Non avrei mai pensato di occuparmi
di un argomento tanto frivolo come i premi letterari, ma si dà il caso che
negli ultimi tempi hanno riguardato alcuni miei libri, ed è per questa ragione
che mi è venuta alla penna questa riflessione. Lasciamo da parte finalità e
scopi di chi li istituisce, qualità letteraria, importanza delle tematiche,
gusti personali e collettivi, e veniamo alla sostanza vera. E la sostanza vera
si invera (bella questa assonanza) in un unico dato incontrovertibile: il
confronto non avviene fra libri, ma fra case editrici; non avviene fra libri,
ma fra autori. Le case editrici che si fronteggiano, schierano tutta la loro
potenza di fuoco; le loro macchine da guerra che possono mettere sul campo. Va
da sé che gli eserciti più agguerriti e meglio equipaggiati sono quelli delle
maggiori sigle editoriali nazionali. Con la concentrazione editoriale, poi,
molte di loro appartengono allo stesso cartello e fanno monopolio. Non dobbiamo
dimenticare inoltre, che le giurie sono composte al 99% da giurati che sono
autori di quelle stesse case editrici, e che critici, giornalisti e docenti
universitari presenti nella stragrande maggioranza delle giurie, sono legati a
nodo doppio con quelle editrici, con i loro giornali e riviste su cui scrivono,
con tutti i benefici del caso. Aggiungiamo a tutto questo, il nome dei loro
autori già rodati; noti da anni e obbligatoriamente recensiti, qualunque cosa
pubblichino. Sono autori che godono di una vasta pubblicità sia nei giornali
che in televisione. Molti di loro sono presenti in tutti i cosiddetti talk
show; ospitati in trasmissioni popolari e di massa a disquisire di argomenti fra
i più vari, con una competenza da tuttologi, e passano da una Rete televisiva
all’altra con un ritmo superiore a quello impiegato da Nostro Signore per i
sette giorni della Creazione. Non c’è trasmissione, impegnata o di intrattenimento, dove non
vengano ospitati a mostrarsi e a parlare dei loro libri. Questi autori sono
oramai divenuti noti e popolari come un qualsiasi prodotto commerciale. Non si
dice per l’appunto che la pubblicità è l’anima del commercio? Anche se è molto
raro che di anima il commercio ne abbia una. Avete a questo punto capito che un autore marginalizzato e
senza poteri di sorta, non potrà mai competere con queste schiere.
Semplicemente non c’è partita, per usare un abusato termine sportivo. Quando
poi si verifica (in rarissimi casi) che dalle maglie strette della rete riesce
a passare qualche pesciolino (una minuscola casa editrice, un autore poco noto
o sconosciuto), la speranza di arrivare al traguardo è pari a zero. Se riesce
ad ottenere una menzione “onorifica”, è già un miracolo. Poiché non potete influenzare nessun giurato; poiché non
potete vantare alcun contropotere; poiché non potete mettere sul piatto alcuna
merce di scambio, non vi resta che una ironica rassegnazione. Veniamo ora ai premi cosiddetti minori, anche se a giudicare
dal fasto delle cerimonie di alcuni di loro, minori non lo sono affatto. Si
permettono il lusso di costosissime soubrette e personaggi televisivi, di
attori strapagati e così via. Vengono detti minori perché accettano autori poco
noti, editori sconosciuti al grande pubblico e giurati di seconda fila. Alcuni
di loro sono più opachi e scandalosi dei premi maggiori, ma molti altri si
comportano bene e con serietà. Di alcuni si rimane a volte sconcertati dalle
scelte, ma ci si può consolare ricorrendo al famoso motto latino: De
gustibus non est disputandum. È giusto: i gusti non si discutono. Però a volte, come sono di pessimo gusto, i gusti!