MAGGIORENNI PER NATURA
di
Gabriella Galzio
Intorno al libro di Giulia Contri
La copertina del libro
Partiamo
da una premessa. La tradizione vuole che vengano associati i termini Lettere e
Filosofia. Ora, però, a valle del ’900, non possiamo non estendere la filosofia
alla psicanalisi, perché un pensiero filosofico che ignorasse l’inconscio,
sarebbe un pensiero monco e fallace. E infatti il libro della Contri si colloca
all’interno di una collana che abolisce la separazione novecentesca tra
filosofia e psicologia. Di più, il libro della Contri parte dal pensiero
filosofico di Kant che, in risposta al quesito “Cos’è l’illuminismo?”, nel 1784 afferma: “l’uscita dell’uomo da uno
stato di minorità, cioè di incapacità a servirsi del proprio intelletto senza
la guida di un altro”. Ora, nel solco kantiano lavora anche Freud in
opposizione a una psicologia e un’educazione che trattano l’uomo come un
animale da addomesticare, da eterodirigere. E se Kant dice “sapere aude”… quand’anche intorno agiscono forze reazionarie che
vorrebbero ricondurci a una regressiva condizione di minorità, Freud arriva a
considerare i bambini maggiorenni per
natura ancora integri rispetto a quella che sarà la successiva
emarginazione del pensiero responsabile di tante psicopatologie. La Contri,
dunque, si iscrive nella scia di questa duplice rivoluzione kantiana e
freudiana, che postula il pensiero come una facoltà autonoma originaria, per
estendere questa facoltà dall’adulto al minore, ora che dal ’96 la Convenzione
di Strasburgo, ratificata dall’Italia con legge del 2003, chiede di dare
credito al minore nella sua capacità di orientare con discernimento la sua
vita, superando il concetto burocratico di minorità legato a limiti d’età. Di
fatto, come i tanti casi illustrati nel libro dimostrano, l’invito della
Convenzione a innovare nell’ambito del diritto giudiziario minorile si rivela
di difficile applicabilità, qualora non si avvii una più puntuale definizione
della c.d. capacità di discernimento. Ma è proprio in tal senso che il libro,
con la sua rassegna di casi, intende promuovere la discussione e rendere
applicabile un principio innovativo che per ora sembra essere solo sulla carta. Vorrei
aggiungere di mio che il carattere autoritario, non egalitario, della società
patriarcale si è attuato finora nella disparità di genere (uomo-donna) come
nella disparità generazionale (adulto-minore); in tal senso vanno anche le
parole di Rescigno, studioso di diritto: “L’idea che la donna e il minore fossero
portatori di uno status nasceva da un
programma di protezione”. Ora, se il cammino della civiltà procede nel
progressivo rifiuto degli status e
nella conquista sempre più larga del contratto o pattuizione, la modernità dell’enunciato
della Convenzione di Strasburgo sta nell’aver consentito al minore l’accesso
allo “strumento pattizio…nella valorizzazione del minore come interlocutore”.
Ora, senza essere un minore, personalmente, potrei affermare che spesso, nel
rapporto uomo-donna mi sono trovata di fronte a proiezioni di status, aspettative di status date per scontate, anziché di
fronte all’ascolto e alla disponibilità a conoscere un qualcuno di sconosciuto,
alla mediazione e alla pattuizione. Ecco perché questa problematica e, nella
sua scia, il libro della Contri li ho salutati come un’apertura alla speranza
in una società libera dal dominio. In quanto tale, dunque, inutile dire, il
libro non è rivolto solamente agli operatori dell’istituzione giudiziaria, ma a
un più vasto pubblico di educatori, politici e persone di cultura che si
battono per un orizzonte antiautoritario.
Formalmente,
di questo libro, Giulia Contri è curatrice. Fatta salva l’illuminata introduzione
di cui è autrice, la curatrice lascia che siano i casi a parlare, quelle case
histories cariche di un’intensa umanità che affiorano dalle narrazioni dei
diversi soggetti del sistema giudiziario, dai magistrati, agli avvocati, agli
operatori dei servizi sociali, psicologi, psicanalisti, assistenti sociali, e
che hanno come protagonisti i minori, spesso al centro della turbolenza degli
adulti.
