Sinistra ed ecologia: un rapporto difficile non ancora
risolto Il tema che qui ci si propone di trattare - nei limiti
necessariamente brevi di un articolo - è ancora aperto, tutt’altro che risolto,
sia nella teoria che, ancor più, nella pratica. Basti pensare, per fare un solo
esempio, alle polemiche sorte dopo la decisione dell’intervento statale nella
ex Ilva di Taranto, la cui attività lungo gli anni ha provocato un pesante
inquinamento ambientale e un lungo e doloroso strascico di morti e ammalati
nella popolazione del tarantino. La contrapposizione fra tutela del diritto al
lavoro e quello alla salute e alla difesa dell’ambiente è tutt’altro che alle
nostre spalle, ma si ripropone continuamente in forme anche aspre.
Greta T.
Chi volesse seguire la storia complessa e spesso
conflittuale dei rapporti fra i movimenti ecologisti e le forze della sinistra,
in particolare il Pci, anche dopo la Bolognina e fino alla sua liquefazione nel
Partito democratico, può avvalersi di due ottime ricostruzioni storiche
contenute in due libri di Sergio Gentili usciti a distanza di un quindicennio
l’uno dall’altro (2002 e 2017) che si incentrano particolarmente, anche se non
solo, sul dibattito e sulle concrete vicende italiane. Nella introduzione al
primo di questi libri Fulvia Bandoli, esponente di punta della sinistra
comunista, del movimento ecologista e di quello femminista - cose che spesso
sono avanti insieme, e non a caso - si interrogava sul “perché è stato così
problematico, ed è ancora tanto difficile, l’incontro tra la cultura ecologista
e la sinistra italiana ed europea?”[1]
Come ben si vede il tema viene
posto correttamente in primo luogo a livello culturale, punto di partenza
indispensabile per passare poi al terreno delle politiche e delle pratiche. Ma
che non si tratti solo di un incontro ma di qualcosa di assai più importante e
impegnativo ci viene detto poche pagine dopo della introduzione al saggio di
Gentili, quando si afferma che il libro “è la storia di un tentativo, ancora in
corso, di dare piena coscienza alla sinistra della necessità di cambiare la
propria cultura politica, di dare spazio alla sua anima ecologista. Non si
tratta solo di aggiungere un aggettivo nuovo, serve proprio un altro
vocabolario”. L’incontro fra sinistra ed ecologia comporta quindi, o meglio è
parte decisiva di una trasformazione della sinistra che, se fatta a tempo
opportuno, avrebbe potuto forse costituire una possibilità per la sua salvezza.
Ma così non è stato. Infatti aggiungere il termine ecologia alla denominazione
di una forza politica è servito a poco, basta considerare la non certo
esaltante esperienza di Sinistra Ecologia e Libertà. D’altro canto sul versante di chi si riconosce
interamente ed esclusivamente nel pensiero ecologico le distanze con la
sinistra non si sono accorciate. Nel nostro paese il partito dei Verdi ha
sempre avuto una presenza ancora più marginale delle forze della sinistra di
alternativa. Ben diversa è stata l’incidenza dei Verdi in Europa, ma non certo
in chiave contestativa degli assetti di potere e delle politiche dominanti.
Basta guardare alle vicende più recenti quando i Verdi - a differenza delle
formazioni che fanno parte del gruppo della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra
verde nordica (abbreviato in Gue/Ngl) - hanno votato sugli ultimi provvedimenti,
in merito alle misure assunte per fronteggiare la crisi sanitaria ed economica
dovuta alla pandemia, assieme alla maggioranza “istituzionale” composta da
Popolari, Socialdemocratici e Liberali. Cosa del resto accaduta in quasi tutte
le occasioni lungo questo terribile anno, al punto che si può dire che in seno
al Parlamento europeo si è di fatto costituita una più ampia maggioranza
quadripartita. Non vi è da stupirsi più di tanto, non solo perché il Green New Deal è diventato - anche se
più nella terminologia che nei fatti, tutti ancora da verificare - linguaggio
corrente a Bruxelles, ma soprattutto perché i Verdi in Europa ci hanno abituato
ad accompagnare atteggiamenti a volte radicali nel merito delle questioni che
concernono direttamente l’ambiente a scelte disinvoltamente moderate sul piano
della collocazione e delle alleanze politiche.
Ma chi si ripropone di
(ri)costruire una sinistra nel nostro paese e in Europa, dando quindi anche
forza e forma al Partito della sinistra europea, non può eludere la domanda
cruciale posta da Fulvia Bandoli in quella introduzione di quasi vent’anni fa.
