CONFRONTO
di
Guido P. Broich
Scienza
e obblighi civili
Da
sempre la Medicina è stata caratterizzata da due sentimenti apparentemente
contrastanti ma spesso convergenti nei risultati: l’egoismo e l’altruismo. Da
una parte la ricerca di contrastare l’insorgenza di malattie e disabilità nella
propria persona, dall’altra il contrasto alle malattie, sia come prevenzione
che in fase di cura, nelle altre persone. Il naturale istinto di “compassione”,
il cui vantaggio evolutivo in una organizzazione complessa di individui è
evidente ed innegabile, porta l’uomo a immedesimarsi, a vedere se stesso nella
sofferenza altrui, partecipandone in modo più o meno attivo. Oggi sappiamo che
questo sentimento istintuale non è solo una mistica emozione, ma trova solide
basi neurofisiologiche, tra cui i cosiddetti “neuroni specchio”. Non si tratta
solo di altruismo sanitario, ma la partecipazione è importante sia per
reprimere fenomeni di disordine sociale che per evitare una pericolosa
riduzione della forza lavoro con conseguente danno alla economia del gruppo.
Non per nulla la lotta alle malattie trasmissibili e alla povertà che le
favorisce, vanno di pari passo, dalle norme romane a quelle di Carlo Magno fino
alla comparsa di organiche leggi in Europa alla fine dell’Ottocento.
Vediamo
così che la iniziale apparente contrapposizione tra interesse in sanità
individuale per motivi personali, egoisti, e quello nella salute pubblica,
altruista, si risolve spontaneamente in una convergenza positiva e più generale.
Vedere nella medicina solo una azione “sulla persona” senza riconoscerne il
contemporaneo, irrinunciabile e fondamentale valore ed effetto collettivo, è
pericolosamente fuorviante e francamente stupido.
E
ben si noti, questo vale per tutte le malattie. Una malattia infettiva si
trasmette e curarla come fenomeno individuale e personale è ovviamente assurdo.
Ma anche una malattia, apparentemente personale come un tumore, ha una grande
valenza sociale sia per le possibilità di prevenzione date dalle possibili
origini ambientali e di igiene di vita, sia per l’impatto sulla capacità
lavorativa, inabilità e conseguenti costi alla comunità che ne derivano.
La
consapevolezza di dover considerare ogni malattia e ogni cura come argomento di
interesse della comunità, di natura pubblica, indipendentemente dal fatto se
poi ricerca, diagnosi o cura vengono eseguiti fattualmente da Enti privati o
pubblici, nasce ben presto nella storia. La sua organizzazione formale come
obbligo dello Stato, con il passaggio da criteri di beneficienza a normativa di
assistenza, fu una delle principali conquiste della cultura europea. La Salute
come diritto civile innegoziabile, unito all’obbligo di cura, trova il suo
definitivo sedimento nella carta delle Nazioni Unite con la speranza di
estendere il principio progressivamente anche agli altri stati extraeuropei.
Sulle modalità per realizzare questo principio già gli antichi egizi ci
trasmettono norme e decreti nei loro papiri e il Levitico stabilisce
specifiche e dettagliate misure di prevenzione da adottare. Ma fu la scoperta
dei batteri e dei virus a dare una base biologica al fenomeno.
Broich durante una cerimonia
Tutti
oggi sappiamo che davanti alle malattie trasmissibili, che oggi chiamiamo
infettive, sono necessarie poche, ma chiare, misure di prevenzione. Le misure
generali sono igiene personale, lavorativa e abitativa perché ambienti malsani,
infestati da possibili vettori e abbinati a scarsa igiene personale
predispongono alla malattia. Inoltre, perché una malattia insorga, è necessario
che si incontrino due fattori: la trasmissione dello specifico agente e il suo
attecchimento nella persona.
Per
questo esistono solo due strumenti specifici: l’isolamento e la quarantena dei
malati per il contrasto della trasmissione e la vaccinazione per il contrasto
all’attecchimento dell’agente patogeno.
Dobbiamo
pertanto concludere che la istituzione di misure di contenimento della
trasmissione, con quarantene ed isolamenti, è non solo una facoltà ma un
preciso dovere di ogni governo. Altrettanto importante è prendere le giuste
misure per diffondere la vaccinazione tra la popolazione in tutti i casi in cui
tale dispositivo esiste ed è applicabile con un rischio inferiore a quello
posto dalla malattia stessa. La valutazione di questo rischio a sua volta deve
derivare dal processo di analisi e ricerca che sottoscrive in pieno quel che si
chiama il “metodo scientifico” moderno.
