PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
L’amore.
L’amore
ha diversi significati, che si colgono dal contesto, per cui i greci coniarono
tanti verbi per rappresentare le varie sfaccettature: (aspazomai) ἀσπάζομαι: accolgo con affetto, accarezzo,
(stergo) στέργω: amo teneramente, sono contento di, che, inequivocabilmente,
fanno riferimento all’amore materno. Infatti, il deverbale di stergo è (sterxis) στέρξις: affetto. Un altro verbo molto simile a stergo è
(fileo) φιλέω: amo, voglio bene a, ho caro, tratto
benevolmente, bacio, il cui deverbale (filema) φίλημα si traduce: il
bacio. Come si è più volte detto
la desinenza verbale έω è un deduttivo logico, con la funzione di indicare
cosa si astrae dalla radice, che, in questo caso, è fil, che dovrebbe
contestualizzare la nascita della creatura e/o l’inizio del concepimento. Fil
si può tradurre: va a nascere lo sciogliere, che dovrebbe rimandare
a quanto detto, se i latini da questa stessa radice dedussero filius. Quando
i greci formularono l’aggettivo (filos) φίλ-ος: caro, diletto, amato, accetto,
gradito indicarono colui/colei cui voglio bene (in quanto ος si deve rendere: è colui che lega); successivamente
acquisì il significato di amico, che è la persona che mi è cara, mi è
gradita in modo disinteressato, con la quale sto bene, cui faccio regali, alla
quale faccio le mie confidenze, di cui ho piena fiducia. I motivi per cui,
talvolta, si rompono alcune amicizie di lunga data possono derivare dal fatto
che, in alcuni casi, la scelta è fatta da uno solo dei due e le attese sono molto
particolari.
Un altro verbo che indica dedizione della madre per
il figlio è (agapao) ἀγαπάω: accolgo con affetto, amorevolmente,
tengo in maggior conto, preferisco, il cui deverbale è agape con
i seguenti significati: affezione, oggetto d’amore, carità.
Se per i cristiani l’agape è il banchetto eucaristico un motivo ci sarà
stato; tra l’altro, i greci le attribuirono il significato di carità,
che, nel processo di formazione dell’essere, indica l’atto di amore della madre
che nutre e forma l’essere in embrione.
Per
continuare la rassegna dei significati da attribuire ad amare si cita il
verbo medio (eramai) ἔραμαι: bramo, desidero appassionatamente, amo ardentemente,
da cui il deverbale (eros erotos) ἔρως ἔρωtος: passione,
brama ardente, che sono attinenti all’amore sensuale e sessuale;
inoltre, dal sostantivo eros fu dedotto l’aggettivo erotico.
I greci,
inoltre, coniarono un altro verbo: (mao) μάω: desidero,
bramo, aspiro a, smanio, tendo, mi affretto,
significati desunti da questa breve perifrasi: genera il rimanere (in
questo caso, il rimanere in grembo, con la spinta continua della creatura, è
indicativo di un vivissimo desiderio di voler uscire). Inoltre, premettendo
l’alfa al verbo formularono ἀ-μάω: mieto, falcio da questa perifrasi: dal generare il
rimanere, che servì al contadino per indicare la mietitura, quando i
cereali sono maturi. Quindi, da ἀμάω fu dedotto ἀμητής: mietitore. C’è da rimarcare che il verbo mao
fu conosciuto dai latini, se dedussero mox: subito, da cui
nel mio dialetto: mo’ con lo stesso significato. Mox (da scrivere
con grafi greci: μαωχς, da cui μῶξ) si deve tradurre: dal rimanere: il parto
è imminente. Ho fatto questa digressione per dimostrare che è la perifrasi
che dà senso al simbolo verbale e non sempre la radice ed anche per ribadire
che mao dei greci era conosciuto dai latini, da cui, probabilmente,
dedussero il verbo amo, che si può tradurre: è ciò che si genera dal
rimanere, che contestualizza la creatura in grembo, alla quale voglio bene
in sé, in quanto frutto d’amore. Pertanto, in amo dei latini
confluiscono sia fileo sia eramai. Sembrerà strano, ma, nel mio
dialetto, non si usa il verbo amare, per cui un giovane dirà di colei
che appetisce: “ ‘a vugl’ (la voglio) e n’ vugl’ bene (le voglio
bene)”.
A questo punto occorre analizzare l’aggettivo amicus,
che, certamente, è speculare a filos. Sicuramente ha un significato diverso da amante
e da amato. Nella metafora del grembo, dovrebbe essere il compagno
di viaggio (in un parto gemellare), quello da cui sono inseparabile, quello con
cui tutto condivido, quello che (dal rimanere), nelle pause del lavoro,
m’intrattengo con piacere. Faccio osservare che, in latino, un sinonimo di amico
è sodale, camerata (da cui: sodalizio): quello con cui
tutto condivido.
Per indicare
l’amore tenero, i latini usarono anche diligo (preferisco), che è
l’amore esclusivo della madre per la propria creatura, quella che porta in
grembo.
I latini per
indicare l’amore passionale coniarono flagro: brucio per, cupio:
desidero, bramo, da cui concupio e concupisco. Per
indicare colui che è bramoso, dedussero cupido, da cui cupidigia,
mentre da concupisco derivarono concupiscente e concupiscenza.
Inoltre, il desiderio di amare fu mitizzato in Cupido, dio
dell’amore, raffigurato nel putto che lancia strali di fuoco per fare
innamorare. Un piacere tutto dei sensi è voluttà, quindi: voluttuoso
(è colui/ciò che genera la voluttà) e voluttuario.
Un sostantivo
latino speculare a eros è sicuramente libido.
Un verbo tutto
italico, frutto della presenza dei coloni greci, è bramare, che indica
un desiderio istintivo, intenso, incontenibile, insaziabile e da saziare, da
cui furono dedotti brama, bramoso e bramosia. Penso
di non sbagliare, se dico che bramare sia da collegare direttamente a μάω, che indica che la creatura, che tende e si protende, esprima la voglia di
venire alla luce, che diventa irrefrenabile, quando ingaggia la battaglia
finale durante il travaglio. Nel mio dialetto c’è una sorta d’intensivo di
questo verbo: abbramid’, che, spesso, riguarda gli animali, ad indicare
un forte desiderio istintivo di passione d’amore.
Un altro lemma tutto italico, ma desunto dalla
cultura greca, è passione per. Sicuramente è tratto dalla radice παθ, che, come si è detto in altri scritti, fu largamente
usata dai greci e, soprattutto, dai latini. Passione per accoglie in sé
una parte dei numerosi significati di πάθος: piacere,
amore, passione, parole che ci ricordano che nell’uomo c’è un
fuoco inesauribile, che si accende nell’amore per e che alimenta tanti
altri interessi, che, per ognuno, diventano esclusivi.
Per concludere, da sentire gli italici dedussero
il deverbale sentimento, che possiamo definire un sesto senso: ciò
che si prova con il cuore, mentre i latini da facio/ficio, che
rimanda, ab origine, alla formazione della creatura in grembo, dedussero affetto,
che è ciò che provo per mio figlio appena nato. Da ricordare che nel mio
dialetto: avere i sintiment’ (i sentimenti) rimanda a far uso della
ragione, che è uno dei tanti modi d’interpretare sensus sensus.