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lunedì 21 dicembre 2020

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
La vita e la morte


Il concetto di vita dei latini ha il suo fondamento nella cultura greca. Pertanto, anche la storia di questa parola dimostra lo stretto legame tra civiltà greca e civiltà latina. La vita si collega al concetto di esistenza e di nascita. I greci con εμί (eimì) intesero dire non solo sono (quando nasco), ma anche esisto, mentre a π-άρχω (yp-arko) assegnarono il significato di esisto, con la seguente perifrasi: è della creatura durante la gestazione. Anche i latini anticiparono il concetto di esistenza alla vita intrauterina. Se stare contestualizza lo stare in grembo e sistere acquisì il significato di permanere, durare, il pastore latino con ecsisto aggiunse: la visibilità acclarata all’esterno e la vitalità della creatura nel grembo inducono a pensare ad una creatura che esiste, in quanto vive.

I greci denominarono la vita (bios) βίος, che indica non solo la durata, l’esistenza, il genere di vita, ma anche i mezzi per vivere e gli stessi viventi. Essi videro in colui che nasce l’inizio e, comunque, il cammino della vita, predeterminato dalle Moire, dai latini denominate Parche. La traduzione letterale di βίος è: si riscontra nella nascita dell’essere che ha completato il processo di formazione, che è la creatura che viene al mondo, frutto di acquisizione di ciò che le mancava. Nella creatura che nasce c’è lo spazio di tempo che le toccherà di vivere, ma anche la fatica del vivere per procurarsi quanto è necessario e l’incipit di ciò che avrà, inesorabilmente, la fine. Da bios furono coniati biologo, che, in greco, significò: chi rappresenta la vita in modo naturale, dedotto da (bio-logheomai) βιο-λογέομαι: sono rappresentato naturalmente, biologico, dedotto da biologo, quindi: simbiosi, che, per i greci rappresentò la convivenza, anche questa metafora del grembo, ed altri ancora. Il verbo (zao/zoo) ζάω/ζώω: vivo, sono in vita, indica il modo di essere di tutti i viventi (animali) ed ha lo stesso percorso di βίος; da questo verbo fu dedotto (zoon) ζον: essere vivente, animale, immagine, segno, per cui, in italiano, passarono: zoo, zodiaco, che fu mutuato da (zodion) ζδιον: animaletto, e, persino, zotico, il cui significato acquisito è da collegare all’animale vivente. Infatti, zotico, per i greci, indicò l’essere che estrinseca la sua vitalità in modo del tutto naturale. Da rimarcare che Leopardi impresse il suo marchio al significato di zotico, quando ne Le ricordanze scrisse: intra una gente/zotica vil.



I greci da βίος coniarono il verbo (bioo) βιόω: vivo, passo la vita. Questo verbo, con delle modifiche foniche, passò nella cultura latina, divenendo: vivo vivis. Infatti, la β si trasformò in v e l’omicron si oscurò in u, per cui βιόω fu pronunziato: vιuω e, quindi, vivo. I latini, più concreti dei greci, dedussero vita dal participio passato vi(c)tus: vissuto. In questo modo i latini furono più precisi nel definire il concetto di vita, in quanto si riscontra in chi ha vissuto, per cui ci sono tanti modi di vivere la vita, ma, soprattutto, in chi ha vissuto, c’è l’evocazione della morte, come conclusione della vita. Dal verbo vivo fu dedotto l’aggettivo vivo, quindi: vivifico, vivente, convivente, vivido, vivace, vivaio ecc.; dalla parola vita furono dedotti: vitale, vitalità, vitalizzare, rivitalizzare. Si può pensare ad un altro processo per la formulazione della parola vita, senza alterarne il significato. Se per il pastore greco la vita inizia con la nascita, per quello latino la vita è la metafora di quanto avviene nel grembo: la creatura incomincia a prendere forma, quando si lega alla madre, e conclude il suo percorso con la nascita.



Pertanto, per come è del tutto evidente, la vita si conclude con la morte.
I latini attribuirono a chi vive l’anima, come soffio vitale, come respiro, che permane fin quando c’è la vita. L’animale è un vivente, che i greci avevano definito, come si è già detto, ζον, che vive secondo natura. I greci, inoltre, definirono l’animale (to a-logon) τό -λογον, ad indicare il vivente che non parla, ma soprattutto che difetta della capacità di pensare, proprio perché mosso dall’istinto. Inoltre, si può ritenere verosimile che i latini con animal animalis abbiano voluto indicare la creatura, in senso francescano, da crescere per.
Lo spiritismo e la metempsicosi implicano, nel mondo greco, il concetto di anima, distinta dal corpo, mentre Virgilio relega agli Inferi le ombre umane. Il concetto di anima, nel senso della religione cristiana, prende le mosse, oltre che da Socrate e Aristotele, da Platone. Qui, però, non si discute di filosofia, ma di linguistica, per cui occorre fare qualche considerazione su pneuma e psyché. Pneuma s’identifica con soffio, alito, fiato, respiro, soffio vitale, parole dedotte da πνέω, mentre ψυχή come anima potrebbe indicare la forza vitale che unifica tutte le funzioni del corpo. Nel linguaggio odierno psichico attiene a ciò che è della mente, probabilmente presente nella perifrasi di ψυχή: durante l’incubazione, il legame tra madre e creatura genera l’acquisizione graduale di quanto manca, che è lo stratagemma ingegnoso, frutto di una mente geniale, per operare la creazione e la nascita dell’essere.



I greci definirono la morte (thanatos) θάνατος, concetto mutuato dalla metafora del grembo: tumulo in cui avviene la dissoluzione del seme. I latini dedussero mors mortis dal verbo deponente morior; il pastore afferma che il grembo materno dà l’immagine di cos’è il morire. Poi con il suo linguaggio definì morte: quando la creatura lega, che è il principio della formazione dell’essere, tendendo, va a mancare.
 Dalla parola morte fu dedotto l’aggettivo mortale, che è la condizione dei viventi sulla terra, mentre gli immortali vivono sull’Olimpo. I greci dedussero da θάνατος il concetto di mortale: (thnetòs) θνητός (da chi è morto si deduce il concetto di mortale) e (thanasimos) θανάσιμος. Inoltre, dal verbo medio (brotoomai) βροτόομαι: mi faccio uomo, m’incarno ricavò (brotos) βροτός: mortale e il suo contrario: (ambrotos) μβροτος. A tal riguardo, i greci coniarono un bellissimo (aeimnestos) είμνηστος: immortale, da tradurre alla lettera: colui che viene sempre (εί) ricordato, che implica l’immortalità, tutta foscoliana, degli antichi greci.



La morte aveva un rituale importante nel lutto e, soprattutto, nel lutto corale, non disgiunto da una certa teatralità da tragedia, come nei canti funebri della Caria, nel pianto delle prefiche nel mondo latino o nel “capitolo“ (u capituu), proprio della cultura del Meridione, su cui mi sono soffermato nel capitolo V° del libro “Alla ricerca della genesi delle parole”.
 Per quanto riguarda la sepoltura, mi piace fare alcune considerazioni su (thapto) θάπτω: seppellisco e (sepo) σήπω: mi corrompo, marcisco, imputridisco. Il verbo θάπτω ricorda le urne cinerarie che venivano sepolte tappate, da cui in italiano: tappo e tappare e, nel mio dialetto, “ ‘ntippul’ e ‘ntippare”. “Per quanto riguarda sepelio (seppellisco) dei latini bisogna ricordare che fu dedotto da σήπω. Per concludere, mi piace sottolineare che i greci, da σήπω, come contrario di marcio e putrido, dedussero asettico.