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venerdì 12 marzo 2021

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
L’ordine


Il pastore greco, nel formulare la radice ταγ: dal tendere genera/nasce assegnò a sé un tema di lettura del grembo per coniare delle parole, identificative del reale. Molto probabilmente, per rappresentare un aspetto della guerra, aggiunse un delta, con il significato di mancare, che, per pronuncia, trasformò in σ/ς. In tal modo elaborò il verbo τάσσω, con la variante attica τάττω, a cui assegnò i seguenti significati: ordino (metto in ordine), schiero, dispongo, stabilisco, do un comando, comando. Coniò, pertanto, questo verbo, attraverso la seguente perifrasi: si genera il mancare dal tendere (in questo caso: quando la creatura si appresta a nascere). Infatti, il travaglio, che è il mancare per eccellenza, è metafora della guerra.

Quindi, dalla radice, deduce una persona, un capo, che stabilisce tutto ciò che dev’essere realizzato, in modo pedissequo, e, in particolare, le operazioni preliminari. Definito il percorso mentale, da ταγ dedusse (tagos) ταγός: signore, comandante, (taghé) ταγή: ordine di battaglia, (tagheia) ταγεία: comando supremo, amministrazione ecc. Poi da τάσσω formulò l’aggettivo verbale (taktòs) τακτός: ordinato, stabilito, fissato, da cui (tactès) τακτής: ordinatore, da τακτής ebbe tattico, ad indicare chi studia il modo di disporre (l’esercito). Quindi, tatticismo, poi la (arte) tattica e, in tempi moderni, c’è stato chi ha sentito la necessità d’inventarsi la pretattica. Gli italici, inoltre, da τάσσω (stabilisco), pensarono che quel tipo di comando è tassativo, nel senso che in nessun modo si può derogare da, in quanto, in natura, tutto quello che avviene è prescritto. I greci coniarono, inoltre, (taxis) τάξις: ordinamento, disposizione di un esercito, quindi: (syntaxis) σύν-ταξις: organizzazione, coordinazione, a cui, oggi, si dà il significato di organizzazione logica di una frase o di un periodo, quindi (ypo-taxis) πό-ταξις: subordinazione, soggezione; infatti, con ipotassi, oggi, si indica la subordinazione nel periodo. Fu dedotta anche (parataxis) παράταξις: disposizione, che, nel significato odierno, indica la strutturazione delle proposizioni coordinate. C’è sempre da ricordare che il significato alla parola viene assegnato da chi ha strutturato il simbolo verbale e da come si è trasformato attraverso l’uso.



Sul modello della parola greca: (auto-nomia) ατο-νομία: autonomia, posseduta da chi si amministra da sé, furono elaborate parole come tassonomia, termine per indicare, nelle scienze naturali, le classificazioni, che sono ordinate dalla norma/regola, in greco νόμος, che ne stabilisce l’ordine sequenziale. Allo stesso modo sintagma fu coniato per indicare una schiera ordinata con le altre e, in generale, unione ordinata, mentre oggi ha acquisito il significato di un elemento verbale da collegare in modo logico; infatti, in linguistica, dice il Treccani, sintagma si deve intendere: “unità sintattica, di varia complessità ed autonomia, di livello intermedio tra la parola e la frase ecc.”
I latini coniarono il verbo deponente ordior ordiris, orditus sum, ordiri: do principio a, ordisco, faccio una trama, avvalendosi di questa perifrasi: è ciò che consegue per me dallo scorrere il mancare l’andare a generare. Il pastore latino ragionò così: l’inseminazione (il mancare) non solo costituisce l’inizio della realizzazione della creatura, ma ha in sé tutti gli elementi per la creazione. Da questo verbo che enuclea molti concetti, i latini ricavarono ordia prima, quelli che Lucrezio chiamò primordia rerum, che sono appunto gli elementi costitutivi per realizzare una creazione in natura. Altri pensarono al processo per fare, per cui dedussero il principiare (i primordi), altri, nel principiare di un tessuto, intravidero il fare la trama e, quindi, l’ordito e l’orditura. Altri ancora pensarono che, nell’incipit, c’è l’inizio della prima volta, per cui formularono esordire ed esordio.



Poi, seguendo questo percorso, dalla radice ord (dal generare lo scorrere il mancare) e con un altro passaggio logico: va dentro l’andare a legare, fu dedotto ordo ordinis: ordine, disposizione ordinata, successione regolare, fila, serie, centuria, grado (di centurione), classe sociale.
Nel grembo, dopo l’inizio, c’è una sequenza prestabilita, obbligata, che in nessun modo è possibile variare, che apporta risultati eccellenti, che il pastore definì ordine. L’ordine di natura affascina il pastore, che cerca, a suo modo, di attuarlo nel lavoro e nell’organizzazione sociale. Nell’ordo, pertanto, si individuarono anche quelli di gerarchia e di classi sociali, funzionali al mantenimento dell’ordine (ad ordinem servandum) e, quindi, a conservare l’esistente.
La società romana, come quella ateniese e spartana, ebbe un’organizzazione, che prevedeva la costituzione dell’ordine dei patrizi, di quello dei senatori, dei cavalieri, dei plebei ecc., in quanto si riteneva che la ripartizione dei compiti fosse funzionale alla realizzazione del bene comune. Nel tempo, però, questa strutturazione rigida determinò vari conflitti sociali, in quanto il ceto nobiliare, dominante, sottoponeva a vincoli duri le classi subalterne, che non potevano nemmeno aspirare al passaggio di classe.
I latini non assegnarono a ordine il significato di comando, che, invece, fu degli italici. Probabilmente, il significato di impartisco ordini fu acquisito con l’uso, in quanto, per esempio, in “ordinare filium in successionem, si esprime un atto di volontà cogente che implica statuizione. Nel mio dialetto ordine significa, quasi in modo esclusivo, nell’accezione corrente, vincolo iussivo, mentre, per indicare fare ordine si dice: faccio il registro (rassetto e metto ogni cosa al suo posto). La parola registro fu coniata dagli italici ed ebbe, in modo particolare, la funzione di annotare, in sequenza temporale, mettendo al posto stabilito quanto doveva essere ricordato.



