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giovedì 17 dicembre 2020

LO STATO E LA SUA OMBRA
di Gabriella Galzio



A proposito di Ossigeno illegale di Nicola Gratteri
e Antonio Nicaso
                 
L’articolo di Angelo Gaccione su Odissea “Economie mafiose e democrazie” pone il drammatico accento sulla commistione delle mafie “con apparati governativi, uomini politici, abili raffinati e insospettati professionisti (“i colletti bianchi” su cui il libro [di Gratteri e Nicaso] insiste, banche compiacenti, settori delle istituzioni a vari livelli: da ambasciatori a militari, da finanzieri a giuristi, da ingegneri a telematici; giù giù fino ad imprenditori disonesti, politicanti corrotti e farabutti, a semplici prestanome, a teste di legno, a fantocci dalle fogge differenti” - una connivenza senza la quale muovere e investire quella montagna di denaro insanguinato non sarebbe possibile. Una commistione talmente tangibile - a giudicare dalla incapacità, non solo dell’Italia, ma dell’Europa ad aggredire i patrimoni mafiosi - da far dire ad alcuni che “Stati e mafie sono diventate la stessa cosa”.



Ora l’assunto che c’è dietro a questo ragionamento è che lo Stato sia altra cosa rispetto alla mafia, che tra Stato e mafia esista un salto ontologico, come tra il bene e il male, tra gli integri e i corrotti. C’è dunque un dualismo logico che tuttavia la realtà pare sconfessare. C’è infatti tutta una zona grigia, mai sufficientemente indagata (ad es. “i colletti bianchi”), dove lo Stato trapassa e trascolora nella sua ombra criminale. Mi viene in mente la recente denuncia fatta da qualche giornale fuori dal coro del malcostume dominante di taluni partiti di chiedere una sorta di “pizzo” (la Lega al 15%, il PD al 10%) a suoi nominati nei più svariati settori e ambiti direttivi, pena il ritiro della nomina. Ora mi domando, quanto può essere legale questo malcostume che pure si trincera ipocritamente dietro “il dovere morale” di contribuire al partito da parte di iscritti e non, quando abbiamo davanti a noi una plateale doppia morale? Mi torna alla mente la felice formula della teologa Mary Daly a proposito della società patriarcale, di cui uno dei pilastri portanti sarebbe proprio la cosiddetta “avanscena”. La trasparenza dei fatti, invece, denuncia una pratica di saccheggio del bene pubblico, come riporta oggi Andrea Sparaciari su “il Fatto Quotidiano”, a proposito del “modello Lombardia”, sanitario in particolare. Un saccheggio operato due volte, “la prima pagata con soldi pubblici, la seconda con il rimborso delle tasse, garantito per legge a chi opera donazioni ai partiti” (come dichiara Massimo De Rosa, M5S), senza contare che la comunità viene defraudata anche della qualità di quei professionisti che dovrebbero essere nominati per merito e non per “affiliazione”, e non trascurando il pesante danno morale di aver minato la fiducia dei cittadini nella bontà delle istituzioni. E allora la domanda che sorge spontanea è: sono le istituzioni (in questo caso i partiti) ad essersi corrotti e ad avere assunto modalità mafiose, o è già insita ab origine nelle istituzioni stesse l’ombra della loro degenerazione? Nel primo caso è necessario potenziare il sistema immunitario delle istituzioni (giornalismo indipendente in primis), nel secondo caso forse più inquietante, siamo chiamati a ripensare dalle fondamenta le istituzioni e il loro reale funzionamento, non essere orbati dal loro dettato teorico ma mettere a fuoco le pratiche in uso (le leggi non scritte che sostanziano le istituzioni). Pratiche di cooptazione, clientelismo, lottizzazione, lobbismo… sono o non sono ancora criminalità organizzata? certamente sono il loro avamposto, il terreno in cui le mafie possono intessere le loro reti di collusione.



Allora ripensare, ad esempio, l’istituto della durata del mandato, tale da non consentire l’insediarsi di personaggi longa manus delle mafie, è un modo virtuoso di mettere in discussione le istituzioni per prospettare soluzioni migliorative. Così come è altrettanto necessario potenziare lo Stato sociale, sottraendo alle mafie le sacche di povertà di disperati ricattabili garantendo loro un lavoro (e sussidio nel breve termine) come del resto proclamato dalla Costituzione. Ma se oggi vogliamo contribuire dal basso ad estirpare la violenza della criminalità organizzata, dobbiamo finalmente indagare più profondamente il divario che esiste tra il dettato istituzionale e le pratiche reali all’interno delle istituzioni, portare a emersione anche quelle leggi non scritte che delle istituzioni sono parte integrante, senza dimenticare i nostri stessi quotidiani comportamenti che alimentano o affamano il vivere civile.