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giovedì 4 marzo 2021

IL DIBATTITO
di Annitta Di Mineo

 
I giovani e le risse
 
Abbiamo il coraggio di metterci dalla parte degli adolescenti? Abbiamo l’umiltà di ascoltare in silenzio? Abbiamo l’intelligenza almeno di provare a capire le loro ragioni? No, non abbiamo il coraggio di ascoltare le storie dei ragazzi, di metterci nelle loro situazioni e tantomeno a capire le ragioni delle loro logiche. No, non facciamo nulla di tutto ciò. Ci siamo dimenticati che anche noi siamo stati adolescenti o ragazzi ribelli. La chiusura forzata della scuola, dei centri sportivi, degli oratori e delle altre realtà aggregative hanno fatto esplodere tutta l’implosione che i giovani si portano dentro, che ai tempi del No Covid stemperavano o squagliavano con delle battute o pacche sulle spalle. Adesso non è più così, una frase scritta in chat scatena un susseguirsi di incomprensioni fino a congegnare una rissa, perché la comunicazione verbale si interrompe, il linguaggio del corpo è inesistente, non ci sono chiarimenti, non ci sono sguardi, non c’è empatia, ognuno interpreta a modo proprio un messaggio, di conseguenza il contenuto viene storpiato e decodificato in maniera errata. I ragazzi, come vulcani ribollono il magma della rabbia, della delusione dentro se stessi che senza una via di scampo, ossia sport, scuola, animazione, non riescono più a controllare. Si attaccano sui social e arrivano perfino a organizzare incontri in piazza o in strada per “scaricare” tutto il malessere che li sta governando. Sopraffatti dalla rabbia i giovani non riescono a scindere quale sia l’azione sbagliata da quella ragionevole, agiscono e basta, senza pensare alle conseguenze. La scuola e tutte le attività sociali sono un contenitore dove gli adulti, gli educatori, i docenti cercano di smontare, di sminuire e aiutano i giovani a comprendere che qualsiasi cosa è risolvibile senza usare la violenza, e diciamocelo: i ragazzi indirettamente ci chiedono le regole e mettono gli adulti alla prova. Nei territori della provincia di Varese, si sta assistendo a degli episodi in cui tanti ragazzi di comuni diversi si danno “appuntamento” in una città e scatenano tafferugli veramente pesanti, eventi violenti da far intervenire le Forze dell’Ordine. Allo stato di fermo emergono delle motivazioni banali che a loro sembrano vitali. La pandemia ha recluso i giovani in casa, aspetto innaturale. I giovani hanno bisogno di spazi, di uscire, di ritrovarsi, di andare a scuola, di fare sport. Spazi che allentano tutta la tensione che si accumula nella fase adolescenziale. Questi centri diventano “valvole di sfogo” per contenere le energie che traboccano e alleggerire un giovane insegnando loro il rispetto delle regole, il rispetto dei pari, dell’altro. Vedere ragazzi chiusi in casa, magari in famiglie non serene, famiglie disagiate, con genitori non presenti, questi se ne stanno davanti ad un computer o con un cellulare sempre in mano, non è una bella cosa. Ragazzi soli e allo sbando, una prova densa che da soli non riescono a fronteggiare. Nella schizofrenia sociale la scuola e tutte le agenzie formative si vedono come un posto sicuro, un rifugio tra pari. Fare lezione in Dad? Fare sport in Dda? Incontrarsi con gli amici in Dad? Festeggiare un compleanno in Dad? Non andare al cinema o al bar con gli amici? Non ritrovarsi per l’apericena? Ma questa è vita per i giovani? Rasentano la follia. I giovani vogliono stare tra loro, vogliono le relazioni e gli amori. Tutti noi, proprio a scuola abbiamo costruito amicizie, amori, conoscenze che durano nel tempo. Coltivati in classe, nei bar, nelle piazze, nelle strade, negli oratori. Inoltre in questo frangente i genitori non sempre sono in grado di seguire i propri figli. Non ne capiscono di Dad, e i figli se li intortano come vogliono. Ai docenti dicono: prof non mi va la linea - è rotta la videocamera - non mi funziona l’audio - e tante altre scemenze, oppure addirittura svolgono altro. Magari svolgessero i compiti! Di fronte a queste risposte i docenti non hanno nessuna arma, prendono atto, anche se sanno che non è vero e fanno lezione a dei bollini con l’iniziale del cognome dello studente.


Teppisti in azione


I genitori ignari di tutto ciò, contattati dai professori, scoprono delle assenze dei propri figli che anziché connettersi per seguire le lezioni dormono o giocano al computer. Si fidano ciecamente dei figli. Allora che dire di questa situazione ingestibile dalle parti interessate? Evitiamo però di incolpare sempre i genitori. Sovente sono delle brave persone.
In questo periodo di rappresentazioni di sé dovuto ai Social, si passa immantinente dalla parola ai fatti. Tutta l’implosione aziona qualcosa di ingestibile da farla diventare una sfida fra due fazioni e individuata la location centinaia di ragazzi si ritrovano, alla faccia del divieto di assembramenti, a duellare con catene e mazze. Riprese video, foto e tutto diventa mediatico. Gallarate, Varese, Busto Arsizio sono diventate le piazze e le strade dove i ragazzi versano la propria furia sotto forma di violenza. Un segnale preoccupante per la cittadinanza, le amministrazioni, le famiglie e tutti gli operatori del settore nel vedere giovani frustati e preoccupati dal distanziamento sociale che li coinvolge appieno.
Avviciniamo i giovani, parliamo con loro e di loro, e può darsi che si riesca a comprendere e a capire il forte disagio che stanno vivendo, mostrandocelo con rigurgiti di violenze. Facciamo dei tentativi per frenare queste condotte deplorevoli.