Pertanto, i due significati, contenuti in ordine, devono essere contestualizzati, in quanto generano parole omofone. Con l’aggettivo ordinario i latini parlarono delle sequenze solite che si rispettano tutti i giorni, mentre con straordinario indicarono l’inconsueto, l’inusuale, l’evento memorabile. Gli italici coniarono ordinanza, come atto d’imperio dell’autorità. Quindi da chi ha ordinato l’invio di un libro, fu dedotto il sostantivo ordinativo ecc. Non è da escludere che gli italici abbiano ricavato i due significati assegnati ad ordine, sulla base di alcune analogie con τάσσω, che essi ben conoscevano.
Il reale è, quindi, metafora del grembo. Il grembo è anche il luogo del fare, delle realizzazioni, delle creazioni, ma, per fare, occorre che ci sia uno che comanda. Nel grembo, che è il luogo del mancare (del fare quel che è necessario sia fatto), nel senso che si realizza gradualmente ed in modo pedissequo ciò che manca, c’è un capo molto rigoroso (despota/dominus), che prescrive (lega) quel che è necessario fare, in funzione di un completamento perfetto. I greci videro in (archos) ρχος la guida, il condottiero, che è colui che guida per far venire alla luce la creatura. Da ρχος si ebbe, poi, eparca, mentre, in italiano, abbiamo parole come: archidiocesi, archiginnasio, archiatra. Il verbo emanazione di ρχος fu ρχω: precedo, guido, sono a capo, intraprendo, metto mano a, che, a sua volta, generò l’arconte.



Lo stesso percorso logico seguirono i latini, quando coniarono dux ducis, che è colui che non solo guida, ma escogita strategie per portare a meta sicura.
I latini con ìmpero dissero: ordino, comando, prescrivo, che, in un certo senso, è omologabile a τάσσω, in quanto pensarono che la creazione sequenziale e precisa di ogni singola parte presupponga uno che dia puntuali ed inderogabili ordini.
Dal verbo impero fu dedotto imperium: diritto di comandare, prescrizione, autorità, comando. Da ricordare, proprio a supporto di questa tesi, che, in greco, l’avverbio πέρα significa: al di sopra. Poi, da chi ha comandato (imperatus) furono dedotti imperatore e imperativo. Iubeo: ordino, decido, stabilisco, prescrivo esprime significati dedotti da iub: è ciò che si fa per generare (per realizzare) l’essere in formazione; poi, dal participio passato iussus: comandato fu dedotto il sostantivo iussus iussus: il comando.
Gli italici, per indicare l’ordine, come espressione di autorità, coniarono co-mando e co-mandare, che furono dedotti da mandare. Da chi ha il potere di mandare si evince la potestà. Il mandato, nella metafora del grembo, così come il missus dei latini, è la creatura, a cui, nell’intraprendere il viaggio si fanno le raccomandazioni, perché si conoscono i pericoli che deve affrontare. Nel Cosentino, per indicare una persona che, anziché fare, impone agli altri di fare, si usa dire: tiene nu mann’! (il suo modo di essere è mandare!), per non dire: sta sempre a comandare.



In ciò che avviene nel grembo, c’è necessità, nel senso che deve verificarsi necessariamente, anche secondo i tempi stabiliti. Infatti, i latini, quando coniarono stato (chi è stato), fecero riferimento alla creatura in grembo, che è divenuta per come prescritto, nel tempo stabilito di nove mesi. Da ciò dedussero statuo: stabilisco, fisso, determino e, quindi, instituo, constituo, destituo e, finanche, prostituo: pongo davanti, espongo, concetti desunti dal grembo che mette in mostra.
Inoltre, a dictus, in ciò che ho detto, i latini diedero un valore prescrittivo, in quanto con dico la gestante, con l’incipiente segno, preannuncia l’evento, confermato (detto) in modo certo, dopo nove mesi, con la nascita. Coniarono anche il sostantivo dictum (il detto che rimane, da seguire per veridicità e saggezza): asserzione, sentenza, ordine, comando e il verbo dicto dictas: impongo, prescrivo, detto. Poi, da dictatus fu coniato dictator, che, come ben si sa, a Roma, era l’uomo assennato, che, per un semestre, prendeva decisioni necessarie e opportune. A suffragare quanto or ora attestato, si ricorda il significato di edictum: proclama, annunzio pubblico, ordinanza, bando.