Prima
di procedere chiariamo cosa si intende con questo principio fondamentale della
scienza, noto ai greci e riportato in vita dagli illuministi dal 600 in avanti,
questa metodologia scientifica della formazione del sapere antitetica al
precedente regno degli istinti e delle opinioni derivate da visioni e
tradizioni mistiche. Con Descartes e Galileo si afferma definitivamente il
principio che è scientifico solo quel che si può dimostrare e ripetere ogni
qual volta le condizioni di esame sono identiche. La prova provata, non
l’opinione diffusa, i fatti, non le visioni, evocazioni e speranze. La
conoscenza scientifica si basa sempre e soltanto sul laboratorio di ricerca e
sui suoi risultati. Il metodo scientifico richiede la pubblicazione dei
risultati su riviste sottoposte al “peer control” editoriale ed il loro
vaglio attraverso altri scienziati non legati tra di loro. La vera Scienza
fugge l’oscurità e i segreti, anche se commerciali.
Nessuno
può negare il valore comunitario e sociale di ogni argomento in medicina e che
pertanto non è solo facoltà ma dovere dei poteri che reggono la communitas,
prendere ogni provvedimento utile per tutelare la salute, anche a costo di
prendere provvedimenti che limitano la libertà dei singoli. È altrettanto vero
che tali misure devono obbligatoriamente fondare su evidenze scientifiche
pubblicate, condivise ed accertate in un ambiente di trasparenza e diffusione.
Devono essere sottoposte al vaglio scientifico e solo dopo una dimostrazione
scientifica di efficacia e una valutazione attendibile dei rischi è possibile
attivare una cura, una misura terapeutica, una costrizione preventiva. In
nessun caso le misure possono essere basate su opinioni, seppur maggioritarie,
opportunità e pressioni politiche o speranze indimostrate. Reale interesse
comunitario e prova scientifica documentata e pubblica sono le colonne
necessarie ed irrinunciabili per misure restrittive o impositive in materia
sanitaria. Tutti ricordiamo gli esami obbligatori per tubercolosi e sifilide e
non vedo perché non debbano essere fatti per altre patologie di ampia
diffusione come AIDS, epatite C e Coronavirus. È altrettanto giusto ed
indiscutibile imporre misure di protezione della comunità come l’isolamento
degli infetti e la vaccinazione protettiva dei sani, se questo avviene nel più
rigoroso rispetto delle regole scientifiche. Garantire questo rispetto della
scienza è responsabilità specifica di tutti gli attori della filiera sanitaria,
dai produttori dei presidi sanitari, ai politici che li impongono, ai medici
che li dispensano. Qui entra il principio della responsabilità legale di chi
decide, ordina e agisce, che permette al cittadino di proteggersi da eventuali
fughe in avanti da parte dei suoi governanti.
È evidente che non può
essere compito del cittadino dipanare le nebbie della incertezza scientifica,
esaminare pubblicazioni scientifiche in tutte le lingue e decidere a mente
serena su argomenti di cui non ha la minima formazione. Non può decidere se il
percorso scientifico di un presidio sanitario è stato corretto ed esaustivo,
non può valutare da solo ogni rischio.
Per
questo esistono due principi legali fondamentali, il principio della
precauzione, “das Vorsorgeprinzip” come lo chiama la giurisprudenza tedesca, e
la responsabilità legale. Ogni cittadino ha il compito di contribuire
spontaneamente e consapevolmente con le sue azioni a minimizzare i rischi che
possono derivare dalle sue azioni ad altri cittadini. Analogamente il
produttore di beni non solo non deve fabbricare beni pericolosi in sé, ma
preoccuparsi anche di minimizzare ogni possibile danno, facendosi parte attiva
egli stesso. Può farlo per esempio limitandone l’uso a certe fasce di età e fornendo
esaustive e comprensibili istruzioni. Deve prevedere i possibili rischi e la
negligenza del “lavarsene le mani” con una semplice liberatoria, magari firmata
sotto pressione psicologica, sono possibili oltreoceano ma non sono in linea
con il nostro sentire giuridico europeo.
