URBANISTICA, ECONOMIA E SVILUPPO DELLA CITTÀ di
Marco Vitale
Riflessioni
su alcune domande formulate da “Istituto
Nazionale di Architettura Lombardia” “Le
città della scienza sono cento. Le città ideali sono mille. La città
concretaè una sola. Per riorganizzarla
modernamente non bastano le Piramidi e i Quadrati da diffondere, ancora
vagheggiando primati e purezze formali “dovunque” eccellenti, secondo il credo
internazionalista così caro a Le Corbusier. È necessaria l’attenzione anche al
“mulinello” al “non so che”, non però in una strategia contrapposta di ‘atomi
en peine’ ma integrata da sforzi concettuali adeguati a restituire luogo per
luogo, ambiente per ambiente, l’armonia fortemente differenziata dalla diversa
identità di ogni lembo di terra…”. “La
valutazione a livello scientifico e culturale di tutto questo supporta la
capacità del “recupero” che è insieme maturo progetto anche urbanistico. Se i
tessuti iniziano a riosservarli e ascoltarli come si deve, si scopre che
palpitano, che respirano, che gemono, disseminati di ‘atomi en peine’ in una
assurda contrapposizione con la strategia della razionalità divenuta
razionalismo settoriale e priva di quella flessibilità del reale, che solo può
elaborare, “recuperare”!, armonicamente la terra. Bisogna aprire ogni “città
settoriale” e reimmettere tutto in un gioco globale del territorio moderno,
ridando circolazione al “sangue della città”. “Ma
è sufficiente questo? O comunque è sufficiente una nuova messa a punto
disciplinare della urbanistica? Certamente no. Al lavoro molto più vasto è
chiamato ogni cittadino, dato che quello che è l’unico “sangue della città”
tornerà ad irrorare la salute del contesto territoriale e urbano, quando le
cento città separate delle Scienze e le mille e mille città “ideali”,
dell’opulento soggettivismo contemporaneo, si apriranno all’unica linfa della “città concreta” riconoscendola, anche
intellettualmente, come il vero protagonista, e riprovando insieme, cittadini
della nuova era, la gioia del ritmo che scandisce e insieme libera le
percorrenze dell’uomo dall’interno all’esterno, e dall’esterno all’interno
della sua organizzazione stanziale che, in estensione, presidia oramai tutta la
terra”. (Leonardo
Urbani, La città concreta, Sellerio 1991)
Il
mio interesse per i temi urbanistici è sempre stato molto vivo. Con alcuni
architetti urbanisti ho coltivato una intensa amicizia, reciprocamente
proficua. Si tratta di un interesse che è ovvia e necessaria conseguenza del
mio interesse professionale per lo sviluppo economico, sociale, culturale della
città. Si può immaginare lo sviluppo di una città senza porre al centro anche
un robusto pensiero urbanistico? Senza questo non dico che non ci possa essere
crescita economica, magari anche tumultuosa, ma si tratterà di una pura
crescita economica, disordinata e casuale; sarà crescita di manufatti, magari
belli, ma non sarà crescita della città, cioè del vivere insieme, non sarà un
miglioramento, utile a tutti, dell’abitabilità della città. Ci sarà una specie
di Gela moderna e non Siena. A sua volta il pensiero urbanistico dovrà
attingere a tante altre componenti storiche, culturali, economiche per
interpretare, suggerire e realizzare operazioni che generino sviluppo e non
pura crescita, che sia innovativo ma anche coerente con l’anima della città,
con la sua memoria e con i suoi sogni. Per questo è importante interrogare la
città, ascoltarla, coglierne non solo i bisogni ma anche i sogni, le speranze
dei cittadini, sia quelli espressi che quelli, spesso più importanti, non
espressi. L’urbanista, con la sua esperienza, i suoi studi, le sue tecniche può
aiutarci a vedere prospettive e soluzioni che noi non vediamo o che, addirittura,
per la forte carica innovativa, inizialmente ci disturbano. Ma, a sua volta,
deve dialogare con molti altri, perché è solo dall’incrocio sia dei saperi che
degli interessi che possono emergere le soluzioni più desiderabili; che la
città può ricomporsi.
Prima
del Coronavirus la direzione di marcia di Milano era semplice e abbastanza chiara:
costruire, costruire, costruire; costruire cose belle e ben costruite con
architetti di grande notorietà, preferibilmente internazionali; cose belle e
adatte solo ai ricchi nostrani e ai ricchi internazionali attratti anche da
condizioni di favore; diventare una metropoli europea di successo adatta ai vip
internazionali, magari anche una città per giovani, purché ricchi; e al diavolo
l’urbanistica, la sociologia, la tradizione meneghina, il dialetto, il verde e
simili malinconie.Con i colpi inferti
dal Coronavirus la questione è diventata molto più complessa e incerta e ci
vorrà del tempo per decifrare in quale direzione la città concreta si muoverà. Una
cosa sola è, per ora, certa: la spinta esclusiva verso l’opulenza, verso una
nuova Milano da bere od anzi, secondo le nuove mode, da sniffare, della
quale erano sempre più chiari i segnali, si è spenta. Bisogna cercare nuove
strade, mobilitare nuove energie. Deve ritornare il pensiero e, con esso, anche
il pensiero urbanistico, quello che è stato platealmente assente nel ciclo
concluso, con mala grazia, dal Coronavirus. Dobbiamo ritornare a discutere, a
vagliare ipotesi, a fare scelte. Proporrò quindi, come tema di discussione,
alcune ipotesi. Penso
che, accanto alle attività tradizionali, che riprenderanno gradualmente, Milano
deve fare un grande investimento sulla scienza, sulla ricerca, sul suo sistema
formativo. Può proporsi accanto ai grandi commerci, alla moda, al design, ai
teatri, come grande città delle scienze. La materia prima più importante per un
indirizzo di questo tipo sono i giovani di talento, che Milano deve attrarre e
trattenere.Anche se non sono ricchi. Le strutture di abitabilità per
perseguire questo grande obiettivo e, quindi, gli investimenti da realizzare
sono profondamente diversi da quelli a cui poteva pensare la Milano opulenta
pre-Covid.