Pretendere di fornire qui una risposta esaustiva è impossibile, ma accennare a
qualche traccia di riflessione è forse utile. Una delle cause di questo mancato incontro può essere
attribuito ad una lettura dei testi teorici fondativi del movimento operaio che
ha sottovalutato gli elementi di pensiero ecologico presenti in più parti delle
opere marxiane. Faccio riferimento in queste brevi considerazioni
prevalentemente a Karl Marx, tralasciando per questa occasione gli importanti
scritti di Friedrich Engels, quali l’Anti-Duhring
(1878), la Dialettica della natura
(1883), L’origine della famiglia, della
proprietà privata e dello Stato (1884), che pure presentano aspetti, più
direttamente o meno, correlati con il tema ecologico, per evitare di entrare
nel merito della discussione sempre in atto sulle differenze o le sostanziali identità fra i due grandi pensatori
del movimento operaio. Non prima però di avere ricordato che nella sua
prefazione alla terza edizione tedesca nel 1885 del 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, Engels scriveva che “Questa
legge [quella per cui ‘tutte le lotte della storia … non sono altro che l’espressione
più o meno chiara di lotte fra classi sociali’] ha per la storia la stessa
importanza che per le leggi naturali la legge della trasformazione
dell’energia”.[2] Ma la lettura che prevalse in Urss dell’opera di Engels,
in particolare della Dialettica della
natura, fu funzionale alla sistematizzazione di quel materialismo
dialettico sovietico che tanto danno recò sia alla ricerca scientifica che ad
un’interpretazione non irrigidita del marxismo. Con la conseguenza che la
diversità, se non vogliamo usare il termine rottura, determinatasi fra marxismo
occidentale e sovietico nel secondo dopoguerra maturò proprio sul rifiuto del
primo ad applicare il metodo dialettico e la critica marxiana ai processi
naturali. Scelta, io credo, corretta, ma che ha poi contribuito, per una sorta
di eterogenesi dei fini, ad oscurare la capacità di lettura degli spunti
ecologici interni alla potente costruzione marxiana.
Il testo che forse più di
altri ha interpretato questo punto di vista è stato quello di Alfred Schmidt
del 1962. L’allievo di Adorno e di Horkheimer ripropone però una lettura basata
sulla diversità fra il Marx giovane e il Marx maturo sostenendo che “Nella
maturità Marx ha rinunciato […] ad alcune sue tesi [ecologicamente sensibili]
giovanili. Di una risurrezione dell’intera natura egli non parla più. […] La
natura deve quindi venire privata poco a poco della possibilità di vendicarsi
degli uomini per le loro vittorie su di essa”[3].
E venti anni dopo un autorevole marxista come Perry Anderson scrive che “i
problemi dell’interazione della specie umana con l’ambiente terrestre [erano]
essenzialmente assenti nel marxismo classico”[4]. Nessuno vuole fare di Marx il pilastro principale del
pensiero ecologico che peraltro ha potuto svilupparsi in conseguenza degli
enormi cambiamenti intervenuti nel secolo successivo alla scomparsa del
pensatore di Treviri. Tuttavia non è davvero difficile ritrovare in tutta
l’opera di Marx - direi a partire dalla sua dissertazione dottorale del 1841 sulla
filosofia della natura di Democrito e Epicuro[5]fino agli ultimi scritti dei primi anni Ottanta, passando attraverso tutto Il Capitale - brani e riflessioni
riconducibili al tema ecologico. Vi è solo da stupirsi sul come mai non sono
state colte, a riprova di quanto negativi siano gli irrigidimenti ideologici
anche in menti capaci. Il famoso ecomarxista James O’Connor ed altri hanno affermato
però che i tentativi più costruttivi per unire all’economia la termodinamica e
quindi sviluppare una vera economia ecologica sono da attribuirsi al socialista
ucraino Sergej Podolinskij (1850-1891) i cui studi non sarebbero stati a
conoscenza di Marx e di Engels. Ma i più recenti lavori in campo storico hanno
portato a falsificare tale tesi. Nel 1880 Marx venne a contatto con la prima
versione inedita del manoscritto di Podolinskij, inviatogli dallo stesso.
Engels dal canto suo commentò criticamente ma non spregiativamente un altro
articolo dello studioso ucraino. Si può quindi dire che i due si tenevano al
passo con le più moderne riflessioni sulla materia.
