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martedì 4 maggio 2021

Narrativa
L’INSUBORDINATO
di Angelo Gaccione

Graziano Mantiloni
 
Ogni qual volta si affronta un libro di narrativa bisogna tenere a mente le parole del padre della psicanalisi Sigmund Freud: “L’arte è il regno intermedio fra la realtà che frustra i desideri e la fantasia che li appaga”. Basta sostituire al sostantivo generico arte, quello più specifico di narrativa. Non sfugge a questa verità il recentissimo romanzo dello scrittore grossetano Graziano Mantiloni: L’insubordinato. Per un autore come Mantiloni, disarmista convinto come me, come me amico di Cassola di cui cura persino un sito, la fantasia non poteva non virare verso un esito di aperta insubordinazione. È una insubordinazione doverosa quella del protagonista del romanzo di Mantiloni: si chiama Ludovico Tassini, è un giovane soldato di 28 anni di origine toscana e di professione fa il sarto. Il gesto gli costerà la vita, ma non lo degraderà a bestia disumana, anzi, il rifiuto di sparare ad un commilitone, così come gli era stato ordinato da un superiore, lo rende ai nostri occhi ammirevole e ne proviamo simpatia. Tassini era stato scelto a caso, come a caso erano stati scelti i soldati da fucilare, a seguito di una decimazione per punirli di aver ripiegato in ritirata durante un rovinoso assalto nemico. Avevano osato mettersi in salvo per sfuggire alla carneficina. Era il 1° ottobre del 1917 e l’uomo, sposato appena da tre anni, pagherà con la morte l’ardire di aver buttato il fucile per terra affermando che non avrebbe “sparato a un fratello”, come ci informa una pagina di diario del fotografo milanese Arnaldo Foti. Ma andiamo con ordine. Nel romanzo Ludovico Tassini in realtà è un “resuscitato”, un personaggio “fantasma” di cui non si sa nulla. Tutto ruota intorno alla sua figura, ma lui non c’è, non può agire. “Torna in vita” grazie alla caparbia determinazione di Ludovica Venturini, insegnante sessantenne che, all’indomani della morte della nonna Emma Luini, rovistando fra le sue umili “cose”, si imbatte in un pacchetto legato con lo spago. Un ritaglio di una foto di un giovane militare sullo sfondo di un panorama montano innevato e alcune cartoline firmate Ludovico, il nome del padre che sua nonna non aveva mai conosciuto, compaiono sorprendentemente da quell’involto. Erano del bisnonno di cui Ludovica portava il nome, l’uomo che la guerra aveva cancellato e sul cui conto non possedeva né ricordi, né aneddoti. La nonna non gliene aveva mai parlato e lei, ora che non c’era più, si era pentita di non averle fatte tutte le domande che ora le venivano in mente davanti a quelle cartoline e a quella foto del giovane militare così amorevolmente custodite. Nessun dubbio che fosse il suo bisnonno, ma perché di lui non si parlava mai? Com’era possibile che quella vita fosse definitivamente evaporata? Da questo momento in poi Ludovica inizia la sua indagine, determinata com’è a seguire ogni minimo indizio che possa metterla sulle tracce del misterioso antenato. Provvidenzialmente torna a fare irruzione nella vita di Ludovica Venturini un vecchio collega di scuola: il docente di matematica e fisica Lorenzo Mencioni con cui in passato c’era stata una fugace relazione fisica, più che sentimentale. Mencioni sarà determinante per le indagini di Ludovica e nonostante la sua impacciata timidezza, (anzi, forse proprio per questo), e la sua devozione a una donna che non ha mai dimenticato, il lettore riesce a simpatizzare molto di più con lui che con la contorta psicologia un po’ nevrotica di Ludovica.


G. Mantiloni

Un romanzo non si racconta, com’è ovvio. Posso però accennarvi di un paio di sedute spiritiche, di un viaggio sulle Dolomiti fino al monte Castellazzo dove verrà individuato lo sfondo della fotografia che ritraeva il bisnonno, e di un altro a Milano dove miracolosamente Ludovica verrà in possesso di rotoli di pellicole di un prezioso archivio fotografico. Le tessere del puzzle vanno a ricomporsi fino all’esito finale; fino al recupero delle fotocopie di un libro conservato in una biblioteca anch’essa di Milano: autore Arnaldo Foti, fotografo. È lui che ha lasciato tracce nel suo diario di guerra di Ludovico Tassini e della dinamica della sua morte per mano del capitano Del Tagliente, ed è lui l’autore della foto che la nonna di Ludovica aveva fino alla morte custodito. Un gesto eroico quello di Tassini, e Ludovica può andarne fiera. Ma cosa avremmo fatto noi al suo posto? Il romanzo di Mantiloni ci interroga indirettamente anche su questo: avremmo obbedito agli ordini e ucciso degli innocenti o ci saremmo rifiutati rischiando l’insubordinazione e la morte come Tassini? Non dimentichiamo che nel corso della Prima guerra mondiale (il periodo della vicenda di Tassini) furono comminate 750 condanne a morte per insubordinazione, senza contare quelle eseguite senza alcun processo (come prescrivevano le ordinanze militari), e senza contare gli atti di autolesionismo. Il numero dei soldati che si auto-mutilavano usando mezzi e metodi fra i più invalidanti, e persino ricorrendo al gesto estremo del suicidio, è stato molto alto. Incutere paura con la decimazione era il solo modo per le autorità militari di impedire renitenza, ammutinamento e fughe. Fughe da quella che in diverse occasioni ho definito la Grande macelleria.
Il lettore apprenderà che la rimozione della memoria del giovane fante (il suo nome non iscritto neppure nell’elenco dei caduti o dei dispersi) era stata una scelta deliberata. La damnatio memorie doveva occultare il rifiuto di un comando ingiusto e l’ingiusto assassinio che ne era seguito. Ora che tutto era riemerso come da un gorgo profondo, la sua memoria poteva essere riabilitata se non nello spazio pubblico, almeno in quello privato di Ludovica. 
Naturalmente non è il semplice accumulo dei fatti a rendere attraente una storia narrata, ma il modo come il narratore la conduce, l’abilità descrittiva, il clima sentimentale e poetico che sa creare e così via. Mantiloni ha una buona mano e il romanzo si serve di tutta questa perizia creativa. Un solo avvertimento: se vi capita di venire a Milano non cercate né piazza Sperandio né largo Sperandio (la doppia connotazione è una svista dell’autore, un peccato veniale) perché semplicemente non esistono. Ma come ho detto aprendo questa nota, la fantasia dell’autore non si piega ai ricatti della realtà.

La copertina del libro

Graziano Mantiloni
L’insubordinato
Youcanprint Ed. 2021
Pagg. 170 € 14,00
Con una nota di Federico Migliorati