Pagine

giovedì 14 gennaio 2021

CONFRONTO
di Guido P. Broich


Scienza e obblighi civili 
 
Da sempre la Medicina è stata caratterizzata da due sentimenti apparentemente contrastanti ma spesso convergenti nei risultati: l’egoismo e l’altruismo. Da una parte la ricerca di contrastare l’insorgenza di malattie e disabilità nella propria persona, dall’altra il contrasto alle malattie, sia come prevenzione che in fase di cura, nelle altre persone. Il naturale istinto di “compassione”, il cui vantaggio evolutivo in una organizzazione complessa di individui è evidente ed innegabile, porta l’uomo a immedesimarsi, a vedere se stesso nella sofferenza altrui, partecipandone in modo più o meno attivo. Oggi sappiamo che questo sentimento istintuale non è solo una mistica emozione, ma trova solide basi neurofisiologiche, tra cui i cosiddetti “neuroni specchio”. Non si tratta solo di altruismo sanitario, ma la partecipazione è importante sia per reprimere fenomeni di disordine sociale che per evitare una pericolosa riduzione della forza lavoro con conseguente danno alla economia del gruppo. Non per nulla la lotta alle malattie trasmissibili e alla povertà che le favorisce, vanno di pari passo, dalle norme romane a quelle di Carlo Magno fino alla comparsa di organiche leggi in Europa alla fine dell’Ottocento.
Vediamo così che la iniziale apparente contrapposizione tra interesse in sanità individuale per motivi personali, egoisti, e quello nella salute pubblica, altruista, si risolve spontaneamente in una convergenza positiva e più generale. Vedere nella medicina solo una azione “sulla persona” senza riconoscerne il contemporaneo, irrinunciabile e fondamentale valore ed effetto collettivo, è pericolosamente fuorviante e francamente stupido.
E ben si noti, questo vale per tutte le malattie. Una malattia infettiva si trasmette e curarla come fenomeno individuale e personale è ovviamente assurdo. Ma anche una malattia, apparentemente personale come un tumore, ha una grande valenza sociale sia per le possibilità di prevenzione date dalle possibili origini ambientali e di igiene di vita, sia per l’impatto sulla capacità lavorativa, inabilità e conseguenti costi alla comunità che ne derivano.
La consapevolezza di dover considerare ogni malattia e ogni cura come argomento di interesse della comunità, di natura pubblica, indipendentemente dal fatto se poi ricerca, diagnosi o cura vengono eseguiti fattualmente da Enti privati o pubblici, nasce ben presto nella storia. La sua organizzazione formale come obbligo dello Stato, con il passaggio da criteri di beneficienza a normativa di assistenza, fu una delle principali conquiste della cultura europea. La Salute come diritto civile innegoziabile, unito all’obbligo di cura, trova il suo definitivo sedimento nella carta delle Nazioni Unite con la speranza di estendere il principio progressivamente anche agli altri stati extraeuropei. Sulle modalità per realizzare questo principio già gli antichi egizi ci trasmettono norme e decreti nei loro papiri e il Levitico stabilisce specifiche e dettagliate misure di prevenzione da adottare. Ma fu la scoperta dei batteri e dei virus a dare una base biologica al fenomeno.

