’esistere, la visione per cui “la
nostra identità personale è costitutivamente relazionale”, come giustamente
ricorda Carlo Casalone. I temi del fine vita (della morte dunque), dei limiti
costitutivi dell’esistere; della differenza tra astensione dall’accanimento
terapeutico ed eutanasia, la medicina palliativa, le disparità di destino
(determinate dalle differenze sociali ed economiche) tra persone malate, tutte
ugualmente bisognose di vicinanza e di aiuto. Nel suo scritto Giorgio Lambertenghi Deliliers raccoglie riflessioni ad
ampio raggio. Per prima cosa colpisce il giusto rilievo che dà alla capacità
del pensiero di Martini “di muoversi con la stessa competenza e il medesimo
garbo tra argomenti di carattere teologico-spirituale e temi di natura
etico-sociale, riuscendo sempre ad accendere le domande più vere e sostanziali:
quelle che, di fatto, portano credenti e non credenti a dialogare fra
loro senza chiudersi in rigidi schemi”. Questo riguarda anche Lambertenghi - come
inclinazione di fondo, attiva su di un piano ovviamente diverso (data la
diversità delle attività, anzi missioni, praticate). Appartiene ad entrambi la
considerazione dei problemi economico-sociali: e con ciò l’attenzione allo
stato sociale, la denuncia del piegarsi (attivo più che mai dalle nostre parti)
delle istituzioni mediche a logiche aziendali e burocratiche. Non è solo di
Martini, ma anche di Lambertenghi e degli altri collaboratori al volume, la
sensibilità per temi che vanno oltre le questioni economiche, organizzative
(che pur hanno un insostituibile rilievo): il richiamo per contrasto a una
dimensione “umanistica” purtroppo messa in subordine da certa mentalità
scientistica; e naturalmente per la dimensione spirituale, religiosa. A nessuno
manca la capacità di apprezzare nella sua giusta e insostituibile portata la
scienza e le più recenti tecnologie mediche, e la necessità di ricorrerci
quando è utile. Nel saggio di Lambertenghi vengono riprese e commentate
riflessioni di Martini: in modo personale, come del resto accade anche in altri
scritti raccolti nel volume. Cito almeno le due “tesi di fondo” riprese da
Lambertenghi di uno scritto di Martini: “quella per cui la dignità della
persona non è affatto riducibile alla sua vita biologica; e quella per cui il
malato non rappresenta soltanto un caso clinico, così che la professione del
medico non possa concepirsi solamente nell’atto del ‘curare’, ma debba
comprendere il gesto del ‘prendersi cura’. Anche su queste tematiche [il
riferimento è ai casi Welby ed Englaro], aggiungeva il Cardinale, sarebbe stato
opportuno ritrovare la capacità di un dialogo più stretto tra cattolici e non
cattolici, tra credenti e non credenti, tra culture e sensibilità diverse”. Curare la persona reca chiaramente i segni di quel tipo di religiosità
aperta, rara magari, ma con cui si può dialogare. Ed è assolutamente da
sostenere, da mantener viva. Per tutti, praticanti o meno, credenti o meno, che
siano.
Curare
la persona. Medicina,
sanità, ricerca e bioetica a
cura di Giorgio Lambertenghi Deliliers e
con Prefazione di Marco Garzonio Àncora,
Milano 2020, pp. 133, € 16. nel
pensiero di Carlo Maria Martini