Pagine

domenica 29 novembre 2020

INTORNO A FUGHE
di Maria Jatosti

Maria Jatosti
 
Una lettera recensione al libro di Abati
 
Caro Velio,
in questo diffuso stato di attonita sospensione, in questo tempo strano sfuggente e insieme plumbeo, che tarpa il respiro toglie l’aria ai pensieri e ti cunnola in una torpida parodia di normalità poco più che animale, tra un inabissamento e una forzosa riemersione, mi dispongo finalmente a scriverti queste due righe spero non troppo stralunate.
Prima di tutto grazie. Ho dovuto/voluto aspettare un po’ per leggere il tuo libro. Ero sprofondata nella fascinazione di una grande storia raccontata in prima persona da una sorta di matto di paese, che matto non è per nulla, e il paese essendo un luogo che conosco e che mi è caro, bellissimo antico e arioso, prodigo di artisti e di poeti e soprattutto di amori e di amici dell’anima, di mattìe belle di quelle che ti riportano alla felicità della vita. Un bel lavoro, un grande libro che mi ha immerso prepotentemente, con la forza di un’affabulazione allucinata ma trasparente, nel grande racconto della nostra storia di noi tutti di questa parte di mondo e di questa umanità così malconciata e derelitta che l’avidità di ingordi dominatori satrapi e sciacalli e il servilismo di biechi accattoni e loschi gazzettieri ha deprivato perfino dell’urlo della disperazione. Un’esperienza dello spirito densa, felice, stimolante e benedetta nel panorama di questi giorni oscuri e limacciosi.
Terminata la corposa lettura del “fiommista” Liborio* senza soluzione di continuità temporale e emotiva mi sono ritrovata in un altro incantamento, braccia nude, occhi e sensi spalancati a nuotare nelle acque mosse e rigeneratrici del tuo mare gonfio di ragionamenti riflessioni riferimenti dissertazioni filosofiche allusioni scotimenti chiamate alle armi propedeutici esami di coscienza, pungenti memorie di eroiche e sperperate stagioni di vita e di lotte, vittorie e batoste cocenti, epifanie e catastrofi bellezze e orrori di una storia pubblica e privata. È stato bellissimo. E dunque grazie caro Velio. Per la condivisione lucida e appassionata per la perfetta adesione allo spirito e spesso alla lettera che ho provato leggendoti. Ci sono momenti, passaggi, intere pagine in queste tue Fughe, che io, comunista senza classe e senza partito, con un po’ di spavalderia, una punta di egoismo e molto narcisismo, ostinatamente ancora “in cerca di nuovi compagni contemporaneamente resistendo […] all’entropia degli abbandoni di quanti della nostra parte abbiamo incontrato” - vedi in particolare là dove evochi la storia, la vita del partito, il fervore giovanile, le domande, le delusioni, le prese d’atto - ho sottolineato e sottoscritto con effusa commozione, complice probabilmente una strabordante emotività senile. Di tutto questo e altro ti dico grazie. L’altro è dove irrompono luminosi squarci di una nomenclatura cara e dolce e antica e spuntano struggenti malinconie di volti, presenze, personaggi, ritratti - bellissimo quello di Ruth - amori, primavere, ragazze meteore, sogni… E dove, caoticamente assemblati come in un quadro di Mirò, vagano immagini o singoli oggetti di memoria: un albero (era un noce o un leccio?) una casa di campagna un ragazzino gentile un salone una tavola imbandita il canto di una cincia lo starnazzare di un pollaio sul retro gli attrezzi della terra nella rimessa di babbo V.  il suono di una fisarmonica una canzone: Tutti ti dicon Mà… La nostra Maremma, la bicicletta di Maria Pia al mare dell’Uccellina, l’apparizione di un cervo sulla strada sterrata, il giardino intelligente dell’Alberese, la casa di Biancamaria Frabotta, e poi quella città, quella scuola, quelle strade, quella miniera, quelle chiacchierate, quei silenzi, quelle confidenze turbate, quei sorrisi, quelle complicità... Il sapore dolce dell’amicizia…
Grazie Velio.
[Roma, 26 novembre 2020, Anno I della Nuova Peste]
  
*Remo Rapino, Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio
Minimum fax, 2020.