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venerdì 18 dicembre 2020

PIAZZA FONTANA: LA STRATEGIA DELLE STRAGI  
di Giuseppe Natale*

 
Nessun Paese in Europa ha subìto 8 stragi di civili in 11 anni
 
Nell’anno della devastante pandemia, è amaro e doloroso constatare è passato in secondo o terzo o quarto piano sui maggiori giornali il 51° anniversario della strage di Piazza Fontana. Il suo ricordo indelebile e le manifestazioni e le doverose riflessioni sulla stagione delle stragi fasciste e “di stato”, intrecciate con quelle mafiose, portano con sé la terribile verità: le responsabilità e le connivenze di pezzi di classe politica e di apparati statali e di forti ingerenze di servizi segreti stranieri, statunitensi in particolare. Ed è davvero eufemistico continuare a parlare di strategia della tensione, quando invece si tratta di vera e propria violenza pianificata, di strategia delle stragi.
Riscattatasi con la Resistenza e il movimento partigiano e liberatasi dal nazifascismo e dall’occupazione tedesca, mentre aboliva la monarchia e sceglieva la Repubblica e si dava una Costituzione democratica e antifascista, progressista e fondata sui diritti inalienabili della persona e sulla giustizia sociale, l’Italia veniva sottoposta al controllo della potenza USA e della Nato nella divisione in due blocchi del mondo postbellico.
Già nel 1947, all’indomani della liberazione, mentre si scriveva la Carta costituzionale, cominciava la stagione delle stragi con l’eccidio di Portella della Ginestra. Un popolo di braccianti e contadini, che stava celebrando la ripristinata Festa del Lavoro del Primo Maggio, occupando terre incolte e chiedendo pace e pane, lavoro e libertà, veniva falcidiato dalla banda Giuliano etero - diretta da forze reazionarie, da politici della destra del partito democristiano e da corpi fascisti della macchina statale: 14 morti e 30 feriti!
La DC (Democrazia Cristiana), sotto l’ombrello statunitense, rompeva l’unità delle forze politiche antifasciste e prevaleva nelle elezioni del 1948 sul fronte popolare di comunisti e socialisti. Si assumeva la responsabilità di governi di centro-destra, accettando la collaborazione degli eredi del fascismo organizzati nel Movimento sociale italiano di Almirante (convinto assertore del “Manifesto della Razza”,1938, e capo di gabinetto della mussoliniana Repubblica sociale di Salò).


Mentre 15 mila partigiani venivano espulsi dai posti che a buon diritto occupavano nella pubblica amministrazione e nei reparti delle forze dell’ordine, rimaneva invece in servizio, nella sua gran maggioranza, il personale fascista. Ad esempio, nel 1969 a capo della Questura di Milano c’era Marcello Guida, fascista già direttore del carcere di Ventotene!
I conti col fascismo rimanevano e rimangono tutt’oggi aperti.
Grazie alle lotte del movimento dei lavoratori e degli studenti e alla forza popolare dei partiti della sinistra comunista e socialista e alla rivolta antifascista di Genova contro il Governo Tambroni (luglio 1960), si avviava una stagione di lotte e di conquiste sociali e civili che dispiegava tutte le potenzialità di progresso democratico nel ventennio 1960/80.
La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 costituisce la prima della nuova serie di stragi, tra le più violente e barbare della storia del nostro paese. La bomba alla Banca dell’Agricoltura uccideva 17 persone. Caccia all’anarchico, diciottesima vittima, uccisa il 15 dicembre nei locali della Questura: Pino Pinelli, ferroviere, anarchico, ex partigiano.
È la reazione violenta della destra fascista e di corpi deviati dello Stato repubblicano alle lotte democratiche dei lavoratori e degli studenti per i diritti e la dignità del lavoro, per il diritto allo studio e alla tutela della salute, per la conquista di spazi di democrazia, per una migliore qualità della vita. Nessun Paese dell’Europa, e forse del mondo, ha subito nell’arco di 11 anni (1969/80) ben 8 stragi di stampo fascista e massonico P2, all’ombra di pezzi di Stato, insanguinando di vittime civili (136 morti, 137 con Pinelli) il Paese e lacerandolo di dolore e di paura: Piazza Fontana, Gioia Tauro, Peteano, Questura di Milano, San Benedetto Val di Sambro, Brescia Piazza della Loggia, Brescia Piazzale Arnaldo, Stazione di Bologna.
Quando ricordiamo, non bisogna mai dimenticare che la storia della Repubblica democratica e antifascista è profondamente segnata e ferita dalla violenza stragista e terroristica della parte reazionaria e violenta, fascista e criminale delle classi dominanti politico-economiche del nostro Paese. Perché se dimentichiamo questo aspetto e ci limitiamo alla commemorazione di routine, rischiamo di indebolire le nostre difese immunitarie e di non essere più in grado - come cittadini responsabili liberi e indipendenti - di reagire a un pensiero politico debole e accomodante, tendente a sminuire la caratteristica fondante della nostra democrazia costituzionale, quella dell’antifascismo e della inconciliabilità tra fascismo e antifascismo, tra fascismo e democrazia.
Proprio Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, è una delle vittime odierne di tale pensiero debole, che teorizza ipocrite riconciliazioni e compie atti in palese contraddizione con i fondamenti antifascisti della nostra Costituzione e del nostro sistema democratico. Mi riferisco al vulnus inferto alla nostra Città nell’ottobre 2015.


