IL VOLO DEL CALABRONE E LA NUOVA SINISTRA di
Franco Astengo
Sarà
ricordato come merita questo volo del calabrone che dura da cinquant’anni. La
storia del “il Manifesto” come esempio unico di presenza politica nella
sinistra e di cambiamento profondo in quelle regole dell’informazione che
sembravano scolpite per sempre: o dalla parte dei padroni o giornale di
partito. Attorno a “il Manifesto”, nato su di un progetto politico compiuto
arrivato ad assumere la dimensione del partito, si sviluppò alla metà degli
anni ’70 un originale confronto sul tema dell’autonomia del giornale al
riguardo della soggettività costituita. Un’autonomia quella reclamata e
praticata dal giornale che coltivava l’ambizione di mantenere intatta la
propria valenza culturale e morale sull’insieme della sinistra italiana ma che
nacque anche, in quel frangente storico, da una non metabolizzata “sindrome
della sconfitta” resa anche emblematica da una certa deriva movimentista. Dopo
travagli e rotture anche dolorose “il Manifesto” assunse una veste di “giornale/partito”
(dal titolo del libro di Massimiliano Di Giorgio) con l’obiettivo di svolgere
una sorta di “moral suasion” sull'insieme della sinistra. Un “giornale partito”
allo scopo della cui definizione di identità può valere ancora l’esempio del 25
aprile 1994, quello della manifestazione convocata dal giornale per segnalare
l’arrivo di un pericolo vero sul terreno della distruzione della democrazia. Quella
degli anni ’70, nel confronto partito/giornale, fu una fase complessa dove si
misurarono contraddizioni reali in quello che era ancora il campo di una “nuova
sinistra”. Siamo in un periodo di rievocazioni: è recentemente uscito il libro
di Simone Oggionni su Lucio Magri e quello curato da Biorcio e Pucciarelli su
Avanguardia Operaia (con un saggio impressionante, se letto con gli occhiali
dell’oggi, di Franco Calamida sulla “Milano Operaia”). Una
“nuova sinistra” da ricordare nell’insieme della sua storia tra gruppi,
partiti, giornali: una “nuova sinistra” progetto politico incompiuto tra grandi
slanci rivoluzionari, chiusure ideologiche inopportune, dibattito di alto
spessore culturale però frammentato sul terreno più propriamente politico. Una
“nuova sinistra” dobbiamo avere il coraggio di ricordarlo condizionata nel suo
percorso dalla sconfitta elettorale del ’76 (ma forse eravamo già oltre il “canto
del cigno”). Per
tutto il periodo a partire dalla chiusura della “repubblica dei partiti” (ben
oltre quindi dalla fine dell’esperienza della nuova sinistra, coincidente con
la fine del PCI e la confluenza di DP in Rifondazione Comunista) “il Manifesto”
ha svolto una funzione fondamentale di raccordo politico/culturale senza però
sciogliere il nodo di fondo. Oggi,
però, è il caso di aggiungere che la necessità del progetto politico appare,
pur nella diversità dei tempi, ancora quanto mai urgente e indifferibile: nel
vuoto in cui ci troviamo “Il Manifesto” potrebbe rappresentare un riferimento
ben oltre una semplice funzione informativa/esortativa o di “ospitalità” del
dibattito. È
ritornato d’attualità l’antico tema del costruire una “nuova sinistra”.