Broich durante una cerimonia
 
Tutti oggi sappiamo che davanti alle malattie trasmissibili, che oggi chiamiamo infettive, sono necessarie poche, ma chiare, misure di prevenzione. Le misure generali sono igiene personale, lavorativa e abitativa perché ambienti malsani, infestati da possibili vettori e abbinati a scarsa igiene personale predispongono alla malattia. Inoltre, perché una malattia insorga, è necessario che si incontrino due fattori: la trasmissione dello specifico agente e il suo attecchimento nella persona.
Per questo esistono solo due strumenti specifici: l’isolamento e la quarantena dei malati per il contrasto della trasmissione e la vaccinazione per il contrasto all’attecchimento dell’agente patogeno.
Dobbiamo pertanto concludere che la istituzione di misure di contenimento della trasmissione, con quarantene ed isolamenti, è non solo una facoltà ma un preciso dovere di ogni governo. Altrettanto importante è prendere le giuste misure per diffondere la vaccinazione tra la popolazione in tutti i casi in cui tale dispositivo esiste ed è applicabile con un rischio inferiore a quello posto dalla malattia stessa. La valutazione di questo rischio a sua volta deve derivare dal processo di analisi e ricerca che sottoscrive in pieno quel che si chiama il “metodo scientifico” moderno.
Prima di procedere chiariamo cosa si intende con questo principio fondamentale della scienza, noto ai greci e riportato in vita dagli illuministi dal 600 in avanti, questa metodologia scientifica della formazione del sapere antitetica al precedente regno degli istinti e delle opinioni derivate da visioni e tradizioni mistiche. Con Descartes e Galileo si afferma definitivamente il principio che è scientifico solo quel che si può dimostrare e ripetere ogni qual volta le condizioni di esame sono identiche. La prova provata, non l’opinione diffusa, i fatti, non le visioni, evocazioni e speranze. La conoscenza scientifica si basa sempre e soltanto sul laboratorio di ricerca e sui suoi risultati. Il metodo scientifico richiede la pubblicazione dei risultati su riviste sottoposte al “peer control” editoriale ed il loro vaglio attraverso altri scienziati non legati tra di loro. La vera Scienza fugge l’oscurità e i segreti, anche se commerciali.


Nessuno può negare il valore comunitario e sociale di ogni argomento in medicina e che pertanto non è solo facoltà ma dovere dei poteri che reggono la communitas, prendere ogni provvedimento utile per tutelare la salute, anche a costo di prendere provvedimenti che limitano la libertà dei singoli. È altrettanto vero che tali misure devono obbligatoriamente fondare su evidenze scientifiche pubblicate, condivise ed accertate in un ambiente di trasparenza e diffusione. Devono essere sottoposte al vaglio scientifico e solo dopo una dimostrazione scientifica di efficacia e una valutazione attendibile dei rischi è possibile attivare una cura, una misura terapeutica, una costrizione preventiva. In nessun caso le misure possono essere basate su opinioni, seppur maggioritarie, opportunità e pressioni politiche o speranze indimostrate. Reale interesse comunitario e prova scientifica documentata e pubblica sono le colonne necessarie ed irrinunciabili per misure restrittive o impositive in materia sanitaria. Tutti ricordiamo gli esami obbligatori per tubercolosi e sifilide e non vedo perché non debbano essere fatti per altre patologie di ampia diffusione come AIDS, epatite C e Coronavirus. È altrettanto giusto ed indiscutibile imporre misure di protezione della comunità come l’isolamento degli infetti e la vaccinazione protettiva dei sani, se questo avviene nel più rigoroso rispetto delle regole scientifiche. Garantire questo rispetto della scienza è responsabilità specifica di tutti gli attori della filiera sanitaria, dai produttori dei presidi sanitari, ai politici che li impongono, ai medici che li dispensano. Qui entra il principio della responsabilità legale di chi decide, ordina e agisce, che permette al cittadino di proteggersi da eventuali fughe in avanti da parte dei suoi governanti.
È evidente che non può essere compito del cittadino dipanare le nebbie della incertezza scientifica, esaminare pubblicazioni scientifiche in tutte le lingue e decidere a mente serena su argomenti di cui non ha la minima formazione. Non può decidere se il percorso scientifico di un presidio sanitario è stato corretto ed esaustivo, non può valutare da solo ogni rischio.
Per questo esistono due principi legali fondamentali, il principio della precauzione, “das Vorsorgeprinzip” come lo chiama la giurisprudenza tedesca, e la responsabilità legale. Ogni cittadino ha il compito di contribuire spontaneamente e consapevolmente con le sue azioni a minimizzare i rischi che possono derivare dalle sue azioni ad altri cittadini. Analogamente il produttore di beni non solo non deve fabbricare beni pericolosi in sé, ma preoccuparsi anche di minimizzare ogni possibile danno, facendosi parte attiva egli stesso. Può farlo per esempio limitandone l’uso a certe fasce di età e fornendo esaustive e comprensibili istruzioni. Deve prevedere i possibili rischi e la negligenza del “lavarsene le mani” con una semplice liberatoria, magari firmata sotto pressione psicologica, sono possibili oltreoceano ma non sono in linea con il nostro sentire giuridico europeo.

