Questa
lettera che Marco Vitale ha inviato a Rosario Amodeo il 15 novembre scorso,
solleva molte importanti questioni, e sarebbe stato un peccato lasciarla
confinata in un ambito privato. “Odissea” ha deciso di pubblicarla perché può
diventare punto di partenza di un dibattito più ricco e articolato, vista
l’urgenza e l’attualità della materia. Brescia,
15 novembre 2020 Egr.
Dott. Ing. Rosario
Amodeo Caro
Rosario, scusami
se non ho risposto subito alla Tua domanda su cosa penso dell’articolo di Galli
della Loggia del 12 novembre, sul Corriere della Sera, intitolato: “I localismi
frenano le scelte”. Ero molto assorbito dalla chiusura del mio libro. Ora esso,
comprese tutte le Tue ultime correzioni, è stato consegnato allo stampatore e,
in un certo senso, non è più mio. Oggi
è domenica, sono tranquillo, e mi fa piacere rispondere perché mi induce
nuovamente a riflettere su un tema centrale. L’articolo di Galli della Loggia
fa un quadro realistico dello stato confusionale in cui si trova il nostro
sistema delle autonomie locali. Così è e non è confutabile. È una buona
cronaca. Ma è un articolo privo di spessore storico, culturale e prospettico. E
il titolo è semplicemente idiota e pericoloso. Non vi è dubbio che sotto
Mussolini, Hitler, Stalin ma anche sotto l’attuale regime cinese, i localismi
non frenano le scelte e non ritardano le decisioni. Ma manca qui possibilità di
discutere se le decisioni sono giuste o sbagliate (che è il vero tema) e se
sono sbagliate non c’è nessuna possibilità di opporsi alla loro realizzazione,
pena la vita o le dure repressioni che, anche recentemente, abbiamo visto a
Hong Kong. In
Svizzera, invece, paese efficiente e dove non si perde tempo, ma pratico e
federalista, la gente può esprimere la sua decisione (che non è sempre giusta,
ma è la sua decisione!) con i referendum. E credo che nessuno svizzero
prenderebbe sul serio l’argomento che i referendum fanno perdere tempo. La
democrazia fa sempre e comunque perdere tempo, dall’epoca di Pericle che,
nonostante il suo enorme prestigio e la sua forte leadership, doveva sempre
discutere in piazza le decisioni più importanti, sino a Trump che, se non
avesse trovato dei forti antidoti nel sistema americano (che, per fortuna, gli
ha “frenato tante scelte”) chissà dove ci avrebbe portato. Il
tema è, dunque, diverso: come prendere delle decisioni possibilmente giuste in
tempi ragionevoli. E la risposta non è centralismo sì, o centralismo no, ma
qualità e competenza del decisore. Non vorrei che ci dimenticassimo che i
nostri centralisti, nei primi mesi dell’anno (gennaio, febbraio, quasi tutto
marzo), hanno inanellato una serie di sciocchezze incredibili. E questo vale
sia per i politici responsabili che per gli scienziati o presunti tali. Chi, ad
un certo punto, ha preso degli indirizzi corretti, che poi sono stati imitati
dai centralisti, sono state due regioni, il Veneto e l’Emilia Romagna, con i rispettivi
presidenti, competenti, responsabili e ben consigliati da studiosi non di
regime. Soprattutto Zaia, con l’Università di Padova e con Crisanti ha indicato
la via. Per contro se i vertici della Lombardia non avessero, ad un certo
punto, molto tardivamente, trovato dei contrasti da parte dei poteri centrali e
dall’esempio delle regioni virtuose, a Milano bisognava riaprire il Lazzaretto.