Ma forse potrebbe bastare
riprendere in mano la celebre Critica al
Programma di Gotha che Karl Marx scrisse con impeto, quasi con stizza, nel
1875, per capire che non è vero che il Marx maturo avesse abbandonato la natura
al suo misero destino di dominata e sfruttata, per puntare tutto sulla
liberazione del e dal lavoro. Il testo del programma del Partito operaio
tedesco diceva che “Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà” e
Marx si scaglia contro questa formulazione di poche parole scrivendo che “Il
lavoro non è la fonte [corsivi
dell’Autore] di ogni ricchezza. La natura
è la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!)
altrettanto quanto il lavoro, che, a sua volta, è soltanto la manifestazione di
una forza naturale, la forza-lavoro umana”. E ancora “I borghesi hanno buoni
motivi per attribuire al lavoro una forza
creatrice soprannaturale; perché proprio dal fatto che il lavoro ha nella
natura la sua condizione deriva che l’uomo, il quale non ha altra proprietà
all’infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di
società e di civiltà, lo schiavo degli altri uomini che si sono resi
proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col
loro permesso, e quindi può vivere solo con il loro permesso.”[6]
Il dissotterramento delle
radici ecologiche presenti nel pensiero marxiano porterà probabilmente alla
luce nuovi elementi, anche se troppe occasioni si sono perse nel passato. Mi
riferisco in particolare, nel caso italiano, a quel convegno del novembre del
1971 organizzato dall’Istituto Gramsci alle Frattocchie, sul tema “Uomo Natura
Società”, che venne introdotto da due corpose relazioni di Giovanni Berlinguer
e di Giuseppe Prestipino. Il Convegno si collocava, molto opportunamente, in un
momento storicamente cruciale per lo sviluppo del movimento ecologista su scala
mondiale. Negli Usa nel 1962 aveva visto la luce il famoso libro, Silent Spring, della biologa e zoologa
Rachel Carson, che denunciava al mondo i danni irreversibili del DDT e dei
fitofarmaci. Il suo titolo, Primavera
silenziosa[7],
allude al silenzio nei campi primaverili privati del canto degli uccelli a
causa dell’uso massiccio di insetticidi. Da lì cominciò la semina per fare
germogliare un nuovo vasto movimento, che nella “Giornata della Terra”
nell’Aprile del 1970 si snodò in grandi manifestazioni a New York e nelle
principali città statunitensi. Nel suo discorso alla Fao il 16 novembre dello
stesso anno, riprendendo tematiche già introdotte con l’Enciclica Populorum progressio del 1967, Paolo VI
sottolineava le preoccupazioni per una catastrofe ecologica nel caso che l’uomo
non fosse riuscito a “dominare il suo stesso dominio” sulla natura.
Ma il 22 gennaio sempre del
1970, prima delle manifestazioni di piazza, Richard Nixon con il suo “Messaggio
sullo Stato dell’Unione” intorbida le acque: per coprire le responsabilità
della guerra in Vietnam parla del diritto degli americani ad un’aria pulita, ad
un’acqua limpida, ad un ambiente naturale non compromesso. Per la sinistra non
solo italiana l’ambientalismo pareva puzzare di ecoaffari e di diventare un
diversivo rispetto alla protesta mondiale contro l’aggressione al Vietnam. Lo
stesso Fanfani faceva uscire una sua raccolta di scritti in favore
dell’ecologia. Bisognava quindi smontare la tesi che si trattasse di una
scienza “borghese”. Su questo si impegnarono a fondo i partecipanti al
convegno delle Frattocchie del 1971[8].
Ma se l’impatto di quelle discussioni non fu tale da scuotere i gruppi
dirigenti dei partiti della sinistra, servì per arare in profondità il terreno
italiano che già aveva conosciuto le lotte per la casa, contro l’abbrutimento
delle città e del territorio per colpa della speculazione edilizia e la nascita
di un nuovo concetto della salute che partiva dalle fabbriche, grazie ai
Consigli operai, per costruire una comunità scientifica allargata, con il contributo di uomini come Giulio Maccacaro,
Ivan Oddone e sul terreno della psichiatria Franco Basaglia. Lotte che
divennero le premesse delle riforme sociali e progressiste degli anni Settanta.
