La
sinistra italiana è rimasta orfana anche di Emanuele Macaluso, strenuo
combattente per i diritti dei lavoratori, a 18 anni segretario della camera del
lavoro di Caltanissetta. Essere segretario della Camera del Lavoro di Caltanissetta
in quel 1944 con la Sicilia occupata dagli americani e il separatismo in piena
azione anche militare, voleva dire porsi il compito di difendere gli zolfatari
da uno dei livelli di sfruttamento più inumani mai registrati nella storia del
movimento operaio italiano. Non
è certo questa la sede per ripercorrere il suo cammino politico, la sua
coerenza riformista, le sue travagliate vicende personali. Nel
PCI si era sempre distinto per la chiarezza delle posizioni e la determinazione
nel sostegno alle sue idee con l’utilizzo di una scienza politica ben degna del
rappresentare uno degli ultimi epigoni della tradizione togliattiana. Macaluso
lo si poteva contrastare (e la sinistra comunista lo contrastò molto
vivacemente in diverse occasioni) ma non certo senza riconoscergli coerenza e
profonda onestà intellettuale Em.Ma
(come firmava i suoi editoriali all’epoca della direzione dell’Unità) sostenne
sempre con grande forza le ragioni dell’unità a sinistra pensando anche ad un
approdo di compiuta socialdemocratizzazione del Partito. Per
questo motivo, pur aderendo alla svolta occhettiana, restò sempre in posizione
critica ritenendo quel processo politico non solo incompiuto ma oscillante e
generico nelle sue coordinate di fondo: così sviluppò, ad esempio, il suo
intervento nell’occasione della presentazione alla Camera del “Il sarto di
Ulm” di Lucio Magri, da lui distante per posizioni politiche ma sicuramente
accostabile nel senso della tenacia di una ricerca per una dimensione diversa
non dogmatica nella presenza della sinistra non soltanto all’interno del
sistema politico italiano ma anche sul piano della dimensione internazionale. Un
ricordo politico coerente per Emanuele Macaluso allora può essere portato
avanti anche nel solco di quel tentativo di superamento delle divisioni
storiche che abbiamo cercato di realizzare attraverso il “Dialogo
Gramsci-Matteotti”. Sicuramente
lui non si sarebbe fermato al “aveva ragione questo” o “aveva ragione quello” e
neppure si sarebbe arreso considerando la sinistra vittima di una “eterna
dannazione” come si sta cercando di descrivere in questi giorni, nei pressi del
centenario di Livorno.
Ricordiamo
allora Emanuele Macaluso ribadendo i punti di principio sui quali abbiamo
cercato di elaborare, proprio nel nome del dialogo Gramsci-Matteotti, una
visione strategica per una nuova sinistra. Da
molto tempo la sinistra italiana ha bisogno di avviare un processo di vera e
propria ricostruzione. Alcuni
punti fermi di una tale rifondazione sono a nostro avviso ben individuabili e
costituiscono i presupposti fondamentali della possibile ripartenza: 1) L’inutilità del mero
assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di
liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento; 2) la necessità di
richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della
teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche
divisioni; 3) è ora di riavviare, senza
anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera
di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto
originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali,
incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una
parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra
capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra
parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale,
peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti
riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece
tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e
sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post-
materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione
dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo,
occorre cambiarlo”.
4) Strettamente connesso a
quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e
modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico
della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi
dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca
di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del
liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero
a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia
recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente
antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e
partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo
pericolosamente in discussione. Per questo la sua rifondazione è oggi più che
mai una priorità per una nuova sinistra che voglia essere all’altezza delle
sfide del tempo nuovo; 5) della crisi di sistema
appena richiamata sono indizio anche alcune pulsioni che pensavamo ormai
accantonate, da quelle nazionalistiche, a quelle imperialiste, al ritorno di
fantasmi quali il razzismo e il fascismo. Anche tutto questo ovviamente deve
essere inquadrato nel contesto del mutamento delle dinamiche internazionali
degli ultimi decenni. La fase presenta infatti elementi di emersione di nuovi
livelli di confronto tra le grandi potenze e di profonda modificazione del
processo di globalizzazione, così come si era presentato alla fine del XX
secolo e, successivamente, nella fase della “grande crisi” del 2007. “Grande
crisi” riaperta improvvisamente all’inizio del 2019 con l’esplosione globale
dell'emergenza sanitaria. Un’emergenza che reclama sicuramente un vero e
proprio “mutamento di paradigma” nelle coordinate strategiche di qualsivoglia
ipotesi di cambiamento rivolta al recupero del senso dell'uguaglianza, così
ferito nel corso degli anni; 6) In questo senso non ci
interessa costruire una sorta di Pantheon comune fra compagne e compagni che
hanno vissuto passate divisioni e che invece oggi sono unicamente impegnati ad
affrontarne sfide nuove ed inedite; molto più interessante semmai una ricerca
in mare aperto su quelle che definiamo “linee di successione” rispetto ai
grandi del pensiero e dell’azione politica di sinistra del ’900.
Queste
la ragioni di fondo della nostra riflessione che abbiamo voluto intitolare ai
due grandi martiri dell’antifascismo. L’occasione
dolorosa della scomparsa di Emanuele Macaluso nella sua proposta di laica forza
del pensiero ci sembra proprio da cogliere per portare avanti il senso
complessivo di questa nostra proposta di riflessione.