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mercoledì 7 aprile 2021

ADULTI CRIMINALI E PICCOLI KILLER
di Marzia Borzi

 
La notizia della sparatoria avvenuta a Montichiari alla Vigilia di Pasqua ha lasciati attoniti tutti. Noi che viviamo quaggiù, in questa provincia della Bassa Bresciana, dove generalmente il massimo su cui ci troviamo a discutere sono le corna di qualche vicino, e coloro che ci osservano da fuori abituati a considerarci i più noiosi del Nord sempre impegolati nel lavoro o in discussioni sterili legate alla politica. Quando, dopo poche ore, si è poi sparsa la voce che a sparare era stato nientemeno che un ragazzino di 13 anni, armato da un ventisettenne suo parente per futili motivi legati ad una rivalità in amore, lo stupore si è trasformato in sgomento e quegli aspri confronti di solito incentrati sul poco si sono fatti sempre più accesi. Nell’ordinamento italiano la minore età fino ai 14 è considerata causa di non imputabilità, questo significa che qualsiasi azione commessa sotto i 14 anni non è punibile in quanto prima di quell’età le abilità cognitive non sono ancora considerate totalmente formate. È giusto? È sbagliato? Non sta a noi ergerci da giudici social e decidere che all’età di 12 o 13 anni la vita di una persona possa già essere bollata tra criminalità o rispettabilità. Si ha un bel dire, inoltre, sostenendo che un ragazzino di 12 anni sappia chiaramente dove sta il limite fra giusto e sbagliato allorquando la maggior parte degli adulti oggi non ne ha affatto consapevolezza. A quell’età è facile convincerli che i loro gesti non avranno conseguenze o spingerli a fare qualsivoglia cosa per difendere qualcuno a cui sono legati, a cui vogliono bene. Se considerassimo i bambini pienamente responsabili delle proprie azioni, inoltre, avremmo da ridiscutere anche molti altri reati, primo fra tutti quello della pedofilia e sinceramente non sembra il caso. La via della punizione, dello sbatterli in carcere e buttare la chiave è sicuramente quella più facile, quella che da subito balza in mente per risolvere il problema nell’immediato, eppure non solo non è risolutiva, come molti Stati al mondo dimostrano, ma soprattutto non ci assolve dal lavarci la coscienza sulle nostre carenze, sulle mancanze che da tempo la società, la scuola, le famiglie e i Media hanno messo in luce nei confronti dei più giovani. La questione è sempre la stessa: cosa trasmettiamo noi adulti ai ragazzi? Generalmente che conta solo la propria realizzazione, i propri desideri, il proprio interesse personale, che il proprio “io” non deve essere svilito, che bisogna rispondere alle provocazioni sempre e con forza, realizzare ogni nostro desiderio, far valere sempre e comunque le nostre pretese verso gli altri. Nessuno di noi li aiuta, invece, a capire che non è affatto giusto così, che spesso accettare un fallimento aiuta a crescere, che le regole non sono lì per soffocarci o piegarci con la forza ma per crescere dritti verso il cielo, che essere qualche volta perdenti consolida la nostra capacità di raggiungere nuovi obiettivi. Per arginare la violenza giovanile, che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, non corre ergersi a giudici fast food ma studiare con attenzione, conoscere le cause e i processi che portano a determinate situazioni e aver desiderio di prevenirli con obiettivi strategici. Occorre soprattutto far concentrare i ragazzi in azioni utili per sé e per gli altri, cogliere le radici dell'aggressività per aiutarli a capirla, gestirla, eventualmente eliminarla e farli tornare bambini, finalmente, supportati da un mondo che non li vuole far crescere in fretta a tutti i costi.