L’amministrazione Pisapia rendeva gli onori a un uomo politico fascista defunto. Con un atto amministrativo iscriveva, il 15 ottobre 2015, al Famedio - il Pantheon del Cimitero Monumentale destinato ad onorare la memoria dei cittadini milanesi illustri o benemeriti -Franco Maria Servello, dirigente e senatore del Movimento Sociale Italiano, che continuò sempre a richiamarsi nostalgicamente al Ventennio della dittatura fascista. Commissario straordinario della federazione milanese dell’MSI, organizzava la manifestazione fascista del 12 aprile 1973, vietata dalla Questura, nel corso della quale in violenti scontri con le forze dell’ordine trovava la morte, colpito da una bomba fascista, l’agente di polizia Antonio Marino.
Nonostante la netta condanna e la protesta di ANPI e ANED che chiedevano la revoca dell’atto, la Commissione (composta dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale di Milano - presidente Basilio Rizzo di Sinistra per Pisapia, Comotti e Fanzago del PD, De Corato di Fratelli d’Italia, Lepore della Lega - e dagli assessori D’Alfonso, Servizi Civici, Del Corno, Cultura) lo confermava. Il nome del fascista Servello rimane così iscritto al Famedio insieme ai patrioti partigiani, e ad emerite personalità che hanno illustrato Milano. La ferita non è sanata. Ancora una volta i conti col fascismo non si sono fatti.  
Per conoscere e non dimenticare consiglio di vedere e/o rivedere un film documentario del 1975, di grande verità e drammaticità e di pregevole efficacia narrativa: Bianco e Nero di Paolo Pietrangeli, con musiche di Giovanna Marini, restaurato e messo in visione gratuitamente su Youtube al link https://youtu.be/rKVJOHtDVQk


Bianco, il colore del partito della Democrazia Cristiana. Nero, il colore del fascismo. Tra i protagonisti che parlano con brutale chiarezza cinismo e arroganza, mi limito a segnalare il gerarca e teorico della “razza” Almirante, Pino Rauti di Ordine Nuovo, il duro e sprezzante ministro degli Interni Mario Scelba. Il film è una lodevole lezione di storia contemporanea che le nuove generazioni devono conoscere.
“Non c’è futuro senza memoria - lezione sulla strage di Piazza Fontana” ammoniva uno striscione, esposto il 12 dicembre in Piazza Fontana tra la lapide delle 17 vittime innocenti e le “due” lapidi di Pino Pinelli. La lapide firmata: Gli studenti e i democratici milanesi recita: “Ucciso innocente nei locali della Questura di Milano”. L’altra del Comune non si sottrae a una grottesca ipocrisia: “Innocente morto tragicamente nei locali della Questura di Milano”. La ferita non è sanata. I conti col fascismo ancora non si fanno.
 
[*Presidente ANPI Crescenzago - Milano]