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giovedì 21 gennaio 2021

CELEBRARE LIVORNO
di Felice Besostri


 
Se cent’anni vi sembrano pochi.
Sono troppi se ci si ferma a celebrare Livorno.
 
Siamo, idealmente, nel gennaio del 1891, abbiamo appena un anno davanti a noi prima di fondare un partito dei lavoratori italiani, nella città che offra le migliori condizioni logistiche per un’ampia partecipazione di lavoratori e delle loro associazioni, particolarmente presenti e organizzate nell’Italia settentrionale in varie forme, società di mutuo soccorso, casse di resistenza, leghe, camere del lavoro, circoli operai. Siamo in ritardo. In Germania è stato fondato nel 1863, in Austria è attivo dal 1874, persino la Spagna è più avanti di noi avendo fondato il suo nel 1879, mentre in Gran Bretagna nel 1881 si costituiva una prima formazione d’ispirazione socialista con la partecipazione di Eleanor Marx. Soltanto la Francia è più indietro dell’Italia, benché nel 1889, centenario della Rivoluzione francese con la presa della Bastiglia, proprio a Parigi, sede di un’Esposizione Universale, si fosse riunita per la sua fondazione l’Internazionale Socialista, che radunò nel suo seno tutte le diverse sensibilità socialiste, da quelle socialdemocratiche a quelle comuniste fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.



Nella situazione attuale della sinistra, scomparsa come forza politica influente in Italia, e in grave difficoltà in Europa, ma vince in Nuova Zelanda e in Bolivia, per invertire la tendenza dovremmo dedicare più tempo, energie fisiche ed intellettuali, nonché le limitate risorse materiali di cui disponiamo al 130° anniversario della fondazione, nel 1892, del primo partito dei lavoratori italiani, piuttosto che al centenario del Congresso di Livorno, inteso sia come data di fondazione del partito comunista in Italia, che come scissione del socialismo italiano al suo XVII Congresso. La situazione obiettiva non è paragonabile a quella degli anni Venti del XX secolo, allora il Partito, ancora unico della sinistra, era il Partito di maggioranza relativa. Ora siamo come alla fine del XIX senza un partito della sinistra, con quello che è rimasto non di può rifondare/ricostruire nulla, per non ripetere, bisogna come nel 1892 cominciare da capo.



La fondazione del partito dei lavoratori a Genova, per profittare delle agevolazioni ferroviarie per le celebrazioni della scoperta delle Americhe del 1492, era stata preceduta da una separazione, quella dei socialisti dagli anarchici, non una scissione, in senso tecnico, perché non si era formata un’organizzazione unica, perché sarebbe stato impossibile formarla per ragioni politiche e ideologiche delle sue componenti. Nel giro di pochi anni il partito dei lavoratori si sarebbe definito socialista, come nel resto d’Europa ad eccezione della Scandinavia e della Gran Bretagna, con varie combinazioni di aggettivi, che prescindevano dall’adesione o meno al marxismo, compreso il Partito Operaio Socialdemocratico Russo fondato a Minsk nel 1898, che comprendeva sia i bolscevichi, comunisti e rivoluzionari, che i menscevichi, socialisti democratici. Le vicende di quel partito strettamente legate alla Rivoluzione russa, un fatto epocale, sono in parte all’origine dell’evento  per Left del 8 gennaio 2021 Livorno 1921, come “c’è scissione e scissione, non tutto è dannazione”, perché ridurla al fatto dell’autoemarginazione dei comunisti per fondare il PCd’I, esito non voluto se non da Amedeo Bordiga il leader della frazione d‘allora, in contrapposizione all’espulsione dei riformisti, chiesta nelle 21 condizioni dell’Internazionale Comunista, significa rimanere prigionieri del passato. Stabilire oggi politicamente, se avesse ragione Amedeo Bordiga, tra l’altro eliminato dalla storia ufficiale del PCI, come Lev Trotskij non compare in nessuna foto del PCUS, o Filippo Turati, ci renderebbe prigionieri, für ewig, del passato, porteremmo mattoni in più alla costruzione del muro, che ha diviso socialisti e comunisti, le principali componenti, anche se non esclusive, ideali e storiche della sinistra italiana, europea e mondiale. Erano due minoranze, che, anche sommate (58.783 i comunisti e 14.695 la mozione riformista), erano molto lontane da 98.628 voti dei massimalisti di Giacinto Menotti Serrati. Il confronto tra di loro, chiunque avesse vinto, non avrebbe evitato la sconfitta ad opera dei fascisti e dei loro alleati e/o complici, altrettanto determinanti degli squadristi. La verifica la si avrebbe avuta da lì a poco con le elezioni del 15 maggio 1921 il Partito Socialista Italiano era ancora il primo partito italiano con 1 631 435 voti e il 24,7% e 123 seggi, ma rispetto al 1919 -33 seggi e -7,6%, una perdita non compensata dal risultato del Partito Comunista con il 4,41% e 15 deputati.