Il
secondo grande obiettivo strategico di Milano è quello di diventare realmente,
sotto tutti i punti di vista, città metropolitana, città guida e organizzatrice
della grande metropoli lombarda. Milano si è sino ad ora rifiutata di assumere
la guida di questo sviluppo, ed è stato questo il suo errore strategico più
grande del ciclo che si sta chiudendo. Al di là della sicura insufficienza
della legislazione sulle città metropolitane, Milano doveva e deve, con
decisione, assumere il ruolo di perno di una grande struttura urbana
policentrica (secondo lo schema detto anche di città di città). A questo
compito Milano non può più sottrarsi, perché, fuori da questo schema, non ci
sarà nuovo sviluppo. Per realizzare questo obiettivo ci vuole un pensiero e
quindi anche un disegno urbanistico lucido ed operativo, che indirizzi gli
ingenti investimento che lo stesso richiede (dai trasporti, ai villaggi
studenteschi, a ampi spazi di verde vero e vivibile, a strutture sportive,
peril tempo libero di tutti, a
strutture culturali, sempre più rilevanti).Entrambi questi obiettivi strategici
richiedono un pensiero, ed una visione strategica, investimenti pubblici e
privati significativi di taglio molto diverso da quelli che evoca il progetto
di un megastadio con annessi e connessi al posto di San Siro. Altre e più
penetranti nel tessuto cittadino mi sembrano le priorità. È
nell’ambito di questo quadro generale che cercherò di rispondere alle domande
proposte da In-Arch Lombardia, che riproduco in allegato.
1.Mi sembra che la domanda
sia mal posta. Non dobbiamo chiederci “che tipo di ricaduta sarebbe giusto aspettarsi
sul quartiere oggetto dell’intervento”, ma che tipo di ricaduta dobbiamo aspettarci
sulla città intera e sulla sua strategia generale. Personalmente, alla luce dei due grandi
obiettivi strategici sopra delineati, penso che il progetto San Siro sarebbe
strategicamente errato e fuorviante se non inserito in un progetto globale per
la città e in particolare per questa parte della città. 2.Vorrei sfuggire alla
domanda: San Siro sì o no, in quanto tale. Sono affezionato, come tanti
appassionati di calcio, a San Siro e alla sua lunga e gloriosa storia. Ma non
esiterei a sacrificarlo se ciò fosse utile per realizzare una strategia di
sviluppo di una parte importante della città, che si inquadri anche nel ruolo
di città metropolitana che deve essere creata. Ma il rifacimento di San Siro,
in quanto tale, senza inquadrarlo in una strategia urbanistica globale mi
sembra una sciocchezza. Il Comune di Milano deve avere un proprio pensiero forte
su questi temi, che disegnano e rinnovano parti intere di città e non stare
semplicemente al traino di altri, come ha fatto per l’area post Expo e per le
aree ferroviarie. Il Comune di Milano deve esistere e non semplicemente fare
finta di esistere.
3.Ho recentemente visitato
quella che la domanda chiama area allargata, che comprende al suo interno anche
il QT8 e il Gallaratese. Mi sono reso conto che si tratta di una città nella
città che dovrebbe essere considerata, nel suo insieme, da un proprio progetto
di sviluppo, dall’enorme potenzialità per rendere la città più bella, più
abitabile, più attraente. Se in questo progetto ci sta anche il
riammodernamento dello stadio ben venga. Ma si tratta di partire dalla visione
dell’area allargata e dalle idee vitali per il suo progetto di sviluppo per,
eventualmente, arrivare a San Siro e non fare, come sembra, viceversa. 4.Così e se vi pare! Dove
non c’è pensiero non ci può essere neppure discussione. 5.Alla amministrazione
pubblica chiederei di fare l’amministrazione pubblica, cioè di contribuire a
far sviluppare la città metropolitana nell’interesse di tutti. Agli
sviluppatori non saprei cosa chiedere. Loro fanno il loro mestiere, che conoscono
molto bene e sono, di solito, molto bravi ed efficienti. Io condivido che
l’urbanistica di una grande città non possa essere che un’urbanistica
negoziata. Gli sviluppatori, nel fare bene il loro interesse, sono anche una
forza necessaria e imprescindibile per la città, sia come suggeritori di
progetti che come tramite di risorse finanziarie e operative. Ma non si può
lasciare praticamente a loro solo carta bianca come avviene sempre più spesso,
soprattutto a Milano. Per una corretta urbanistica negoziata bisogna essere in
due ed entrambi bravi. Se ci sono solo gli sviluppatori, il negoziato è finto
ed è velleitario illudersi che essi possano inserire nell’equazione punti di
vista diversi dal loro interesse. 6.L’identità urbana, il
rispetto per la storia e la cultura della città, la conciliazione tra passato e
futuro, la circolazione di quello che l’amico Leonardo Urbani chiamava “il sangue
della città” è essenziale. È un grande valore, serve per essere cittadini e non
semplicemente abitanti.