Opera di Vinicio Verzieri
Al
fianco di questo esiste poi la precisa responsabilità personale delle azioni
dei singoli soggetti coinvolti. In medicina il produttore deve garantire la
bontà del prodotto e la veridicità e completezza del suo percorso scientifico,
le strutture pubbliche devono garantire il controllo e la vigilanza e il
medico, che in scienza e coscienza agisce come decisore finale, la
applicabilità del presidio alla singola persona. Questa filiera garantisce il
cittadino e la vigilanza sulla applicazione delle regole, come la repressione
dei comportamenti non conformi, spetta alla magistratura nelle forme stabilite
dalla legge.
Applichiamo
allora queste riflessioni alla situazione attuale, in cui le opinioni oscurano
i fatti e la confusione, non possiamo non prenderne atto, regna sovrana.
Riassumendo
non vedo alcun problema nell’imporre vaccinazioni a livello popolare. Lo
abbiamo fatto col vaiolo, la difterite e la poliomielite. È giusto che lo Stato
lo faccia con ogni mezzo lecito, anche contro le abituali resistenze più o meno
interessate o pretestuose. In via aneddotica basti ricordare che una delle
prime misure prese dal governo dopo avere fatto passare in parlamento la legge
n. 615 del 23.05.1915, conferente i poteri speciali in vista della guerra
15-18, fu il decreto luogotenenziale n. 875 del 13.06.1915 che mise finalmente
ordine nella regolamentazione della assistenza alla povertà e alle malattie,
norma bloccata da decenni per le endemiche beghe parlamentari.
Incidentalmente
si noti che nel Regno d’Italia per governare per decreto ci volle prima una
legge.
Ritengo
invece profondamente contrario alle basi di uno Stato di Diritto esimere ex
ante ditte farmaceutiche, medici governativi e politici decisori da ogni
possibile responsabilità per i danni eventualmente cagionati. Alla
obbligatorietà deve corrispondere una piena assunzione di responsabilità delle
ditte produttrici, degli operatori che vaccinano e degli organi di governo, in
tutte le figure sia tecniche che politiche. Se si vuole cancellare il principio
di responsabilità - forse perché gli stessi attori non sono sicuri di quel che
fanno o per comodità - non può esistere la obbligatorietà. Un cittadino
consapevole può accettare i rischi per la propria persona per il maggior bene
della comunità, ma solo se al suo fianco si pongono pariteticamente coloro che
gli propongono tale rischio.
Scaricare
sul cittadino ogni responsabilità, per giunta proponendogli di firmare
documenti prolissi e per lui del tutto incomprensibili ed accompagnare il tutto
con una campagna di colpevolizzazione e di minaccia sanitaria e
discriminatoria, non è degno di un paese che vanta una delle maggiori
tradizioni del diritto, retto da una costituzione che ha fatto della tutela
della libertà e dei diritti civili uno dei suoi più fulgidi baluardi.
Personalmente dubito fortemente che la impunità assoluta ex ante che
toglie al cittadino ogni possibilità di difesa dei propri diritti e riducendolo
a suddito, sia compatibile con i precetti costituzionali, ma su questo ci sono
persone e funzioni specifiche che dovranno esprimersi.
Per
ottenere il risultato sperato, e precisamente una condizione in cui immunità
naturale post malattia e vaccinazione generano quella resistenza di gregge
necessaria per contrastare il virus, non vi è necessità di alcuna legislazione
supplementare, di alcun DPCM notturno. Bisogna solo da una parte pubblicare con
sincera trasparenza i dati scientifici esistenti, con onestà e senza renitenze,
e dall’altra applicare le leggi già esistenti in tema di salute pubblica.
Ritengo invece controproducente creare confusione con decreti immaginifici e
disinformazione organizzata, che giovano solo a creare paure e sacche di
oscurità. Altrettanto dannoso è tentare di affiancare una pressione mediatica
monocorde e poco credibile con una contemporanea impunità per tutti i decisori,
peggiorando ulteriormente la situazione e favorendo ulteriori sospetti in una
popolazione già di per sé poco convinta della onestà e buona fede dei propri
governanti. Ma forse le scelte politiche sulle professionalità direttive
attualmente in carica, non favoriscono una conoscenza sufficientemente
approfondita delle leggi e delle caratteristiche di uno Stato di Diritto, per
poter agire in modo trasparente e responsabile.