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venerdì 12 febbraio 2021

Confronti
SOGGETTIVITÀ POLITICA
di Franco Astengo

 
Nel corso della riunione della Presidenza dell’ARS svoltasi il 9 febbraio è stato affrontato, con proposito di forte impegno, il tema della soggettività politica della sinistra italiana. Si tratta di un punto decisivo che da diverse parti era già stato sollevato da tempo. Un punto che però non aveva mai trovato eccessiva udienza. I soggetti organizzati pur trovandosi in dimensioni ridotte e con scarsa influenza sulle vicende politiche correnti non hanno mai dismesso di proseguire in una azione di piccolo cabotaggio destinata esclusivamente a garantire loro un livello minimo di sopravvivenza.
Oggi il quadro dovrebbe cambiare: l’iniziativa dell’ARS potrebbe concretizzarsi a breve nella formulazione di una proposta di seminario aperto a tutti i soggetti culturali, sociali, politici della nostra area.
Un momento di incontro dall’esito del quale (almeno a giudizio dello scrivente) sarebbe necessario scaturisse una proposta concreta posta sia sul terreno dell’identità politica sia di quello della strutturazione organizzativa.
Svolgo quindi un tentativo di smuovere la situazione attraverso alcune proposizioni raccolte in sintesi:
1). Il tema della soggettività politica della sinistra appare ormai come assolutamente prioritario;
2). Non basta la formula della “rete” come collegamento tra soggetti politici e movimenti. Serve un soggetto politico, in una forma adeguata alle molteplici novità del momento, ma compiuto in una forma-partito;
3). Nel formulare questa ipotesi/proposta il primo compito da assolvere è quello di affrontare il tema della complessità delle fratture sociali: una complessità da rileggere non riducendo l’orizzonte strategico a un orientamento esclusivo di indirizzo ma cercando di comprendere appieno il profondo modificarsi avvenuto e in divenire nella dimensione globale al riguardo della relazione struttura/sovrastruttura, prendendo atto che ci troviamo in una fase di crescente “rivoluzione passiva”;
4). Non affronto in questa sede il tema del “disfacimento dell’agire politico”, posto in relazione allo “sfibramento sociale”. Su questo punto, nel corso della citata riunione dell’ARS, sono state sviluppate analisi precise e puntuali alle quali è già possibile richiamarci quali indicazioni di fondo per l'espressione di un necessario livello d’analisi;
5). Da tempo è stata lanciata, da parte dallo scrivente e del compagno Felice Besostri, una proposta denominata “Dialogo Gramsci - Matteotti” che ritengo debba essere oggetto di attenzione nel corso del seminario.
6). Dal punto di vista della base sociale di questa possibile necessaria nuova soggettività ricordo ancora una volta che è stata reiterata un’assenza di risposta (dopo che questo fatto si era già verificato dopo il referendum del 2016) ai milioni di elettrici ed elettori che hanno votato “No” nel referendum del settembre 2020 sul taglio dei parlamentari. Naturalmente non si ha la pretesa di inglobare tutti i sette milioni e mezzo di voti ottenuti, ma una buona percentuale di essi è stato sicuramente raccolto nella convinzione di chi li ha espressi di votare nel solco di una proposta di sinistra costituzionale.
Una sinistra costituzionale che ha continuato a vivere, sia pure sottotraccia, nella politica italiana come ha dimostrato la formazione a suo tempo di una rete di sostegno ai ricorsi presentati (e vinti) nel riguardo di leggi elettorali incostituzionali: esperienza che sarà urgente rimettere in piedi al riguardo della battaglia da condurre nei riguardi della legge elettorale attuale.
Abbiamo avuto altri esempi di importanti aggregazioni sociali che si sono espresse senza corrispondenza di una adeguata soggettività politica: da quello del referendum sulle trivelle o a quello sull’acqua pubblica.
Temi che non possono essere lasciati esclusivamente ai movimenti e che necessitano di una definizione e di una presenza politica e che dimostrano la necessità di rilettura nella qualità delle contraddizioni sociali in atto e nel loro intreccio. Esposti questi punti meramente descrittivi mi permetto ancora di riportare alcuni elementi del discorso riguardante il “Dialogo Gramsci - Matteotti”, considerato non semplicisticamente come richiamo storico ma come vero e proprio “manifesto politico”.



