“E all’improvviso, l’estate sprofondò
nell’autunno”. Oscar Wilde Le metropoli non sono i luoghi più
adatti per apprezzare fino in fondo tutte le sfumature di una stagione così
romantica e malinconica come l’autunno. Non lo sono perché divorate da due dei
mali più vistosi della modernità: il rumore e la fretta. L’autunno, invece, è
una stagione dalle atmosfere rarefatte, una stagione dal passo lento, una
stagione fatta di raccoglimento e di silenzio. Essa ci invita a metterci in
ascolto, a scendere in profondità, a cogliere le risonanze interiori nelle loro
mille variazioni e tonalità, perché è il clima stesso a suggerirlo, la luce che
è divenuta più calda. Nella mia memoria l’autunno è la fiamma tremula del
camino, un libro accanto alla poltrona e le foglie gialle e rosseggianti degli
aceri che scendono lievi lungo i due lati del viale. Ci pensavo giorni fa
incamminandomi verso la periferia, per trovare uno scorcio dove la campagna non
ha ceduto del tutto il passo all’invasione del cemento; ero certo che gli
alberi che vanno spogliandosi, trattenevano nel fogliame i bagliori di una luce
rada di tardo meriggio. Volevo essere rassicurato, mentre mi ripetevo di
continuo gli splendidi versi di Emily Dikinson: “L’acero indossa una sciarpa più gaia. La campagna una gonnascarlatta”. Volevo che questi versi si
accordassero con il mio stato d’animo, con la musica che mi ronzava nella
testa. Qual è la musica dell’autunno in una città come questa? mi
domandavo. E come è possibile sentirla qui, in questo continuo via vai, in
questo assedio senza requie di motori? E
come poter testimoniare di bellezza e di colori? Eppure, solo un secolo prima
il pittore olandese Vincent van Gogh, aveva potuto scrivere
parole come queste: “Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani,
tele e colori per dipingere la bellezza che vedo”. In città così innaturalmente dilatate, bisogna
sorprenderlo l’autunno, andargli incontro nei rari luoghi poco battuti e nelle
ore più insolite, solo così potrà parlare al vostro cuore. Ma è un privilegio
raro. Può darsi che la pandemia che ha colpito questa “città della fretta” in
maniera tanto vasta, ci obbligherà di nuovo a fermarci; a rallentare il passo,
ad avere un altro sguardo. E sarà un autunno tremendamente malinconico, triste
e desolato, come il “sepolcrale autunno” dei versi del poeta Cardarelli.