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mercoledì 14 ottobre 2020

DANTESCA
di Franco Toscani



 
 
7. Il sorriso di Virgilio e il cammino più leggero
 
Spoglio del "gran tumor" (Purgatorio, XI, 119) della vana gonfiezza, nel Canto XII del Purgatorio il poeta rimane umile e privo di orgoglio, coi "pensieri (...) chinati e scemi" (Purgatorio, XII, 8-9), più leggero (cfr. Purgatorio, XII, 12), pronto con Virgilio ("colui che sempre innanzi atteso/ andava", Purgatorio, XII, 76-77) a riprendere il cammino e ad accogliere l'invito rivolto dall'angelo dell'umiltà alla "gente umana, per volar sú nata" (Purgatorio, XII, 95), capace di liberarsi dal peso della superbia, radice d'ogni colpa. I versi 70 segg. del Canto XII del Purgatorio riprendono con un tono sarcastico l'apostrofe contro i superbi di Purgatorio, X, 121 e segg.  
Così commenta Natalino Sapegno il percorso compiuto dall'autore della Commedia sino al citato Canto XII della seconda Cantica: "Da questa complessa vicenda di drammatiche rievocazioni e di intense meditazioni, l'animo di Dante esce alla fine umiliato e leggero, spoglio di terrestri ambizioni, consapevole della sua pochezza, timido e arrendevole come quello di un bambino. E il motivo (...) si rende esplicito nella scena di stupore fanciullesco, appena intonata a una lieve comicità, con cui questo canto, e tutto l'episodio, si conclude".
In questo canto (Purgatorio, XII, 110) viene esplicitamente menzionato e cantato il detto di Gesù Beati pauperes spiritu! (Mt 5,3), la prima delle beatitudini evangeliche, la lode degli umili che nel loro cuore sono sgombri dalla vanità delle glorie mondane.
Così libero dal primo peccato, riattinto il suo cuore umile, sgravato dagli inutili pesi delle vanità terrene, il poeta si sente molto più sollevato, leggero e disposto a un più fruttuoso cammino. La via ai mortali è indicata. A tutti i mortali, credenti e non credenti, sottolineiamo noi oggi.
Lo "stupore fanciullesco" del poeta - stupore che è "stordimento d'animo per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire" (Convivio, IV, XXV, 4-5) - fa sì che il Canto XII del Purgatorio si concluda con un tocco di lieve umorismo ("a che guardando il mio duca sorrise" (Purgatorio, XII, 136), ossia col sorriso affettuoso e incoraggiante di Virgilio (il "dolce pedagogo", " 'l dolce maestro", Purgatorio, XII, 3 e X, 47), lieto del buon cammino dantesco.
La figura di Virgilio - maestro di poesia e di sapienza ("de li altri poeti onore e lume"; "colui da cu' io tolsi/ lo bello stilo che m'ha fatto onore", cfr. Inferno, I, 82, 86-87) - riunisce in sé razionalità, autorevolezza, responsabilità, humanitas, sensibilità, affettività e dolcezza. In tutto il suo poema Dante insiste sulla fiducia che gli trasmette Virgilio, sempre attento al cammino (in Purgatorio,VIII, 42 si parla delle sue "fidate spalle" e nella medesima Cantica, XVII, 10-11, dei "passi fidi/ del mio maestro").
Ciò non è affatto trascurabile. La questione della fiducia e il sorriso affettuoso di Virgilio sembrano di poco conto, ma meritano una riflessione più approfondita, sono in realtà essenziali anche per noi oggi, indicano la giusta via nella nostra epoca agitata e tormentata. La crisi dell'umanità contemporanea, prima ancora di essere economica o politica, è infatti e innanzitutto una crisi di fiducia nell'umanità nostra e altrui, nel cammino di umanizzazione verso una degna civiltà planetaria.
Alla fine del Canto XII del Purgatorio il lieve sorriso affettuoso di Virgilio rincuora e incoraggia il viandante, gli infonde fiducia nel suo lungo e variegato percorso. Esso è ciò di cui tutti abbiamo bisogno anche nel nostro tempo per contrastare la "caligine del mondo", per ritrovare fiducia in noi stessi, negli altri, nelle qualità, capacità ed energie umane, nelle ragioni della convivenza, di una nuova etica e civiltà planetarie.
Nel tempo della dis-grazia, è importante non perdere di vista ciò che è e ha grazia, bellezza, armonia, garbo, gentilezza, cortesia, finezza. Come restare umani, come contrastare e arginare il disumano sempre vicino a noi e presente in noi stessi, come favorire il percorso di umanizzazione resta il nostro compito decisivo, nonostante tutto il gran parlare odierno di "trans-umano" e di "post-umano". La grazia per la quale proviamo gratitudine e riconoscenza è una benedizione che sorge dalla naturalezza e dalla semplicità. La grazia non è però affatto ovvia e scontata, non è già data, va piuttosto coltivata. Occorre un'educazione alla grazia nella libertà, a partire dalla consapevolezza della estrema fragilità della grazia, indisgiungibile dalla fragilità costitutiva della nostra esistenza. Anche Dante ci aiuta a muoverci in questa direzione fruttuosa.
 
[Monte Armano-Piacenza, 
giugno-settembre 2020]