La mia solitudine diventa sempre
più difficile da sopportare come una punizione del destino: Franco Loi se n’è
andato. Pochi lo sapevano, ma noi ci conoscevamo da circa ottanta anni.
Abitavamo io al numero 1 e lui al numero 7 di via Salieri. Una strada ampia che
unisce una piazza alberata con la stazione di Lambrate. Franco veniva spesso a
giocare a casa mia. Una volta mi disse che si ricordava di mia mamma. Visti da
bambini erano anni di una loro felicità. Con la guerra persi di vista Franco.
Lo ritrovai decenni dopo alla Fondazione Corrente. Lui poeta ormai celebre, io
professore all’Università: ci ritrovammo subito, come fossero passati un giorno
o due. Abbracci, confidenze, progetti comuni, sconfiggevamo il tempo. La poesia
era il nostro argomento. Lui affettuoso, sensibile, dolce, capace di sortire un
verso da uno sguardo, dal sonno del tempo, da un oggetto in penombra. Io con la
danza dei miei concetti. Eppure il giardino si assomigliava. Non chiedete a un
filosofo che cosa è la morte. Lo sa dire in mille modi. Tutti sbagliati. Fulvio Papi