Le forze ambientaliste,
internamente ed esternamente al Pci cominciarono ad organizzarsi, forti di un
consistente supporto intellettuale soprattutto in campo scientifico. Ma il
congresso del Pci del 1986 respinse due emendamenti, uno presentato da Fabio
Mussi, l’altro da Antonio Bassolino che erano contro l’opzione nucleare. Fu
solo il disastro di Cernobyl di lì a poco a cambiare l’orientamento del Partito
sulla cruciale questione energetica. Nel convegno delle Frattocchie fu in particolare Giuseppe
Prestipino ad affondare le mani nel portato teorico del marxismo per
individuarne le premesse utili per sviluppare un moderno ambientalismo. Come
Giovanni Berlinguer, Prestipino dedica un passaggio all’Engels dell’Origine della famiglia, della proprietà
privata e dello Stato[9],
si sofferma sul lascito culturale e teorico lasciato da Gramsci, di cui
Prestipino fu profondo studioso, ed afferma che “Se la natura è, dal punto di
vista della teoria economica, un serbatoio di forze produttive, l’uomo stesso è
[…] oltre che una forza produttiva sociale, anche una forza produttiva
naturale”. Ha ragione perciò Sergio Gentili nell’osservare che “Questa tesi si
proponeva di aprire un significativo spiraglio da cui prendere coscienza che
quel ‘serbatoio di forze produttive’ era esauribile e sottoposto da tempo ad
un’azione di degrado e che lo stesso processo di liberazione aveva bisogno di
rivalutare seriamente la propria appartenenza alla natura”[10].
Nel corso della sua lunga vita Prestipino ha poi avuto modo di tornare con
profondità e puntualità sulla materia.
Ma nel frattempo la politica
si è venuta sempre più distaccandosi dalla cultura e quest’ultima si è
arroccata nell’accademismo. Una delle cause principali della crisi della
sinistra è proprio questa perché la sua volontà di trasformazione richiede una
conoscenza sempre più affinata e attualizzata dei grandi processi in corso. Per
adattarsi a quello che c’è bastano gli uffici stampa. La storia del mancato
incontro con le culture ecologiche - su cui hanno influito anche e
negativamente alcuni fondamentalismi in quel campo, come le teorie sulla
decrescita più o meno felice - non è altro che parte importante di questa più
grande e generale tragedia. Se prima bisognava lavorare per un incontro ora
bisogna farlo per una rinascita, di cui i temi ecologici sono parte costitutiva
ineludibile di un nuovo profilo ideale e politico della sinistra. Le condizioni
di questo pianeta ce lo indicano con sconcertante chiarezza. Non basta ovviamente il bagaglio marxista che ci portiamo
addietro, anche se fosse correttamente inteso. Era ed è necessario comprendere
che tra quest’ultimo e un pensiero ecologico non esistono barriere di
principio. Ed è quello che qui si è cercato di sostenere e di comprovare. Ma, come scriveva Rosa
Luxemburg nel 1903, a vent’anni dalla scomparsa del Moro, “Marx nella sua
creazione scientifica ci ha anticipato in quanto partito di lotta sul piano
della prassi” e che quindi, quando sorgono questioni inedite è bene attingere
“di nuovo nella riserva concettuale marxiana, per elaborare e valorizzare nuovi
singoli fragmenti della sua dottrina”.[11]
Note 1.
Sergio Gentili Ecologia e Sinistra: un
incontro difficile, introduzione di Fulvia Bandoli Editori Riuniti 2002. Dello stesso autore: Rivoluzione
ecosocialista Editori Riuniti 2017 2.Karl
Marx Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, a cura di Giorgio Giorgetti, Editori Riuniti, 2001, p.41 3.
Alfred Schmidt, Il concetto di natura in
Marx, Laterza 1969, pp. 147-8 4.Perry
Anderson, In the Tracks of Historical Materialism, Verso,
London 1983, p.83 5.Karl
Marx Differenza tra le filosofie della
natura di Democrito e di Epicuro, Bompiani, 2004 6.Karl
Marx, Critica al programma di Gotha,
a cura di Mivchele Prospero, bordeaux, 2018, pp. 9-10 7.Rachel Carson, Primavera silenziosa,
Feltrinelli, 2016 8. Gli
atti del convegno sono stati pubblicati dagli Editori Riuniti nel 1974: Uomo Natura Società. Ecologia e rapporti
sociali. 9.La
citazione presente in entrambe le relazioni è la seguente: “Secondo la
concezione materialistica, il movimento determinante della storia, in ultima
istanza, è la produzione di mezzi di sussistenza, di generi per
l’alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti
necessari per queste cose; dall’altro, la produzione degli uomini stessi: la riproduzione
della specie” 10.Sergio
gentili, Ecologia e sinistra … cit.
p.26 11. Rosa
Luxemburg, “Ristagno e progresso nel marxismo” in Scritti scelti, a cura di Luciano Amodio, Einaudi 1975, pp.229-30