Operai
e padroni: nessuna compatibilità di interessi. Nell’Italia
democratica, il paese della “Costituzione nata dalla Resistenza”, i padroni - mentre
aumentano lo sfruttamento, licenziano e peggiorano le condizioni di lavoro e di
vita di milioni di lavoratori e delle loro famiglie - si ergono a paladini
della “democrazia”. Noi non dimentichiamo che è anche il paese dove - subito
dopo l’incendio che uccise i sette lavoratori della ThyssenKrupp nel 2007 -
all’assemblea della Confindustria del 2011 l’amministratore delegato della
ThyssenKrupp che vi partecipava fu applaudito in piedi da tutti i padroni
italiani, nonostante fosse stato condannato a 16 anni in primo grado per
omicidio. Allora
presidente della Confindustria era Emma Marcegaglia. Padroni
e manager assassini, nonostante la condanna definitiva della Corte di
Cassazione (una delle pochissime volte in cui i padroni e manager sono stati condannati),
sono tutti liberi, compresi i due manager tedeschi fuggiti in Germania. L’Italia
“democratica”, dove i cittadini secondo i princìpi costituzionali sono tutti
uguali davanti alla legge, è il paese dove i processi contro i padroni
responsabili della morte di migliaia di lavoratori per infortuni, malattie
professionali, invalidi del lavoro, finiscono con la prescrizione, o con
l’assoluzione “per non aver
commesso il fatto” o “perché
il fatto non sussiste”, lasciando gli assassini dei lavoratori ogni
volta impuniti. L’unico
scopo dei padroni e della società capitalista è la ricerca del massimo profitto,
sostenuti da governo, partiti e sindacati confederali o collaborazionisti. Il
capitalismo è una società che, attraverso i suoi governi, legalizza il crimine
contro gli esseri umani. Una società dove lo sfruttamento è legale e regolamentato
con i “rappresenti dei lavoratori” dei sindacati confederali nei contratti
nazionali. Per i padroni, le loro istituzioni e tutti quelli che traggono vantaggi
e privilegi dallo sfruttamento, la morte sul lavoro è solo un effetto
collaterale e quindi accettabile. L’unica accortezza è tenere sotto controllo i
numeri delle vittime, attenti a non farli salire sopra una certa quota, per non
far indignare la popolazione. Questa
è la violenza e la brutalità del modo di produzione capitalista. Un
sistema marcio e corrotto, un vampiro che si alimenta sul sangue e sulla pelle
dei lavoratori, favorito da leggi che tutelano lo sfruttamento a scapito della
sicurezza e della vita dei lavoratori. La
nostra esperienza nella lotta per ottenere sicurezza nei luoghi di lavoro e di
vita, contro i morti sul lavoro e le malattie professionali ci ha dimostrato
che non esiste una giustizia al disopra delle parti. La legge non è uguale per
tutti. Non
esiste neanche la neutralità della scienza perché molti di questi “scienziati”
sono delle puttane che si vendono al miglior offerente: altro che neutralità
della scienza o giustizia; la scienza e la giustizia sono di parte, dalla parte
degli sfruttatori. Il
nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel
Territorio, oltre che battersi per la sicurezza in fabbrica, cerca da anni di
portare sul banco degli imputati i responsabili delle stragi operaie. Ci
presentiamo parte civile nei processi dove abbiamo compagni infortunati o
assassinati sul lavoro non perché ci fidiamo della giustizia borghese. La
partecipazione dei famigliari delle vittime e dei lavoratori ai processi è una
scuola che dimostra (più di tante parole) a chi partecipa la natura di classe
dei tribunali dei padroni. Ecco perché noi ci presentiamo parte civile e
partecipiamo ai processi penali. Anche se in tribunale spesso perdiamo, siamo comunque
a volte riusciti a vincere importanti battaglie con la lotta, grazie alla
partecipazione, alla pressione e alla presenza di tanti lavoratori e famigliari
delle vittime la lotta. Occupando
con centinaia di operai esposti all’amianto la sede regionale l’INAIL della
Lombardia, imponendo una trattativa e costringendo i dirigenti a farla in
stradain mezzo agli operai e non nelle
segrete stanze con una nostra piccola delegazione trattante, siamo riusciti a
far riconoscere la malattia professionale e i contributi previdenziali per i
nostri compagni e per chi ha un’aspettativa di vita minore di circa dieci anni
a causa dell’amianto, portando a casa i riconoscimenti per l’amianto per 450
lavoratori. Dobbiamo
cominciare a ragionare e organizzarci sugli obiettivi e sulle iniziative di
lotta, perché se nella divisione siamo deboli, uniti siamo una forza. Per la
sicurezza e contro i morti sul lavoro e tutti i morti del profitto è arrivato
il momento di pensare ad organizzare uno sciopero generale o una manifestazione
a Roma, coinvolgendo tutte le vittime, da quelle del lavoro a quelle delle
stragicosiddette “ambientali”, i
lavoratori a partire ai delegati non sul libro paga del padrone e a lui
asserviti, sindacati di base, RLS e RSU di qualsiasi sindacato, per denunciare che
la contraddizione capitale-lavoro produce morti, feriti e invalidi solo dalla
parte operaia e proletaria. La
sicurezza sul lavoro e ambientale deve diventare un punto centrale anche nelle
piattaforme sindacali. Dobbiamo rivendicare con forza che acondizione di morte niente lavoro! I
morti sul lavoro e del profitto sono un crimine contro l’umanità. Comitato
per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e
nel Territorio (Sesto San Giovanni, Milano)