PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
La
vita e la morte
Il concetto di vita dei latini ha il suo
fondamento nella cultura greca. Pertanto, anche la storia di questa parola
dimostra lo stretto legame tra civiltà greca e civiltà latina. La vita si
collega al concetto di esistenza e di nascita. I greci con εἰμί (eimì) intesero dire non solo sono (quando nasco),
ma anche esisto, mentre a ὐπ-άρχω (yp-arko) assegnarono il significato di esisto,
con la seguente perifrasi: è della creatura durante la gestazione.
Anche i latini anticiparono il concetto di esistenza alla vita
intrauterina. Se stare contestualizza lo stare in grembo e sistere
acquisì il significato di permanere, durare, il pastore latino
con ecsisto aggiunse: la visibilità acclarata all’esterno e la vitalità
della creatura nel grembo inducono a pensare ad una creatura che esiste, in
quanto vive.
I greci
denominarono la vita (bios) βίος, che indica non solo la durata,
l’esistenza, il genere di vita, ma anche i mezzi per vivere
e gli stessi viventi. Essi videro in colui che nasce l’inizio e, comunque,
il cammino della vita, predeterminato dalle Moire, dai latini denominate Parche.
La traduzione letterale di βίος è: si riscontra nella nascita
dell’essere che ha completato il processo di formazione, che è la creatura
che viene al mondo, frutto di acquisizione di ciò che le mancava. Nella
creatura che nasce c’è lo spazio di tempo che le toccherà di vivere, ma anche
la fatica del vivere per procurarsi quanto è necessario e l’incipit di ciò che
avrà, inesorabilmente, la fine. Da bios furono coniati biologo,
che, in greco, significò: chi rappresenta la vita in modo naturale,
dedotto da (bio-logheomai) βιο-λογέομαι: sono rappresentato naturalmente, biologico,
dedotto da biologo, quindi: simbiosi, che, per i greci
rappresentò la convivenza, anche questa metafora del grembo, ed altri
ancora. Il verbo (zao/zoo) ζάω/ζώω: vivo, sono in vita, indica il modo
di essere di tutti i viventi (animali) ed ha lo stesso percorso di βίος; da questo verbo fu dedotto (zoon) ζῷον: essere vivente, animale, immagine,
segno, per cui, in italiano, passarono: zoo, zodiaco, che
fu mutuato da (zodion) ζῴδιον: animaletto, e, persino, zotico, il
cui significato acquisito è da collegare all’animale vivente. Infatti, zotico,
per i greci, indicò l’essere che estrinseca la sua vitalità in modo del tutto
naturale. Da rimarcare che Leopardi impresse il suo marchio al significato di zotico,
quando ne Le ricordanze scrisse: intra una gente/zotica vil.
I greci
da βίος coniarono il verbo (bioo) βιόω: vivo, passo la vita. Questo verbo,
con delle modifiche foniche, passò nella cultura latina, divenendo: vivo
vivis. Infatti, la β si trasformò in v e l’omicron si oscurò in u,
per cui βιόω fu pronunziato: vιuω
e, quindi, vivo. I latini, più concreti dei greci, dedussero vita dal
participio passato vi(c)tus: vissuto. In questo
modo i latini furono più precisi nel definire il concetto di vita, in quanto si
riscontra in chi ha vissuto, per cui ci sono tanti modi di vivere la vita, ma,
soprattutto, in chi ha vissuto, c’è l’evocazione della morte, come conclusione
della vita. Dal verbo vivo fu dedotto l’aggettivo vivo, quindi: vivifico,
vivente, convivente, vivido, vivace, vivaio
ecc.; dalla parola vita furono dedotti: vitale, vitalità, vitalizzare,
rivitalizzare. Si può pensare ad un altro processo per la formulazione
della parola vita, senza alterarne il significato. Se per il pastore
greco la vita inizia con la nascita, per quello latino la vita è la metafora di
quanto avviene nel grembo: la creatura incomincia a prendere forma,
quando si lega alla madre, e conclude il suo percorso con la nascita.
