ETICA E POLITICA
Abbiamo considerato questi
brani di Zygmunt Bauman da Le sfide dell'etica, per suggerire una
riflessione su quanto ci sta accadendo sotto ricatto Covid.
Bauman ci porge l'analisi, non la soluzione. Ricordiamo una delle considerazioni
che chiudono la sua opera:
“È divenuto un luogo
comune affermare che i problemi etici della società contemporanea possono
essere risolti soltanto, eventualmente, con mezzi politici. La questione della
relazione tra morale e politica difficilmente rimane assente a lungo dai
dibattiti filosofici e pubblici. Tuttavia, ciò che viene preso in esame,
analizzato pubblicamente e soprattutto discusso con fervore è la morale dei
politici, e non la morale della politica.
Ciò che sembra esaurire, o
quasi, l'argomento moralità-e-politica è il modo in cui le persone attive sulla
scena pubblica si comportano, non quello che fanno; la loro morale personale,
non l'etica che promuovono o che non promuovono; la corruzione a livello
personale, non gli effetti socialmente devastanti del potere politico; l'integrità
morale dei politici, non, la morale del mondo che essi promuovono o perpetuano.
Non c’è nulla che non va nell’interesse pubblico per la purezza di coloro che
ricoprono ruoli pubblici; le persone investite pubblicamente di fiducia devono
esserne degne, e provare di esserlo. Quel che non va è che, mentre l'attenzione
si concentra sull’integrità morale dei politici, il deterioramento morale
dell’universo che essi amministrano proceda indisturbato. I politici moralmente
irreprensibili possono esercitare, ed esercitano, un controllo sulla
dissipazione delle responsabilità morali, e possono lubrificare i meccanismi
che minano, emarginano e mettono fuori gioco le preoccupazioni morali. I
politici moralmente corretti possono purificare, e purificano, le politiche dei
doveri morali.
La morale dei politici è
cosa del tutto diversa dall'impatto morale della loro politica. (I despoti più ripugnanti e sanguinari del nostro
tempo sono stati degli asceti disinteressati). Ma, oltre a ciò, la
politica non è più quella che fanno i politici; si potrebbe addirittura
affermare che la politica che conta davvero viene fatta lontano dagli uffici
dei politici. Come ha commentato Patrick Jarreau, nella sua recensione di un
recente saggio sui politocrates,
- la politica è ovunque,
nell'urbanistica, nei curricula scolastici, nella produzione cinematografica,
nella contaminazione degli emofiliaci con il virus dell’Aids o nella
sistemazione dei senzatetto. Al tempo stesso, viceversa, la politica comunica
l’impressione di non essere in alcun luogo, comunque non dove dovrebbe essere,
alla portata del voto dei cittadini: non nel parlamento, dove deputati e
senatori si occupano, nell'indifferenza quasi generale, di problemi che il
pubblico non può conoscere, se non attraverso la mediazione di portavoce o di
esperti dell'ultim’ora scelti dai media; non nelle riunioni dei consigli locali
[...]; né nei partiti
politici, che perdono i loro militanti e che si sforzano invano di rianimare il
dibattito sulle idee”.
La scienza si nutre della
vitalità della malattia che è stata incaricata di combattere.
È stata espressa spesso la
speranza che i pericoli generati dalla “società del rischio”, che certamente
non minacciano classi specifiche, possano favorire - diversamente dai mali
generati dalla società industriale nella sua forma classica, ormai solo un
ricordo - l'unificazione delle vittime in una forza di opposizione capace di
agire all'unisono. Pur riconoscendo che la distribuzione dei rischi si
differenzia effettivamente da quella della ricchezza, benché questa circostanza
“non escluda il fatto che i rischi spesso siano distribuiti in modo
stratificato o 'classista'”, Ulrich Beck sottolinea come oggettivamente “i
rischi esercitino un effetto livellatore”: oggi sono tutti sotto minaccia e
tutti sono oggettivamente inclini a unire le proprie forze per difendersi.
“Nelle posizioni definite dalla classe,” afferma Beck, “è l'essere a determinare
la consapevolezza, mentre, al contrario, nelle posizioni definite dal rischio è
la consapevolezza (la conoscenza) a determinare l’essere”: ciò che occorre
alle persone per unirsi nella lotta è solo la conoscenza dei rischi e, in
particolare, dell'universalità dei pericoli che essi comportano. Poiché, come
sappiamo, è la scienza a creare e ad offrire la conoscenza dei rischi
necessari, si può presumere che, nel modello di Beck, sarà la scienza a
svolgere il ruolo principale nella futura mobilitazione politica contro i
rischi.
