Èevidente come risulti del tutto prematura la formulazione di un giudizio sul
tentativo di Draghi di formare un governo essendone incerta la struttura, la
base parlamentare, il programma. Purtuttavia alcune considerazioni sulla
condizione generale del sistema politico italiano possono egualmente essere
avanzate. Da molti anni, in settori minoritari della sinistra, si sta cercando
di insistere sulla necessità di un’analisi riguardante l’estrema fragilità del
sistema politico italiano. Un sistema fragile segnato profondamente dal
trasformismo. Un sistema che, nel suo insieme, ha finito con l’arroccarsi su
logiche di distruttiva autoconservazione. Fragilità
che oggi viene alla luce in una dimensione davvero complessa da affrontare. È
necessario uno sforzo di riflessione e l’elaborazione di una proposta politica
da destinare ad essere sottoposta prima e poi al giudizio elettorale. Una
proposta politica avanzata da una “Sinistra Costituzionale” attraverso la cui
costruzione fornire finalmente una risposta alla parte dell’elettorato più
coerente e responsabile che si è pronunciato per il “No” nel referendum del
settembre 2020: da quel “no” sarebbe stato necessario ripartire perché il tema
della democrazia costituzionale tornasse ad essere centrale perché rimane
quello più urgente, importante, attorno alle cui coordinate di fondo
raccogliere il modificarsi di qualità delle contraddizioni sociali in un
progetto di alternativa. La
responsabilità dello stato di cose in atto non è certo tutta di Renzi che ha
sicuramente lavorato in conto terzi inserendosi nel totale distacco dei
principali centri del potere finanziario e politico dal Paese reale e dalle sue
fratture sociali. La responsabilità maggiore spetta, invece, alla leggerezza
con la quale, all’interno del sistema, è stato permesso al M5S di raccogliere
una messe di consensi ottenuti sulla base di opzioni meramente demagogiche
senza che si verificasse un contrasto reale di progetto alternativo.
Sergio Mattarella
Questo
elemento, della resa verso i 5 stelle nel periodo 2013-2018, è risultato
esiziale perché ha consentito che si inoculassero nel sistema forti dosi di
demagogia a livello di riscontro di massa, oltre a quelle che erano già state
inserite attraverso la crescita esponenziale del fenomeno della personalizzazione.
Processo di personalizzazione della politica alimentato fuori misura da un’idea
della governabilità intesa come fattore esaustivo dell’azione politica (e
conseguenti leggi elettorali). Un
mix micidiale: governabilità e personalizzazione (personalizzazione esercitata
dalla base del sistema, ai livelli più bassi: cui è stata data una mano con
l’elezione diretta di presidenti e sindaci, oltre che con le primarie,
meccanismo che pare per fortuna abbandonato). Il
risultato dell’intreccio tra governabilità intesa come mero esercizio del
potere e personalizzazione della politica a tutti i livelli è stato quello dell’emergere
del fenomeno della demagogia trasformistica. Una demagogia trasformistica che
si è accompagnata alla crescita delle diseguaglianze e alla sparizione della
middle-class: un quadro di impoverimento generale che ha causato il formarsi di
una sorta di alleanza tra il “ventre molle” della borghesia e l’individualismo
competitivo, che alla fine, ha assunto la veste di una domanda di tipo
assistenzialistico-corporativo, con la perdita di ruolo nell’insieme dei corpi
intermedi di mediazione sociale e politica (il tema dello scontro sulla
governance del recovery-plan risiede tutto in questo quadro appena definito.
Sarà su questo punto che, dopo tante parole, si misurerà davvero il rapporto
con l’Unione Europea).
Una
domanda di tipo assistenzialistico-corporativa cui si è cercato di fornire due
tipi di risposta: 1) la chiusura
nazionalistica (che sempre accompagna il fenomeno corporativo); 2)la già citata demagogia
trasformistica (storicamente presente nel sistemapolitico italiano). Con
queste due risposte, entrambe presenti nell’attualità, non siamo andati lontani
da una antica rievocazione dell’“autobiografia della nazione”. Così
è sparita la sinistra, incapace di riconoscere le contraddizioni reali sulla
base delle quali stava trasformandosi la società italiana. A
questo punto c’è ancora chi, addirittura, sta pensando a una alleanza
strategica con un movimento che si è fondato, nel periodo del suo successo, su
questa demagogia trasformistica caratterizzata dal prevalere dello “scambio
politico” sull’appartenenza e sull’opinione. Un movimento demagogicamente
trasformista caratterizzato da una logica del potere per il potere intesa come
cifra di costruzione di un consenso effimero, anche pericoloso nelle forme in
cui si è realizzato ed espresso, e attraverso la cui caduta rischia di
affermarsi una destra nazionalista, e corporativa fino al punto da esprimere
pulsioni di tipo razzista. I
rischi per la democrazia italiana risultano molto alti: al di là dell'esito
possibile dell’operazione Draghi (già messa in preventivo da tempo) appare
proprio il caso di lanciare un vero e proprio allarme per la credibilità di un
sistema profondamente malato. Servirebbe un progetto all’interno del quale il
tema del ruolo delle istituzioni inteso nel solco della difesa della democrazia
repubblicana dovrebbe avere come riferimento centrale la necessità urgente di
rilegittimazione del sistema. Una legittimità del sistema che nessun tipo di
governo, tanto meno “del Presidente” in questo momento può porre in atto.