I
giovani e le risse Abbiamo
il coraggio di metterci dalla parte degli adolescenti? Abbiamo l’umiltà di
ascoltare in silenzio? Abbiamo l’intelligenza almeno di provare a capire le
loro ragioni? No, non abbiamo il coraggio di ascoltare le storie dei ragazzi,
di metterci nelle loro situazioni e tantomeno a capire le ragioni delle loro logiche.
No, non facciamo nulla di tutto ciò. Ci siamo dimenticati che anche noi siamo
stati adolescenti o ragazzi ribelli. La chiusura forzata della scuola, dei
centri sportivi, degli oratori e delle altre realtà aggregative hanno fatto
esplodere tutta l’implosione che i giovani si portano dentro, che ai tempi del No
Covid stemperavano o squagliavano con delle battute o pacche sulle spalle. Adesso
non è più così, una frase scritta in chat scatena un susseguirsi di
incomprensioni fino a congegnare una rissa, perché la comunicazione verbale si
interrompe, il linguaggio del corpo è inesistente, non ci sono chiarimenti, non
ci sono sguardi, non c’è empatia, ognuno interpreta a modo proprio un messaggio,
di conseguenza il contenuto viene storpiato e decodificato in maniera errata. I
ragazzi, come vulcani ribollono il magma della rabbia, della delusione dentro se
stessi che senza una via di scampo, ossia sport, scuola, animazione, non
riescono più a controllare. Si attaccano sui social e arrivano perfino a
organizzare incontri in piazza o in strada per “scaricare” tutto il malessere
che li sta governando. Sopraffatti dalla rabbia i giovani non riescono a
scindere quale sia l’azione sbagliata da quella ragionevole, agiscono e basta,
senza pensare alle conseguenze. La scuola e tutte le attività sociali sono un
contenitore dove gli adulti, gli educatori, i docenti cercano di smontare, di
sminuire e aiutano i giovani a comprendere che qualsiasi cosa è risolvibile
senza usare la violenza, e diciamocelo: i ragazzi indirettamente ci chiedono le
regole e mettono gli adulti alla prova. Nei territori della provincia di
Varese, si sta assistendo a degli episodi in cui tanti ragazzi di comuni
diversi si danno “appuntamento” in una città e scatenano tafferugli veramente
pesanti, eventi violenti da far intervenire le Forze dell’Ordine. Allo stato di
fermo emergono delle motivazioni banali che a loro sembrano vitali. La pandemia
ha recluso i giovani in casa, aspetto innaturale. I giovani hanno bisogno di
spazi, di uscire, di ritrovarsi, di andare a scuola, di fare sport. Spazi che
allentano tutta la tensione che si accumula nella fase adolescenziale. Questi
centri diventano “valvole di sfogo” per contenere le energie che traboccano e alleggerire
un giovane insegnando loro il rispetto delle regole, il rispetto dei pari, dell’altro.
Vedere ragazzi chiusi in casa, magari in famiglie non serene, famiglie
disagiate, con genitori non presenti, questi se ne stanno davanti ad un
computer o con un cellulare sempre in mano, non è una bella cosa. Ragazzi soli
e allo sbando, una prova densa che da soli non riescono a fronteggiare. Nella
schizofrenia sociale la scuola e tutte le agenzie formative si vedono come un
posto sicuro, un rifugio tra pari. Fare lezione in Dad? Fare sport in Dda?
Incontrarsi con gli amici in Dad? Festeggiare un compleanno in Dad? Non andare
al cinema o al bar con gli amici? Non ritrovarsi per l’apericena? Ma questa è
vita per i giovani? Rasentano la follia. I giovani vogliono stare tra loro,
vogliono le relazioni e gli amori. Tutti noi, proprio a scuola abbiamo
costruito amicizie, amori, conoscenze che durano nel tempo. Coltivati in
classe, nei bar, nelle piazze, nelle strade, negli oratori. Inoltre in questo
frangente i genitori non sempre sono in grado di seguire i propri figli. Non ne
capiscono di Dad, e i figli se li intortano come vogliono. Ai docenti dicono: prof
non mi va la linea - è rotta la videocamera - non mi funziona l’audio - e tante
altre scemenze, oppure addirittura svolgono altro. Magari svolgessero i compiti!
Di fronte a queste risposte i docenti non hanno nessuna arma, prendono atto,
anche se sanno che non è vero e fanno lezione a dei bollini con l’iniziale del
cognome dello studente.
Teppisti in azione
I genitori ignari di tutto ciò, contattati dai professori,
scoprono delle assenze dei propri figli che anziché connettersi per seguire le
lezioni dormono o giocano al computer. Si fidano ciecamente dei figli. Allora
che dire di questa situazione ingestibile dalle parti interessate? Evitiamo
però di incolpare sempre i genitori. Sovente sono delle brave persone. In
questo periodo di rappresentazioni di sé dovuto ai Social, si passa
immantinente dalla parola ai fatti. Tutta l’implosione aziona qualcosa di
ingestibile da farla diventare una sfida fra due fazioni e individuata la location
centinaia di ragazzi si ritrovano, alla faccia del divieto di
assembramenti, a duellare con catene e mazze. Riprese video, foto e tutto
diventa mediatico. Gallarate, Varese, Busto Arsizio sono diventate le piazze e
le strade dove i ragazzi versano la propria furia sotto forma di violenza. Un
segnale preoccupante per la cittadinanza, le amministrazioni, le famiglie e
tutti gli operatori del settore nel vedere giovani frustati e preoccupati dal
distanziamento sociale che li coinvolge appieno. Avviciniamo
i giovani, parliamo con loro e di loro, e può darsi che si riesca a comprendere
e a capire il forte disagio che stanno vivendo, mostrandocelo con rigurgiti di violenze.
Facciamo dei tentativi per frenare queste condotte deplorevoli.