Mentre pandemia e tecnologia tendono ad allontanarci,
Corrado Alvaro ci ricorda che umanità è vicinanza, anche alla natura. Noi non sappiamo più, quando mangiamo il
pane e beviamo il vino, che cosa rappresentino questi beni nei paesi chiusi
dove un campo che va a male porta il malanno a un’intera popolazione, come se
fuori di quel giro d’uomini e di quell’intreccio di vicoli scuri tagliati dal
sole bianco, non vi fosse altro grano o altro vino nel mondo. Difatti non ve
n’è perché non possono comperarne. Una gallina che fa molte uova diventa famosa
nella contrada, e così un albero che fa bei frutti o un campo prospero. Un
pezzo di pane che cade in terra, chi lo raccatta lo bacia.Queste cose o si sono vedute o ci vuole un
genio per immaginarle quali sono: la povertà è un fatto immenso, superiore a
ogni fantasia umana, il dramma più profondo dell’uomo e la stessa storia
dell’umanità, delle sue lotte e delle sue guerre.Soltanto gli uomini fra di loro possono soccorrersi
davvero, arrivare dove le leggi non arrivano, e dove, anche se arrivassero, non
potrebbero rimediare che poco; v’è un dolore nel mondo che nulla può
raggiungere se non l’occhio benigno dell’uomo. E le civiltà divengono inumane
quando si rompe questa vigilanza e l’uomo non si accorge del vicino; quando si
vogliono rendere tutti felici in massa, e tutti in particolare divengono
sventurati.