Alcuni dei principi esposti di seguito sono da intendersi come promemoria di riflessione per un dibattito che è necessario aprire al più presto.
Una nuova sinistra nella cui fase di costruzione si sviluppi una ricerca di collegamento attorno a due punti:
1). I richiami ai punti più alti nella storia del movimento progressista nel nostro Paese;
2). L’identità costituzionale.
Quali punti possono però rappresentare gli elementi di distinzione e di identità che una nuova sinistra dovrebbe poter sviluppare nell’attualità?
Provo allora a riassumerne alcuni riprendendo spunto da passaggi che sono già stati enunciati ed elaborati nei mesi scorsi già caratterizzati tra l’altro dall’emergenza sanitaria:
Si impongono, nel dopo globalizzazione, due elementi di fondo sui quali riflettere:
1). Torna a prevalere l’idea del “senso del limite”: quel “senso del limite” che richiede l’esercizio dello spirito critico e della continua ricerca sulla realtà della natura umana. Si è rovesciato il senso delle “magnifiche sorti e progressive” e la storia non è certo finita anche se è difficile individuarne traiettorie lineari;
2). Il governo delle cose non può essere demandato alla volontà di potenza di chi detiene il dominio di una tecnologia che punta esclusivamente all’estetica dell’apparire posta in funzione della crescita esponenziale dei margini di disuguaglianza (com’è avvenuto nel corso degli ultimi decenni).
Non so se cercare di limitare il dislivello globale possa essere considerato “riformismo” e se a questo progetto siano più vicini i socialdemocratici USA, il Labour o altri ancora.
Rispetto ai temi di fondo del modello di sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni umane, degli interscambi non esclusivamente legati alla logica del profitto, delle comunicazioni d’informazione e culturali ha ragione chi sostiene che l’emergenza sanitaria globale oggi in corso, ci pone di fronte a un’occasione possibile.



Esaurite le forme politiche che hanno segnato il ’900, tra l’idea dell’onnipotenza della tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre all’osso) della “decrescita felice” bisognerà pur individuare un nuovo equilibrio.
Per poter pensare di fronteggiare il fenomeno emergente del caos (per altro ben sostenuto dalla solitudine che deriva dall’esercizio degli strumenti di comunicazione di massa) occorrerà allora ripensare ai concetti di “società sobria” ben oltre il semplice criterio della sostenibilità.
La ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i contorni di questa “società sobria” avendo come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni” (lasciando da parte “i meriti”: le urgenze sono troppo impellenti anche se bisognerà non limitarci a pensare a una “società dell’emergenza”);
Servirà studiare per definire un aggiornamento teorico relativo proprio alla realtà delle “fratture” esistenti, sulla base del quale riaggregare primordialmente interessi specifici.
Inedite segmentazioni si presentano nella complessità sociale e ci pongono di fronte ad una esigenza forte di radicalità progettuale: anche i vecchi schemi lib-lab risultano sicuramente superati e ancor più “retrò” appare la vecchia manovra della sinistra che vince al centro.
Va posta per interno la dimensione della prospettiva di una “radicalità di progetto” per definire una società alternativa a quella fondata su di un’economia dell’arricchimento progressivo. Quell’arricchimento progressivo posto sul piano individualistico del consumo che abbiamo ben visto come diventi inutile (e dannoso) in fasi di difficoltà generale. Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella globalizzazione, la vicenda dell’epidemia ci dimostra che siamo rimasti fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali.