Se
cent’anni vi sembrano pochi. Sono
troppi se ci si ferma a celebrare Livorno. Siamo,
idealmente, nel gennaio del 1891, abbiamo appena un anno davanti a noi prima di
fondare un partito dei lavoratori italiani, nella città che offra le migliori
condizioni logistiche per un’ampia partecipazione di lavoratori e delle loro
associazioni, particolarmente presenti e organizzate nell’Italia settentrionale
in varie forme, società di mutuo soccorso, casse di resistenza, leghe, camere
del lavoro, circoli operai. Siamo in ritardo. In Germania è stato fondato nel
1863, in Austria è attivo dal 1874, persino la Spagna è più avanti di noi
avendo fondato il suo nel 1879, mentre in Gran Bretagna nel 1881 si costituiva
una prima formazione d’ispirazione socialista con la partecipazione di Eleanor
Marx. Soltanto la Francia è più indietro dell’Italia, benché nel 1889,
centenario della Rivoluzione francese con la presa della Bastiglia, proprio a
Parigi, sede di un’Esposizione Universale, si fosse riunita per la sua
fondazione l’Internazionale Socialista, che radunò nel suo seno tutte le
diverse sensibilità socialiste, da quelle socialdemocratiche a quelle comuniste
fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Nella
situazione attuale della sinistra, scomparsa come forza politica influente in
Italia, e in grave difficoltà in Europa, ma vince in Nuova Zelanda e in
Bolivia, per invertire la tendenza dovremmo dedicare più tempo, energie fisiche
ed intellettuali, nonché le limitate risorse materiali di cui disponiamo al
130° anniversario della fondazione, nel 1892, del primo partito dei lavoratori
italiani, piuttosto che al centenario del Congresso di Livorno, inteso sia come
data di fondazione del partito comunista in Italia, che come scissione del
socialismo italiano al suo XVII Congresso. La situazione obiettiva non è
paragonabile a quella degli anni Venti del XX secolo, allora il Partito, ancora
unico della sinistra, era il Partito di maggioranza relativa. Ora siamo come
alla fine del XIX senza un partito della sinistra, con quello che è rimasto non
di può rifondare/ricostruire nulla, per non ripetere, bisogna come nel 1892
cominciare da capo.
La
fondazione del partito dei lavoratori a Genova, per profittare delle
agevolazioni ferroviarie per le celebrazioni della scoperta delle Americhe del
1492, era stata preceduta da una separazione, quella dei socialisti dagli
anarchici, non una scissione, in senso tecnico, perché non si era formata
un’organizzazione unica, perché sarebbe stato impossibile formarla per ragioni
politiche e ideologiche delle sue componenti. Nel giro di pochi anni il partito
dei lavoratori si sarebbe definito socialista, come nel resto d’Europa ad
eccezione della Scandinavia e della Gran Bretagna, con varie combinazioni di
aggettivi, che prescindevano dall’adesione o meno al marxismo, compreso il
Partito Operaio Socialdemocratico Russo fondato a Minsk nel 1898, che
comprendeva sia i bolscevichi, comunisti e rivoluzionari, che i menscevichi,
socialisti democratici. Le vicende di quel partito strettamente legate alla
Rivoluzione russa, un fatto epocale, sono in parte all’origine dell’evento per Left del 8 gennaio 2021 Livorno 1921, come
“c’è scissione e scissione, non tutto è dannazione”, perché ridurla al fatto
dell’autoemarginazione dei comunisti per fondare il PCd’I, esito non voluto se
non da Amedeo Bordiga il leader della frazione d‘allora, in contrapposizione
all’espulsione dei riformisti, chiesta nelle 21 condizioni dell’Internazionale
Comunista, significa rimanere prigionieri del passato. Stabilire oggi
politicamente, se avesse ragione Amedeo Bordiga, tra l’altro eliminato dalla
storia ufficiale del PCI, come Lev Trotskij non compare in nessuna foto del
PCUS, o Filippo Turati, ci renderebbe prigionieri, für ewig, del passato,
porteremmo mattoni in più alla costruzione del muro, che ha diviso socialisti e
comunisti, le principali componenti, anche se non esclusive, ideali e storiche
della sinistra italiana, europea e mondiale. Erano due minoranze, che, anche
sommate (58.783 i comunisti e 14.695 la mozione riformista), erano molto
lontane da 98.628 voti dei massimalisti di Giacinto Menotti Serrati. Il
confronto tra di loro, chiunque avesse vinto, non avrebbe evitato la sconfitta
ad opera dei fascisti e dei loro alleati e/o complici, altrettanto determinanti
degli squadristi. La verifica la si avrebbe avuta da lì a poco con le elezioni
del 15 maggio 1921 il Partito Socialista Italiano era ancora il primo partito
italiano con 1 631 435 voti e il 24,7% e 123 seggi, ma rispetto al 1919 -33
seggi e -7,6%, una perdita non compensata dal risultato del Partito Comunista
con il 4,41% e 15 deputati.
Che
la situazione stesse precipitando e che l’oggettiva situazione rivoluzionaria,
preconizzata de Bordiga ma anche del Terracini nel suo discorso di Livorno
fosse tramontata, fosse mai esistita se non come pio desiderio di “fare come in
Russia” di convinti militanti senza base di massa, si manifestò nel giro di
poco più di un anno: marcia su Roma del 28 ottobre 1922, incarico di Presidente
del Consiglio del 30 ottobre a Benito Mussolini. Seguirono le elezioni del 6
aprile 1924 con violenze squadriste e brogli e con la legge Acerbo
caratterizzata da un premio dei 2/3 dei seggi a chi avesse superato il 25% dei
voti validi e l’assassinio di Giacomo Matteotti del 10 giugno 1924. Il 9 novembre 1926 la Camera dei
deputati deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani, nei quali la
sinistra era rappresentata da 24 Socialisti unitari e 22 socialisti italiani e
nel complesso del Parlamento del 1924 anche da 19 comunisti per un totale del 14,67%: una
percentuale paragonabile al 16,57% dei DS alle elezioni dei 2001, dopo la
fondazione del PD con la scomparsa dell’ultima formazione erede nella sua
stragrande maggioranza del PCI, non sono più possibili paragoni. La sinistra
non esiste più, c’è un centro-sinistra con partito egemone il PD, aderente
tardivo, grazie a Renzi, al PSE, ma non più ad un’Internazionale Socialista,
nel frattempo smobilitata e una sinistra fuori dal PD e in Parlamento
temporaneamente raccolta in Liberi e Uguali alleata con PD nel Governo Conte
bis e fuori dal Parlamento quel che resta di Rifondazione Comunista e, forse
Potere al Popolo, un abbozzo di progetto verde-rosso e un Comitato per l’Unità
Socialista, che ha aderito al Manifesto promosso dall’ANPI.
Tutte
queste forze nel nostro Paese non hanno un consenso superiore, sulla base delle
elezioni col Rosatellum del 2018 e quelle regionali del 2019- 2020, a
quello del solo PSU nelle elezioni del 1924, cioè, ad essere ottimisti, il 5,90%.
Da quello che ho letto e visto o so si sta preparando per il centenario di
Livorno, sono giunto alla brutale, ma spero provvisoria conclusione, che sarà
un’occasione politicamente perduta, sul piano storico non mi pronuncio e
neppure mi interessa la nostalgia di come eravamo. Livorno non ha nulla da
insegnare, né sulla consapevolezza di chi siamo oggi come sinistra, ma
soprattutto su cosa dovremmo pensare e fare per influire sugli eventi e
acquistare consensi, formando cittadini partecipanti consapevoli. Questo
è il compito principale di forze preoccupate per la crescita delle
diseguaglianze dovunque, anche nei paesi cosiddetti “sviluppati” e che non assicurano
in troppe aree del mondo, dove vive la maggioranza della sua popolazione, il
soddisfacimento dei bisogni primari alimentari, sanitari e educativi, per la sopravvivenza
del pianeta, per la crescita esponenziale del potere di centri decisionali
sottratti ad ogni forma di controllo pubblico politico democratico e a un
prelievo fiscale equo e progressivo, ma che controllano la comunicazione
sociale e influenzando i comportamenti individuali e collettivi, in altre
semplici parole, che vogliono un mondo diverso e migliore.