Sulla base di come viene
interpretata la radice e del contesto che vuole leggere, la parola, che è un
simbolo unico, acquista significato. A questo bisogna aggiungere che l‘aggiunta
di simboli alla radice modifica la perifrasi, determinando significati nuovi ed
imprevedibili. La radice (thum) θυμ, che si
può leggere: quando permane ilcrescere/rimane a crescere la creatura
o quello di cui si parla, con l’aggiunta della desinenza (os) ος: è
ciò che nasce (alla lettera: manca), nel senso di ciò che fa nascere,
ma anche nel senso che è ciò che il mancare (torti, soprusi) fa crescere, fu
interpretata dai greci in vario modo: vita, animo, coraggio,
ardore, sdegno, collera, ira. Nella parola θυμός (thymòs)
furono desunti dei significati positivi: animo e coraggio, ma
anche sdegno, collera, ira come qualcosa che, crescendo in
noi, porta allo scatto per irritazione.
Inoltre, con (thymos) θύμος (si
noti la diversità dell’accento), i greci indicarono: timo (da collegare
al profumo che cresce) e verruca, in quanto escrescenza. Ancora,
da θύω: sacrifico ricavarono: (thyma) θῦμαθῦματος: vittima, conio latino che rimanda all’animale
che si sacrificava, probabilmente perché, con l’incipienza della gravidanza, si
facevano dei sacrifici. La radice (thym) θυμpassò nella cultura italica
e servì per formare la parola cosθυμe, con duplice significato di abito e di usanza,
e, quindi, anche come qualcosa di abituale. La perifrasi si può rendere:
è il guscio entro cui è legata la creatura, che si forma dopo la crescita del
flusso gravidico, che rappresenta il mancare. Il costume passò ad
indicare ciò che si porta da sempre, che è buono ed utile, che copre le pudenda,
per cui chi indossa il costume è costumato,chi si scopre è scostumato. Bisogna ricordare che il
costume, come modo di vestirsi, rendeva costumata la persona, a
condizione che indossasse con decoro quanto prescritto. Una donna onorata non
poteva in nessun modo discostarsi da quanto la tradizione, come forma culturale,
imponeva. L’acconciatura dei capelli, il fazzoletto che legava la testa e tutti
gli altri indumenti facevano parte di quanto prescritto. Pertanto, ogni deroga
determinava disdoro e infamia, intaccando profondamente la moralità
della persona. Le resistenze odierne delle donne islamiche a togliere il velo
sono indizio di un’esigenza morale, per cui l’obbligo, per legge, di non
coprirsi la testa è una sopraffazione dell’Occidente liberale. È
dimostrato che, nel momento in cui avviene un processo di integrazione
culturale, anche l’abbigliamento cambia.
Opera di Vinicio Verzieri
Tornando alla radice θυμ, bisogna
ricordare che, prima, era stata acquisita nella cultura latina e aveva dato
luogo, attraverso la metafora del grembo, al verbo tum-eo: sono
gonfio, sonoirritato, ribollo, sono tronfio.
Si vuole, qui, ribadire che la desinenza -eo, in greco e in latino,
indica che cosa consegue al pastore in un determinato contesto del processo
formativo. Con tum-eo volle dire che, quando, per irritazione, si
gonfia (si ribadisce il crescere della radice), sbotta.Da tum-eofurono dedotti il
sostantivo tum-or tumoris: rigonfiamento, collera, furore,
orgoglio, superbia, tumefattoe l’aggettivo tum-idus:
tumido, gonfio, turgido, ribelle. Il significato
corrente di tumore, come massa tumorale, fu dedotto da rigonfiamento. Verosimilmente, la parola tomolo,
in dialetto: tummin’, fu coniata dalla radice θυμ. Con questa parola si indicò
la capacità massima che può raggiungere il grembo materno. Il tomolo, inoltre,
da misura di capacità, divenne anche misura agraria. Il concetto di sdegno,
collera, ira serpeggia in alcuni significati dedotti. Infatti, dalla
radice thym fu dedotto tumulto, da cui, poi, tumultuoso e tumultuare.
La crescita del flusso gravidico genera il tendere (la spinta in avanti), a
causa del mancare. Si tratta del convincimento del pastore: ogni spinta in
avanti determina il recupero da parte della creatura di qualcosa che le manca.
Qui, però, il mancare venne letto alla lettera: spinta per il
soddisfacimento di un bisogno indilazionabile, che genera il tumulto. Quando la
fame (il mancare) morde, c’è l’assalto ai forni di manzoniana memoria. Da θυμ fu dedotto contumax contumacis:
contumace (come renitente alla citazione in tribunale o alla sentenza
del giudice), ribelle, ostinato, superbo, inflessibile.
Il contumace, per usare una vividissima immagine oraziana, si rispecchia in: odi
profanum vulgus, et arceo (odio il volgo profano, che tengo lontano
da me) ed è la metafora dell’essere in formazione, che, tutto solo, sordo a
tutto, incurante di tutto, imperterrito, continua a crescere, fiero e superbo
del suo stato. Anche i greci parlarono della giustizia in cui è presente uno
solo dei contendenti, che definirono (e ereme dike) ἡἐρήμη (δίκη) (di
colui che è nell’eremo e, quindi, impedito) e indicarono il contumace alla
stessa stregua dei latini: (auth-ades) αὐθ-άδης: altero, arrogante, spietato, ostinato,
metafora della creatura in grembo, che, tutta sola, prosegue nel suo obiettivo,
orgogliosa di quello che fa.
Opera di Vinicio Verzieri
Inoltre, da θυμ fu mutuata contumelia:
offesa sull’onore, oltraggio, insulto, villanie,
che rappresenta il modo di esprimersi di chi è preso dalla collera per
l’oltraggio subito. Il vocabolario Treccani la definisce così: “Frase
offensiva, che costituisce intenzionalmente ingiuria o villania ecc. “. La contumelia
consisteva in ciò che cresceva a tal punto fino a legare, costipando
all’interno tutto il malanimo e causando una violenta fuoruscita di improperi.
Le contumelie, da cui contumelioso, venivano e vengono proferite durante
le liti, che sono la conseguenza di risentimenti compressi e lungamente
incubati, per torti subiti, veri o presunti. Alcuni litigi sembrano immotivati,
se non si conosce il clima pessimo dei rapporti, per cui una scintilla fa
divampare incendi, alimentati da odi malcelati. I latini avevano definito la
lite: ciò che determina l’esplosione per i torti subiti. I greci
la definirono, quasi allo stesso modo, o con (lya) λύα: discordia, contesa
o con la parola (eris eridos) ἔριςἔριδος, che
fu anche mitizzata come dea della Discordia, come colei che, durante lo
scorrere, nel rapportarsi con gli altri, legava tutti i torti subiti, generando
discordia e litigi. Quindi, la spinta del grembo,
causata dal mancare, diventa qui, per il pastore, indizio di contrasti e torti
incoercibili. Molto probabilmente il mito delle Erinni, per i latini le
Furie, che rappresentavano la punizione, la vendetta, era conseguente a ἔρις, alle
contese e ai litigi, che avevano causato tanti lutti e tante tragedie.