Opera di Vinicio Verzieri

Al fianco di questo esiste poi la precisa responsabilità personale delle azioni dei singoli soggetti coinvolti. In medicina il produttore deve garantire la bontà del prodotto e la veridicità e completezza del suo percorso scientifico, le strutture pubbliche devono garantire il controllo e la vigilanza e il medico, che in scienza e coscienza agisce come decisore finale, la applicabilità del presidio alla singola persona. Questa filiera garantisce il cittadino e la vigilanza sulla applicazione delle regole, come la repressione dei comportamenti non conformi, spetta alla magistratura nelle forme stabilite dalla legge.
Applichiamo allora queste riflessioni alla situazione attuale, in cui le opinioni oscurano i fatti e la confusione, non possiamo non prenderne atto, regna sovrana.
Riassumendo non vedo alcun problema nell’imporre vaccinazioni a livello popolare. Lo abbiamo fatto col vaiolo, la difterite e la poliomielite. È giusto che lo Stato lo faccia con ogni mezzo lecito, anche contro le abituali resistenze più o meno interessate o pretestuose. In via aneddotica basti ricordare che una delle prime misure prese dal governo dopo avere fatto passare in parlamento la legge n. 615 del 23.05.1915, conferente i poteri speciali in vista della guerra 15-18, fu il decreto luogotenenziale n. 875 del 13.06.1915 che mise finalmente ordine nella regolamentazione della assistenza alla povertà e alle malattie, norma bloccata da decenni per le endemiche beghe parlamentari.
Incidentalmente si noti che nel Regno d’Italia per governare per decreto ci volle prima una legge.
Ritengo invece profondamente contrario alle basi di uno Stato di Diritto esimere ex ante ditte farmaceutiche, medici governativi e politici decisori da ogni possibile responsabilità per i danni eventualmente cagionati. Alla obbligatorietà deve corrispondere una piena assunzione di responsabilità delle ditte produttrici, degli operatori che vaccinano e degli organi di governo, in tutte le figure sia tecniche che politiche. Se si vuole cancellare il principio di responsabilità - forse perché gli stessi attori non sono sicuri di quel che fanno o per comodità - non può esistere la obbligatorietà. Un cittadino consapevole può accettare i rischi per la propria persona per il maggior bene della comunità, ma solo se al suo fianco si pongono pariteticamente coloro che gli propongono tale rischio.


Opera di Vinicio Verzieri

Scaricare sul cittadino ogni responsabilità, per giunta proponendogli di firmare documenti prolissi e per lui del tutto incomprensibili ed accompagnare il tutto con una campagna di colpevolizzazione e di minaccia sanitaria e discriminatoria, non è degno di un paese che vanta una delle maggiori tradizioni del diritto, retto da una costituzione che ha fatto della tutela della libertà e dei diritti civili uno dei suoi più fulgidi baluardi. Personalmente dubito fortemente che la impunità assoluta ex ante che toglie al cittadino ogni possibilità di difesa dei propri diritti e riducendolo a suddito, sia compatibile con i precetti costituzionali, ma su questo ci sono persone e funzioni specifiche che dovranno esprimersi.
Per ottenere il risultato sperato, e precisamente una condizione in cui immunità naturale post malattia e vaccinazione generano quella resistenza di gregge necessaria per contrastare il virus, non vi è necessità di alcuna legislazione supplementare, di alcun DPCM notturno. Bisogna solo da una parte pubblicare con sincera trasparenza i dati scientifici esistenti, con onestà e senza renitenze, e dall’altra applicare le leggi già esistenti in tema di salute pubblica. Ritengo invece controproducente creare confusione con decreti immaginifici e disinformazione organizzata, che giovano solo a creare paure e sacche di oscurità. Altrettanto dannoso è tentare di affiancare una pressione mediatica monocorde e poco credibile con una contemporanea impunità per tutti i decisori, peggiorando ulteriormente la situazione e favorendo ulteriori sospetti in una popolazione già di per sé poco convinta della onestà e buona fede dei propri governanti. Ma forse le scelte politiche sulle professionalità direttive attualmente in carica, non favoriscono una conoscenza sufficientemente approfondita delle leggi e delle caratteristiche di uno Stato di Diritto, per poter agire in modo trasparente e responsabile.