A proposito di Ossigeno illegale di Nicola Gratteri e
Antonio Nicaso L’articolo di Angelo Gaccione su Odissea
“Economie mafiose e democrazie” pone il drammatico accento sulla commistione delle
mafie “con apparati governativi, uomini politici, abili raffinati e
insospettati professionisti (“i colletti bianchi” su cui il libro [di Gratteri
e Nicaso] insiste, banche compiacenti, settori delle istituzioni a vari livelli:
da ambasciatori a militari, da finanzieri a giuristi, da ingegneri a telematici;
giù giù fino ad imprenditori disonesti, politicanti corrotti e farabutti, a
semplici prestanome, a teste di legno, a fantocci dalle fogge differenti” - una
connivenza senza la quale muovere e investire quella montagna di denaro insanguinato
non sarebbe possibile. Una commistione talmente tangibile - a giudicare dalla
incapacità, non solo dell’Italia, ma dell’Europa ad aggredire i patrimoni
mafiosi - da far dire ad alcuni che “Stati e mafie sono diventate la stessa
cosa”.
Ora l’assunto che c’è dietro a questo ragionamento è che lo Stato sia altra
cosa rispetto alla mafia, che tra Stato e mafia esista un salto ontologico,
come tra il bene e il male, tra gli integri e i corrotti. C’è dunque un
dualismo logico che tuttavia la realtà pare sconfessare. C’è infatti tutta una
zona grigia, mai sufficientemente indagata (ad es. “i colletti bianchi”), dove
lo Stato trapassa e trascolora nella sua ombra criminale. Mi viene in mente la
recente denuncia fatta da qualche giornale fuori dal coro del malcostume
dominante di taluni partiti di chiedere una sorta di “pizzo” (la Lega al 15%,
il PD al 10%) a suoi nominati nei più svariati settori e ambiti direttivi, pena
il ritiro della nomina. Ora mi domando, quanto può essere legale questo
malcostume che pure si trincera ipocritamente dietro “il dovere morale” di
contribuire al partito da parte di iscritti e non, quando abbiamo davanti a noi
una plateale doppia morale? Mi torna alla mente la felice formula della teologa
Mary Daly a proposito della società patriarcale, di cui uno dei pilastri
portanti sarebbe proprio la cosiddetta “avanscena”. La trasparenza dei fatti,
invece, denuncia una pratica di saccheggio del bene pubblico, come riporta oggi
Andrea Sparaciari su “il Fatto Quotidiano”, a proposito del “modello Lombardia”,
sanitario in particolare. Un saccheggio operato due volte, “la prima pagata con
soldi pubblici, la seconda con il rimborso delle tasse, garantito per legge a
chi opera donazioni ai partiti” (come dichiara Massimo De Rosa, M5S), senza
contare che la comunità viene defraudata anche della qualità di quei
professionisti che dovrebbero essere nominati per merito e non per
“affiliazione”, e non trascurando il pesante danno morale di aver minato la
fiducia dei cittadini nella bontà delle istituzioni. E allora la domanda che
sorge spontanea è: sono le istituzioni (in questo caso i partiti) ad essersi
corrotti e ad avere assunto modalità mafiose, o è già insita ab origine nelle
istituzioni stesse l’ombra della loro degenerazione? Nel primo caso è
necessario potenziare il sistema immunitario delle istituzioni (giornalismo
indipendente in primis), nel secondo caso forse più inquietante, siamo chiamati
a ripensare dalle fondamenta le istituzioni e il loro reale funzionamento, non essere
orbati dal loro dettato teorico ma mettere a fuoco le pratiche in uso (le leggi
non scritte che sostanziano le istituzioni). Pratiche di cooptazione,
clientelismo, lottizzazione, lobbismo… sono o non sono ancora criminalità
organizzata? certamente sono il loro avamposto, il terreno in cui le mafie
possono intessere le loro reti di collusione.
Allora ripensare, ad esempio, l’istituto
della durata del mandato, tale da non consentire l’insediarsi di personaggi longa
manus delle mafie, è un modo virtuoso di mettere in discussione le istituzioni per
prospettare soluzioni migliorative. Così come è altrettanto necessario potenziare
lo Stato sociale, sottraendo alle mafie le sacche di povertà di disperati
ricattabili garantendo loro un lavoro (e sussidio nel breve termine) come del
resto proclamato dalla Costituzione. Ma se oggi vogliamo contribuire dal basso ad
estirpare la violenza della criminalità organizzata, dobbiamo finalmente indagare
più profondamente il divario che esiste tra il dettato istituzionale e le
pratiche reali all’interno delle istituzioni, portare a emersione anche quelle
leggi non scritte che delle istituzioni sono parte integrante, senza
dimenticare i nostri stessi quotidiani comportamenti che alimentano o affamano il
vivere civile.