Ma qui i minori vengono restituiti alla loro capacità di discernimento nel
perseguire i loro personali superiori interessi. Chiamato a promuovere questa
loro capacità di discernimento entra in gioco l’Avvocato della salute, quale
figura proposta in conformità al dettato della Convenzione di Strasburgo che al
punto c dice: “definendo figure professionali che facilitino il minore
nell’esercizio del suo diritto”, e che non interviene sostituendosi al minore
nella titolarità del suo diritto, ma con una vicarietà solo temporanea avente
come unico scopo la soluzione della momentanea incompetenza.
Tra i casi di intervento nelle vesti di Avvocato della salute, ce ne sono
alcuni di affido e adozione, che hanno visto coinvolta la stessa curatrice del
libro in qualità di psicanalista, casi che si integrano nella narrazione
complessiva con obiettività e sobrietà al pari degli altri; da cui si evince
che nella consapevolezza di essere inserita in un più vasto e complesso
contesto sociale, lo spirito con cui Giulia Contri ha concepito questo libro è
stato quello di primus inter pares.
***
AL SALOTTO GALZIO
di
Giulia Contri
Intervento di martedì 10 novembre 2020
Giulia Contri
durante una conversazione
Da
psicoanalista ho sempre dichiarato interesse per l'ambito letterario del Salotto
Galzio, che si ispira ad una concezione della produzione intellettuale libera
da steccati ideologici, e alla ricerca di condivisione, consenso,
partecipazione da ambiti culturali diversi avvezzi a parlare di titolarità
individuale ma socializzabile di quanto si genera di colto.
In
quest'ottica di 'servizievole' scambio con voi, Gabriella mi invita a
presentare il mio libro del 2016, Il diritto alla prova del discernimento
individuale. Il minore e l'Istituzione nel giudiziario minorile: esso tratta
di casi giudiziari minorili esemplari del modo di condursi con minorenni
coinvolti in contenziosi familiari (separazioni, divorzi, adozioni) di giudici
e Tribunali, che la Convenzione di Strasburgo - normativa europea
minorile di fine '900 - invita ad ascoltare in giudizio e a tenere in conto
nelle sentenze, criterio cui raramente giudici e tribunali hanno ottemperato.
L'ascolto
del giudice andrebbe poi accompagnato - sempre secondo Strasburgo - dall'operato
di rappresentanti, che dovrebbero facilitare ai minori a dire in
giudizio il loro pensiero dei propri rapporti in famiglia, non a sostituirli
parlando al loro posto.
Se
parlo di 'servizievole' scambio tra il mio lavoro nel giudiziario minorile e il vostro nel letterario, c'è una ragione
ben precisa: avendo io fatto negli anni molte perizie sui minori in processo
per avvocati perché se ne servissero in giudizio; e avendo io studiato molti
casi significativi in letteratura; ho potuto verificare una fondamentale
similarità del modo di condursi di molti operatori del giudiziario e di molti
autori e critici letterari nei confronti dell'establishment culturale del
momento: una simile sottomissione, in
pratica, degli operatori del giudiziario all'idea vigente in psicologia,
diritto, educazione, del minorenne come di debole costituzione intellettuale,
meritevole di eterodirezione e non di attribuzione di 'discernimento'; e di
molti autori e critici letterari che acconsentono a canoni estetici e formali
di basso livello imposti nel settore da certa editoria consenziente a
deprezzare la produzione di valore.
La
resistenza degli uni alla novità rivoluzionaria del concetto di 'discernimento'
attribuito dalla Convenzione di Strasburgo ai minori per farli uscire
dalla minorità; e degli altri al livello colto della letteratura
come strumento di sensibilizzazione del gusto e del pensiero, è certo un
segnale preoccupante per la convivenza civile.
Ma
può andare a nostro merito mettere a punto al nostro interno i termini della
questione allo scopo di farle assumere un volto pubblico fuori da qui.
Un'ultima
nota: se è rivoluzionaria la Convenzione di Strasburgo che attribuisce
competenza sociale ai minorenni al di là
dei limiti di età, e lavora così per una
riforma della teoria che concepisce l'uomo come eterno minorenne che solo una
legge dall'alto può regolare nelle sue azioni: lo é altrettanto la concezione
della produzione letteraria di cui qui si parla come di fonte individuale
libera dai diktat imposti dalla cultura, che hanno come meta il mantenimento perenne
dell'uomo nello stato di minorità.
durante una conversazione