3.
Il valore dell'umiltà e la vanagloria della superbia Nell'XI
Canto del Purgatorio vengono riportati tre esempi di superbia: 1) la superbia nobiliare,
incarnata da Umberto degli Aldobrandeschi di Santafiora, antica casa feudale e
già potenti signori della Maremma senese; 2) la superbia dell'ingegno e
dell'arte, attraverso la figura di Oderisi da Gubbio, celebre miniatore; 3) la
superbia del potere e del dominio politico, qui rappresentata da Provenzano
Salvani, demagogo e tiranno di Siena. Il
superbo è chi - come Umberto degli Aldobrandeschi, conte di Santafiora - non
pensa alla "comune madre" (cfr. Purgatorio, XI, 63), la terra, che
tutti ci rende fratelli ed eguali. Tutti siamo nati infatti dalla terra e da
una donna, per cui rispetto alla nascita non vi è proprio alcuna differenza tra
un re e un contadino. La superbia perde quindi il senso della eguaglianza e
della fraternità ed è una perdita terribile, questo venir meno dell'umanità
dell'uomo, della nostra umiltà. Umiltà,
umile vengono da humus (terra), da cui deriva pure la parola uomo. L'uomo è il
mortale terrestre, l'abitante della terra che alla terra ritornerà. La terra è
per lui origine, provenienza, meta e destino, nonostante tutto l'enorme
dispiegamento della sua illimitata volontà di potenza e di dominio, nonostante
tutti i suoi odierni sforzi di militarizzare/signoreggiare gli altri pianeti e
gli spazi celesti. Oggi
la superbia umana è massimamente pericolosa sia nel suo considerare l'uomo come
mero mezzo impiegabile/manipolabile sia nel suo ridurre la natura a mera
risorsa da sfruttare illimitatamente. Siamo ben oltre ciò che scriveva Ludwig
Feuerbach nel XIX secolo sull'umana superbia: "Se definite umana superbia
la convinzione che l'uomo sia lo scopo della natura (Zweck der Natur), dovete
definire come umana superbia (menschliche Hochmut) anche la fede in un creatore
della natura (Glaube an einen Schöpfer der Natur). Solo la luce che brilla per
l'uomo è la luce della teologia, solo la luce che esiste solo per l'essere
veggente presuppone anche un essere veggente (ein sehendes Wesen) come propria
causa (Ursache)". Oggi
il massimo pericolo per noi è la nostra stessa illimitata volontà di potenza e
di dominio. Proprio dell'uomo è invece il senso della terra - sembra dirci
Dante -, l'aderenza alla terra, con umiltà e dignità. Umiltà non significa
passività, può congiungersi col coraggio e con la dignità, con la freschezza
dell'iniziativa umana; sorge dalla consapevolezza profonda della condizione
umana, dei nostri limiti e del nostro destino mortale. Non si può non essere
umili quando scorgiamo l'abisso della condizione umana e la profondità della
nostra fragilità. La
grande poesia e il grande pensiero ci insegnano a rifuggire ogni megalomania, a
essere insieme umili, modesti e coraggiosi, arditi nell'aspro e incerto cammino
dell'umanizzazione. Possiamo
considerare in forte continuità ideale con le posizioni di Dante contro la
superbia il "pensiero poetante" di Giacomo Leopardi ne La
ginestra o il fiore del deserto (1836), allorché quest'ultimo ironizza sulle
illusioni delle "magnifiche sorti e progressive" (v. 51) e sul
"fetido orgoglio" (v. 102) del proprio "secol superbo e
sciocco" (v. 53). Leopardi aveva già parlato nella lirica Il pensiero
dominante (composta con ogni probabilità tra il 1830 e il 1833) del proprio
secolo come "di questa età superba,/ che di vote speranze si nutrica,/
vaga di ciance, e di virtù nemica" (vv. 59-61). Col
loro canto di forza, evocazione e suggestione inesauribili, col loro
straordinario "pensiero poetante", qui Dante e Leopardi, le vette
dell'intera storia della poesia italiana, tra i pilastri della letteratura
europea e mondiale d'ogni tempo, indicano fruttuosamente la via da seguire, ma
sapremo ancora ascoltare davvero le loro parole e accogliere profondamente in
noi, interiorizzare le loro indicazioni?