Nella
fase di conclusione della pseudo crisi di governo è possibile esprimere un
commento sul dato di fondo che si è rilevato in questo frangente. La
premessa riguarda la necessità di fermare il pericolo rappresentato da una
destra non solo populista e sovranista ma pericolosamente reazionaria. Però
debbono pur essere evidenziate anche alcune osservazioni sulla crisi
strutturale che attraversa il sistema politico italiano soprattutto sul piano
del rapporto tra etica e politica. Infatti non si evolvono soltanto i virus, ma
anche le sindromi politiche. La sindrome trasformista ha sempre rappresentato
una caratteristica costante nel sistema politico italiano a partire -
addirittura - dal Parlamento Subalpino con il connubio Cavour-Rattazzi (1852). Nell’estate
2019 si era poi raggiunto sotto questo aspetto un livello molto elevato di
tensione con il passaggio da un governo incentrato sull’antipolitica populista,
il sovranismo, il razzismo, a un governo incentrato sempre sull’ antipolitica
populista questa voltamessa in accordo
con i presunti eredi delle più grandi tradizioni democratiche: due governi
opposti nelle ali con al centro lo stesso soggetto vincitore delle elezioni
grazie a un inedito “scambio politico di massa” (fuori da ogni idea sia
d’opinione e tanto meno di appartenenza) e addirittura con la stessa persona
fisica a rappresentarne il punto di equilibrio in funzione pivotale. Di seguito
la navigazione a vista portata avanti nel corso dell’emergenza più drammatica
che stiamo vivendo (a livello mondiale) nell’era repubblicana e, oggi, con la
crisi aperta dallo sganciamento di un gruppo nato per scissione sulla base
dell’esasperazione del personalismo e di una concezione “proprietaria” dell’agire
politico. A
questo punto in nome di un presunto “senso di responsabilità” il trasformismo
ha fatto il suo salto di qualità, si è evoluto nell’individualizzazione delle
scelte politiche: quasi un perfezionamento di quanto già accaduto con il
berlusconismo rampante. Il
trasformismo come frutto politico maturo in diretta correlazione con l’individualismo
competitivo che caratterizza la vita sociale, la trasformazione dei partiti in
cordate elettorali raccolte attorno a “gigli magici” dediti al culto del Capo,
lo svilimento ormai quasi totale del Parlamento e del ruolo stesso di deputati
e senatori. Deputati
e senatori preferiscono, evidentemente, muoversi in proprio: addirittura sembra
fallito il tentativo di formare il gruppo dei “responsabili” e/o “costruttori”,
giudicato da molti politicamente troppo impegnativo. Ormai
sono i singoli, eletti grazie alle liste bloccate non si capisce dove e come
(altro che l’abolizione del vincolo di mandato già pilastro dell’antipolitica
come, del resto, il limite dei due mandati) si trovano stretti in una tenaglia:
meglio l’uovo oggi di un incarico offerto dal Presidente del Consiglio o dai
suoi scout oppure la gallina domani di una ricandidatura proposta dal centro-
destra che sicuramente, anche nella ristrettezza dei 600 posti a disposizione,
detiene in questo senso, stante i sondaggi, una potenzialità maggiore? Così
è ridotto il sistema politico italiano e la governabilità di questo Paese in un
momento dove servirebbero capacità di governo, di progettualità, di
rappresentatività e radicamento sociale. Il populismo servito su di un piatto
d’argento. Da rifletterci.