Pertanto,
per come è del tutto evidente, la vita si conclude con la morte.
I
latini attribuirono a chi vive l’anima, come soffio vitale, come
respiro, che permane fin quando c’è la vita. L’animale è un vivente,
che i greci avevano definito, come si è già detto, ζῷον, che vive secondo natura. I greci, inoltre, definirono
l’animale (to a-logon) τό ἄ-λογον, ad indicare il vivente che non parla, ma
soprattutto che difetta della capacità di pensare, proprio perché mosso
dall’istinto. Inoltre, si può ritenere verosimile che i latini con animal
animalis abbiano voluto indicare la creatura, in senso francescano, da
crescere per.
Lo
spiritismo e la metempsicosi implicano, nel mondo greco, il concetto di anima,
distinta dal corpo, mentre Virgilio relega agli Inferi le ombre umane.
Il concetto di anima, nel senso della religione cristiana, prende
le mosse, oltre che da Socrate e Aristotele, da Platone. Qui, però, non si
discute di filosofia, ma di linguistica, per cui occorre fare qualche
considerazione su pneuma e psyché. Pneuma s’identifica con
soffio, alito, fiato, respiro, soffio vitale,
parole dedotte da πνέω, mentre ψυχή come anima potrebbe
indicare la forza vitale che unifica tutte le funzioni del corpo. Nel
linguaggio odierno psichico attiene a ciò che è della mente,
probabilmente presente nella perifrasi di ψυχή: durante l’incubazione, il legame tra
madre e creatura genera l’acquisizione graduale di quanto manca, che è lo
stratagemma ingegnoso, frutto di una mente geniale, per operare la
creazione e la nascita dell’essere.
I greci
definirono la morte (thanatos) θάνατος, concetto mutuato dalla metafora
del grembo: tumulo in cui avviene la dissoluzione del seme. I latini
dedussero mors mortis dal verbo deponente morior; il pastore
afferma che il grembo materno dà l’immagine di cos’è il morire. Poi con il suo
linguaggio definì morte: quando la creatura lega, che è il principio
della formazione dell’essere, tendendo, va a mancare.
Dalla parola morte fu dedotto l’aggettivo
mortale, che è la condizione dei viventi sulla terra, mentre gli immortali
vivono sull’Olimpo. I greci dedussero da θάνατος il
concetto di mortale: (thnetòs) θνητός (da chi è morto si deduce il
concetto di mortale) e (thanasimos) θανάσιμος. Inoltre, dal verbo
medio (brotoomai) βροτόομαι: mi faccio uomo,
m’incarno ricavò (brotos) βροτός: mortale e il suo contrario:
(ambrotos) ἄμβροτος. A tal riguardo, i greci coniarono un bellissimo (aeimnestos)
ἀείμνηστος: immortale, da tradurre alla lettera: colui
che viene sempre (ἀεί) ricordato, che implica l’immortalità, tutta
foscoliana, degli antichi greci.
La
morte aveva un rituale importante nel lutto e, soprattutto, nel lutto corale,
non disgiunto da una certa teatralità da tragedia, come nei canti funebri della
Caria, nel pianto delle prefiche nel mondo latino o nel “capitolo“ (u capituu), proprio della cultura del Meridione, su cui mi sono
soffermato nel capitolo V° del libro “Alla ricerca della genesi delle parole”. Per quanto riguarda la sepoltura, mi piace
fare alcune considerazioni su (thapto) θάπτω: seppellisco
e (sepo) σήπω: mi corrompo, marcisco, imputridisco.
Il verbo θάπτω ricorda le urne cinerarie che venivano sepolte tappate,
da cui in italiano: tappo e tappare e, nel mio dialetto, “ ‘ntippul’ e
‘ntippare”. “Per quanto riguarda sepelio (seppellisco) dei latini
bisogna ricordare che fu dedotto da σήπω. Per concludere, mi piace
sottolineare che i greci, da σήπω, come contrario di marcio e putrido,
dedussero asettico.