Ferruccio De Bortoli premette che la scuola deve formare la cittadinanza,
e che la metafora dell'investimento serve solo a mettere in luce quanto poco
essa sia considerata. In realtà dall’articolo esce solo l’idea che la scuola
sia un investimento economico; ciò che si potrebbe aggiungere è che più questa
idea si afferma, anche con l’aiuto dell’UE, più la scuola, così come la sanità,
va a rotoli (fatte salve le debite eccezioni dovute a ciò che resta di buono, e
al valore e all’impegno dei singoli insegnanti). La storia del dopoguerra è
quella di una scuola alla ricerca dell’identità perduta; riforma è la parola
con la quale ad ogni legislatura si è cercato di rispondere a questo bisogno - una parola che nel periodo post-sessantottesco ha assunto colori via via più stravaganti,
man mano che si affermava l’ideologia liberistica con la sua
esaltazione del mercato e del privato, funzionali a una società meritocratica. È
degno di nota il fatto che questo declino è contestuale all’esaurimento della
classe dirigente: a quella liberale sopravvissuta al fascismo, e a quella
formatasi nella lotta antifascista è infatti succeduto il vuoto, anzi con
Berlusconi si è scesi sotto lo zero. La nota non è casuale perché il
sottoscritto, che non è stato sessantottino, è convinto che la scuola debba
formare la classe dirigente che è una cosa molto diversa dalla meritocrazia - una “crazia”, questa, alternativa a quella del popolo. Anche la classe
dirigente è ovviamente un’élite, ma un’élite colta che ha al centro dei propri
pensieri l'interesse pubblico e una missione storica. Si dirà: ma la scuola non
può produrre solo dirigenti. È vero; resta il fatto che l'educazione civica,
appiccicata a una scuola che pensa ad altro, non forma il cittadino. In altre
parole, la cittadinanza si forma soltanto in una scuola pubblica e
gratuita che ha l’ambizione di produrre classe dirigente. E l’impulso a questo
fine non può che venire da un movimento politico che voglia innanzitutto ridare
senso a concetti come sovranità, indipendenza, onore, senza i quali non si fa
neppure l’Europa.