Dalla Lombardia alla
Calabria, il diritto alla salute messo sotto i piedi, nell’indifferenza di
cittadini divenuti sudditi, di manager conniventi e di politici
farabutti. Ieri, primo gennaio, ho
seguito con grande attenzione la trasmissione: ‘Presa Diretta’ di Riccardo
Iacona sulla sanità in Lombardia e in Calabria; una trasmissione molto
interessante nella prima parte, quella sulla Lombardia, ma assai deludente
nella seconda, quella sulla Calabria, sulla quale il servizio è risultato del
tutto povero di approfondimento sulle grandi e gravi carenze che presenta
l’assistenza sanitaria in tutte le sue espressioni, un servizio del tutto
inadeguato alla grande professionalità e onestà intellettuale che Riccardo
Iacona si è guadagnato da tempo sul campo. L’indagine infatti si è
limitata a superficiali, piccole interviste a singoli cittadini che, presi per
strada, hanno raccontato le loro disavventure lungo il cammino delle varie
prestazioni sanitarie cercate e non trovate nella nostra Regione, e che hanno
raccontato, infine, il ricorso storico all’emigrazione in strutture sanitarie
di altre regioni, alle quali ogni anno la Calabria ha versato e versa centinaia
di milioni di euro. Ma questo è saputo e risaputo da tutti, perché non c’è
famiglia in Calabria che da decenni non sia dovuta ricorrere a strutture
ospedaliere di altre regioni per cercare di curarsi, di sfuggire alla morte; e per
dire solo questo, forse, non c’era bisogno della prestigiosa ‘Presa diretta’,
che invece avrebbe potuto impegnarsi con più coraggio nella messa in evidenza
di ben altre ‘povertà’ della sanità calabrese, povertà di cui non si sono
occupati nemmeno i numerosi commissari straordinari, che si sono succeduti
ormai da più di un decennio in questa nostra terra ‘amara e bella’, come ha
cantato in modo struggente Modugno. Si sarebbero così potuti
mettere in luce reati come la liquidazione più volte delle medesime fatture a
fantomatici fornitori di servizi mai presati; l’impossibilità di accedere
tempestivamente nelle strutture pubbliche ad analisi di laboratorio, ad
indagini strumentali come la Tac, la Risonanza magnetica, o a visite
specialistiche, che invece vengono offerte a pagamento da strutture private e
da professionisti troppo spesso dipendenti pubblici e riluttanti a rilasciare
regolare fattura; per non parlare di
reparti ospedalieri, come quelli odontoiatrici, spesso, troppo spesso esistenti
nei nostri ospedali solo negli organici, ma che non erogano alcuna effettiva e
costante prestazione, per cui il malcapitato di turno, a cui si caria un dente,
per sottrarsi tempestivamente al dolore deve avere il portafoglio ben pieno per
recarsi dal libero professionista in studi privati o in cliniche di lusso che
offrono a iosa raffinati ‘maquillages’ dentali, per non parlare di una semplice
cataratta, per intervenire sulla quale nelle strutture pubbliche è necessario
aspettare mesi e mesi.
E la nostra Regione,
compresi i commissari straordinari, di fronte a tale sfacelo, che cosa hanno
fatto in decenni di gestione dissennata? Hanno chiuso tutti i presidi pubblici,
compresi ospedali appena costruiti o ristrutturati, unitamente a costose
attrezzature come Risonanze e sale operatorie, comprate e lasciate dall’inizio
inutilizzate; il tutto per favorire l’apertura di centinaia di cliniche private,
che hanno divorato e divorano milioni di euro: si pensi che nella sola
provincia di Cosenza operano oltre 150 cliniche private, per non contare gli
innumerevoli laboratori di analisi, dove si paga anche con l’esenzione totale per
patologia, perché la Regione, retta da sempre da una classe politica imbelle e
quasi sempre collusa con i ‘poteri forti’, non assicura la copertura di tutte
le prestazioni. E allora? il malcapitato,
che non può pagare, si tiene il mal di denti, la sciatica, il neo sulla fronte,
non fa nessuna prevenzione su eventuali malattie serie e campa alla meno peggio
finché il ‘destino’ glielo consente. Ed ecco la domanda di sempre: come mai da
noi avviene tutto questo?, forse perché da noi interi, estesi pezzi del
territorio sono in mano non dello Stato, ma degli atavici ‘poteri occulti’ che
in ogni anfratto della società, dalla politica alle Istituzioni, controllano
ogni movimento, ogni scelta, ogni attività produttiva; hanno le mani nelle
Università, nella Scuola, nella gestione degli Uffici pubblici, dei concorsi,
delle cooperative cosiddette onlus, riuscendo così a tenere sotto mano tutto il
funzionamento della complessa ‘macchina sociale’. Dobbiamo a questo punto
stare molto attenti, però, a non cadere nell’errore di attribuire tutta la
colpa a questi ‘poteri occulti’, perché così non è. Anche il corpo sociale ha
le sue colpe quando si adagia su se stesso dispensandosi da ogni onere di
controllo e di rifiuto di tutto ciò che gli sta intorno, di tutto ciò che si
agita al di fuori della propria porta di casa, come cosa che non gli appartiene
e richiede impegno. Il nostro popolo non può continuare a dormire, a subire, a
fare a meno dei propri diritti e doveri, ricorrendo solo ed esclusivamente alla
raccomandazione, all’onorevole di turno. La democrazia non è mai un bene
gratuito, la si deve conquistare con l’impegno diuturno, con la conoscenza dei
propri diritti e doveri, con sacrosanto sacrificio, difendendo ad ogni costo il
bene comune, la solidarietà, l’onestà, la libertà e il rispetto degli altri,
valori senza i quali nessuna società giusta può esistere. Qualche decennio fa questi
valori venivano sostenuti e diffusi dalla famiglia, dai Partiti, dalla Scuola e
dall’Università, ma anche dal contesto sociale ancora memore della lotta ai
totalitarismi, oggi invece sono valori peregrini ovunque, e il ‘pensiero debole e liquido’ regna
sovrano, specie in alcune aree del Paese come il nostro Sud, dove regna sovrana
la mancanza di tutto: lavoro, istruzione adeguata, Scuole, sempre meno diffuse,
fiducia nelle Istituzioni, condanna del malaffare e presenza adeguata dello
Stato, che pretende rispetto di leggi, fortemente invece inapplicate verso
quegli stessi ‘poteri forti e occulti’, che così si sostituiscono ad esso.