La prospettiva della
scienza nel ruolo di avanguardia in una guerra di logoramento contro i rischi
sembra tuttavia molto improbabile, e ciò per i motivi addotti in precedenza:
poiché l'individuazione e la gestione dei rischi sono state riconosciute
come funzioni sociali indispensabili e preziose della scienza e della tecnologia, sia
la scienza sia la tecnologia si nutrono, in modo perverso, della resistenza e
della vitalità della stessa malattia che sono state incaricate (o che si sono
auto-incaricate) di combattere e sconfiggere. Oggettivamente e soggettivamente,
esse alimentano, piuttosto che bloccare, la propensione del sistema sociale a
generare rischi. La guerra contro i rischi è l'ultima tappa della scienza e
della tecnologia, e nessun generale accarezza l’idea di tornare alla vita
civile, tanto meno alle incertezze della smobilitazione post-bellica.
A parte il ruolo di
“doppiogiochista” della scienza, vi sono ragioni ancora più sostanziali per
dubitare della capacità di compattare l'opposizione da parte della nuova,
maggiore sensibilità ai rischi generati dagli sviluppi tecnologici. In primo
luogo, i pericoli sono diversi per ciò che riguarda la loro portata e
diffusione potenziali, per cui le vittime non dovranno preoccuparsi tutte in
misura uguale e nello stesso momento. In secondo luogo, è possibile comperare
la protezione dai pericoli privatamente, se il prezzo non è superiore ai propri
mezzi.
(Almeno questo è ciò che si
può venire indotti a credere; durante la “guerra fredda” la rigogliosa
industria dei rifugi antiatomici offriva un'ampia gamma di protezioni dall'olocausto
più o meno sicure, ciascuna a un prezzo appropriato, la cui funzione principale
era tradurre i livelli di ricchezza in livelli di sicurezza.) Comperare
collettivamente la protezione da una serie di pericoli sembra possibile, e gran
parte dello sforzo politico profuso a questo scopo si traduce nella
progettazione di politiche protettive efficaci a livello locale, le quali
comportano l’inevitabile effetto collaterale di un aumento dei pericoli che
minacciano altri luoghi. Non esiste perciò alcun collegamento diretto tra la
disponibilità e l’acquisizione di conoscenza e le azioni politiche intraprese
sulla base di una tale conoscenza. La gamma delle possibili reazioni è
ampia, ma per la maggior parte esse non recano alcun danno alle forze produttrici
di rischi, e certamente non al sistema tecnologico generatore di rischi nel suo
insieme.
Si potrebbe pensare che il
“teorema dell'elettore medio”, molto diffuso tra gli scienziati politici, si
applichi anche alle risposte politiche pubbliche ai rischi. (Secondo questo
teorema le opportunità di successo elettorale di tali politiche sono vincolate
alla loro capacità di influire sugli interessi dell'elettore medio, ciò che
esclude dal complesso delle politiche attuabili quelle che rappresentano
apertamente gli interessi della minoranza, e che offrono alla maggioranza solo
la prospettiva di “pagare il prezzo dei problemi altrui”, cioè di privazioni
sempre maggiori). Se applicato alle misure politiche contro i rischi, il
teorema comporterebbe che solo quei pericoli che la maggioranza considera
inevitabili in termini non-politici (nel senso che non esiste per la
maggioranza alcuna opportunità di ridistribuire i rischi in modo che si
concentrino nei settori più deboli, o di comperare la protezione dai rischi individualmente
o collettivamente) avrebbero buone probabilità di essere universalmente
rilevati dagli attori politici e di generare un’azione politica davvero
compatta ed efficace. Molto probabilmente, contro il lassismo “egoistico” o
l'avventatezza delle azioni altrui si leverebbero voci di protesta
particolarmente forti, ma se si trattasse di censurare le proprie azioni
razionali, perché considerate poco efficaci o avventate, la protesta sarebbe
molto più tenue. E questo non è di buon auspicio per ciò che riguarda
l’espressione politica degli “effetti livellatori” presunti o autentici dei
rischi.
Questi sono gli ostacoli
politici che occorre superare o eliminare se l'obiettivo è contenere
l'accumulazione dei rischi. Ma quest’azione di contenimento è possibile nel
caso improbabile che le difficoltà politiche di ordine pratico siano sconfitte?
Coloro che credono negli effetti politicamente unificanti dei rischi
opportunamente pubblicizzati, così come la maggior parte di coloro che si
dichiarano scettici, concordano sul fatto che in linea di principio l’organiz-zazione
moderna della vita può essere resa sicura senza essere privata di alcuno dei
suoi più apprezzati benefici; che esiste, per così dire, un modo per mangiare
la torta senza finirla...