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mercoledì 24 febbraio 2021

IN RICORDO DI UN POETA
di Angelo Gaccione e Don Burness

Lawrence Ferlinghetti

Milano. Se n’è andato ieri alla veneranda e giovanissima età di 101 anni. Dico giovanissima perché i veri poeti restano sempre giovani, come il loro cuore, come la loro indistruttibile parola, come le loro idee se sono profonde e non conformiste. Il “romantico contestatore”, il pacifista, l’anarchico fedele ai suoi principi libertari ed alla letteratura, ha terminato la sua vicenda terrena. Lawrence Ferlinghetti è morto nella sua casa a San Francisco, dove da tantissimi anni ha animato la sua mitica libreria, la City Lights Bookstore, punto di riferimento di generazioni di poeti, di oppositori, di giovani alla ricerca di un ideale di società tollerante, pacifica, solidale. Una libreria impregnata di versi e di idee, di confronto e di stupore. Qui in Italia, dove Ferlinghetti veniva spesso, le televisioni se la sono cavata con una miserabile e asettica notizia in coda ai telegiornali. Non hanno sprecato una sola parola. Non ci scandalizziamo più di tanto: ci sono vite che fanno paura, mostrano agli apparati di potere e ad ampi pezzi di società la loro cattiva coscienza.
 
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Ferlinghetti. Un ricordo di Don Burness


Ferlinghetti davanti alla sua libreria

Usa. La morte del poeta editore pittore Lawrence Ferlinghetti questa settimana segna la fine di una delle voci più significative d’America. Ferlinghetti (suo padre era bresciano) con la sprezzatura a metà del XX secolo ha portato la poesia al centro della scena della vita americana pur sapendo che il materialismo americano come dio, uccide il necessario senso di meraviglia e lirismo senza il quale la vita è piuttosto noiosa. Era il “Trombettista dei beatniks” che pubblicava “Urlo” di Ginsberg sconvolgendo gli sbandieratori puritani. È nato a Bronxville, New York, dove è sepolto Melville. Leggeva tantissimo. Lesse in gioventù come tutti noi che abbiamo molta fantasia i quattro romanzi di Thomas Wolfe del North Carolina e seguì Wolfe in Francia. Anch’io ho letto Wolfe e anch’io sono venuto a studiare in Europa. Era l’era del fare l’amore, non la guerra, l’era della protesta contro la guerra del Vietnam. Abbiamo letto tutti “A Coney Island of the Mind” di Ferlinghetti (questo prima che la televisione e gli idioti dei media viziassero la cultura). Ricordo di essere stato nel 1959 una matricola all’Università del Michigan e in inglese da matricola, quasi tutti gli studenti avevano letto Ginsberg, Wolfe, Ferlinghetti e James Baldwin. Ferlinghetti l’acrobata verbale ci ha intrattenuto e ci ha insegnato che la vita è amore, la vita è sesso, la vita è impegno per la giustizia sociale, la vita è buon vino. Mia moglie Mary-Lou ed io siamo figli della Beat Generation e la vitalità di quell’età è stata resa manifesta da Lawrence Ferlinghetti, che con lo slancio di Dario Fo ha dimostrato che la letteratura non era un mero esercizio accademico sterile.