È incredibile ed è riprova della nostra tremenda debolezza politica e
istituzionale che i vertici della Regione Lombardia, il presidente Fontana e
l’assessore alla Sanità Gallera, siano ancora all’opera dopo tutte le terribili
e pericolose idiozie che hanno fatto e che continuano a fare. Eppure la nostra
Costituzione, pur dopo lo sbracamento che la sinistra ha fatto dell’art. 117
della Costituzione, conserva in vigore il secondo comma dell’art.120 che
stabilisce: “Il Governo può sostituirsi a organi della Regione, delle Città
Metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di un pericolo grave per
l’incolumità e la sicurezza pubblica” e conserva in vigore il principio che “lo
Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di profilassi
internazionale”. Non vi è dubbio, a mio giudizio, che in Lombardia esistano gli
estremi per applicare l’art. 120 e commissariare la conduzione della sanità. Se
non è stato fatto non è perché manchi la norma ma perché mancano gli uomini
responsabili, competenti e coraggiosi. Pensiamo alla tragedia se vivessimo in
un Paese totalmente centralista, senza l’art. 117 della Costituzione, e con un
presidente del Consiglio come Salvini (che, non dimentichiamolo, è stato lì lì
per diventarlo). Dunque,
può essere fuorviante interpretare la tragedia del Coronavirus in chiave
prevalentemente di centralismo o non centralismo. Invece è giusto prendere atto
che il Coronavirus ha messo in evidenza che “Il sistema italiano delle
autonomie locali è da riformare alla radice”, come scrivevo il 2 marzo 2020
nell’Ammaestramento N. 1 del Coronavirus (pag. 43 di Al di là del Tunnel).
Allora scrivevo: “Il test è inequivocabile: il Coronavirus ha svelato quello
che già molti sapevano. L’attuale sistema delle autonomie locali, con lo
svuotamento del ruolo dei Comuni ed il continuo ed esagerato rafforzamento
delle autonomie regionali è inaccettabile. Se e quando avremo realizzato questo
obiettivo, saremo già pronti per affrontare il prossimo Coronavirus”. Ma il
Coronavirus ha anche posto in evidenza che il sistema sanitario italiano va
ripensato profondamente perché è da almeno 30 anni che è diventato pascolo delle
partitocrazie con strumenti che vanno dalla violenza armata alle tangenti
formigoniane. Ed i due temi sono strettamente connessi perché se si inquadra
più seriamente la gestione e le nomine della sanità e si tagliano le unghie ai
capoccia dei partiti, allora anche il sistema delle autonomie locali,
automaticamente, troverà un nuovo più accettabile equilibrio. Ma
perché le persone influenti come Galli della Loggia non parlano di questi temi,
che sono quelli veri e fondamentali, invece di fare i, pur brillanti, cronisti
dell’esistente? E perché di questi temi quasi nessuno, in politica, ne parla,
né quelli che sono al governo né quelli che sono all’opposizione? C’è qualche
voce isolata e poco influente che dice: eliminano le Regioni. È la mia linea di sempre, da municipalista
cattaneano e sturziano: eliminiamo le Regioni, rafforziamo i Municipi (come si
chiamavano i Comuni), lasciamo le Province per il coordinamento di certe
funzioni comuni e stimoliamo i consorzi di Comuni per aggregare certi servizi.
Ma è proprio grazie al Coronavirus che ho recentemente cambiato idea. Le
Regioni ci sono e non ci resta che tenercele anche perché proprio con il
Coronavirus, almeno alcune di esse, hanno conquistato, per la prima volta, il
loro diritto di esistere comportandosi in modo molto utile. Senza alcune
Regioni come Veneto, Emilia, Toscana e, forse, Puglia e qualche altra minore,
il bilancio nazionale sarebbe stato peggiore. Ma
bisogna correggere alcune cose importanti e, dunque, correggere l’art. 117
della Costituzione senza pretendere né di eliminarlo né di riformarlo
radicalmente. La
cosa più importante è riformare il rapporto tra le Regioni e le grandi città
che non possono essere così subordinate alle prime. Qui si apre il discorso del
fallimento delle città metropolitane, che apre un altro complesso capitolo. Io
penso però che dire: cancelliamo le Regioni è, oggi, una via impercorribile e
dunque velleitaria. Invece chiamando a raccolta le forze civili perché
pretendano un diverso equilibrio tra grandi Comuni e Regioni e, nella Sanità,
tra Stato e Regioni e Comuni può essere non solo una prospettiva giusta ma
anche una prospettiva non del tutto impercorribile. E, forse, una prospettiva
perfino capace di attrarre l’attenzione di qualche politico. Cari
saluti, Marco
Vitale