Che la situazione stesse precipitando e che l’oggettiva situazione rivoluzionaria, preconizzata de Bordiga ma anche del Terracini nel suo discorso di Livorno fosse tramontata, fosse mai esistita se non come pio desiderio di “fare come in Russia” di convinti militanti senza base di massa, si manifestò nel giro di poco più di un anno: marcia su Roma del 28 ottobre 1922, incarico di Presidente del Consiglio del 30 ottobre a Benito Mussolini. Seguirono le elezioni del 6 aprile 1924 con violenze squadriste e brogli e con la legge Acerbo caratterizzata da un premio dei 2/3 dei seggi a chi avesse superato il 25% dei voti validi e l’assassinio di Giacomo Matteotti del 10  giugno 1924. Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani, nei quali la sinistra era rappresentata da 24 Socialisti unitari e 22 socialisti italiani e nel complesso del Parlamento del 1924 anche da 19 comunisti per un totale del 14,67%: una percentuale paragonabile al 16,57% dei DS alle elezioni dei 2001, dopo la fondazione del PD con la scomparsa dell’ultima formazione erede nella sua stragrande maggioranza del PCI, non sono più possibili paragoni. La sinistra non esiste più, c’è un centro-sinistra con partito egemone il PD, aderente tardivo, grazie a Renzi, al PSE, ma non più ad un’Internazionale Socialista, nel frattempo smobilitata e una sinistra fuori dal PD e in Parlamento temporaneamente raccolta in Liberi e Uguali alleata con PD nel Governo Conte bis e fuori dal Parlamento quel che resta di Rifondazione Comunista e, forse Potere al Popolo, un abbozzo di progetto verde-rosso e un Comitato per l’Unità Socialista, che ha aderito al Manifesto promosso dall’ANPI.



Tutte queste forze nel nostro Paese non hanno un consenso superiore, sulla base delle elezioni col Rosatellum del 2018 e quelle regionali del 2019- 2020, a quello del solo PSU nelle elezioni del 1924, cioè, ad essere ottimisti, il 5,90%. Da quello che ho letto e visto o so si sta preparando per il centenario di Livorno, sono giunto alla brutale, ma spero provvisoria conclusione, che sarà un’occasione politicamente perduta, sul piano storico non mi pronuncio e neppure mi interessa la nostalgia di come eravamo. Livorno non ha nulla da insegnare, né sulla consapevolezza di chi siamo oggi come sinistra, ma soprattutto su cosa dovremmo pensare e fare per influire sugli eventi e acquistare consensi, formando cittadini partecipanti consapevoli.
Questo è il compito principale di forze preoccupate per la crescita delle diseguaglianze dovunque, anche nei paesi cosiddetti “sviluppati” e che non assicurano in troppe aree del mondo, dove vive la maggioranza della sua popolazione, il soddisfacimento dei bisogni primari alimentari, sanitari e educativi, per la sopravvivenza del pianeta, per la crescita esponenziale del potere di centri decisionali sottratti ad ogni forma di controllo pubblico politico democratico e a un prelievo fiscale equo e progressivo, ma che controllano la comunicazione sociale e influenzando i comportamenti individuali e collettivi, in altre semplici parole, che vogliono un mondo diverso e migliore.