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mercoledì 12 maggio 2021

NON SI RIDE!
di Paolo Vincenti
 


La satira troppo feroce, portata alle estreme conseguenze, può risultare sgradita. Quand’essa tocca alcuni argomenti davvero delicati può rivelarsi di cattivo gusto. Infatti chi parla sempre celiando, chi si burla di tutto e di tutti, finisce che non ha più credibilità, quando parla seriamente. A forza di scherzare, fa la fine del pastorello che gridava “al lupo al pupo”. Oltre a questo, a chi fa satira possono occorrere degli incidenti di percorso. Così è successo qualche giorno fa ai noti comici televisivi Pio e Amedeo nella loro trasmissione “Felicissima sera”, grande successo di Canale 5. Essi sono stati coperti di insulti ed improperi per aver fatto battute sessiste e razziste nei confronti di gay, lesbiche e transessuali. Purtroppo l’argomento è di scottante attualità perché questo nostro Paese non ha ancora sviluppato validi antigeni contro l’omofobia ed epiteti come “ricchione” o “frocio” fanno accapponare la pelle perché richiamano immediatamente odio e violenza, quelli subiti dal popolo Lgbt per via del loro orientamento sessuale. Felice sarebbe un Paese nel quale si potesse scherzare e appellare a cuor leggero un omosessuale con simili epiteti come si fa con un calvo quando lo si definisce “capellone”, senza che ne venga un’offesa al glabro, il quale anzi ne ride per primo. O ancora, come si fa nei piccoli paesi di provincia in cui tante persone sono appellate con il soprannome della propria famiglia, la cosiddetta ‘nciurita, che diventa motivo di sorriso e anzi complicità e rinnovata simpatia con la persona con la quale si ha evidentemente grande famigliarità. In effetti non è così. Far ridere fa bene, ma non ad ogni costo. Pensiamo a quello che è successo qualche anno fa alla rivista francese “Charlie Hebdò” con la sua sgradevole vignetta sul terremoto italiano del Lazio. Molti si sono risentiti, tutti hanno condannato la sfrontatezza e il cattivo gusto dei vignettisti francesi. Un coro unanime di “buuu” ha accompagnato la loro trovata. Nell’immagine, intitolata «Séisme à l’italienne» («Terremoto all’italiana»), le vittime del terremoto che ha sconvolto il nostro Paese venivano paragonate a tre piatti tipici della nostra cultura: «Penne all’arrabbiata», illustrato con un uomo sporco di sangue; «Penne gratinate», con una superstite coperta di polvere; mentre le lasagne erano strati di pasta alternati ai corpi rimasti sotto le macerie. I disegnatori di Charlie Hebdo, che hanno conosciuto una insperata popolarità dopo l’attentato del gennaio 2015 da parte dell’Isis, hanno utilizzato quella gratuita sebbene sanguinosa pubblicità per spararla più grossa. Infatti, prima dell’attentato, ben pochi conoscevano la rivista satirica fuori dalla Francia, ed anche in patria il numero delle vendite non era esaltante. Cattivo gusto per cattivo gusto, allora, i vignettisti francesi avrebbero dovuto fare un monumento ai loro colleghi trucidati, recante come epigrafe una vignetta che raffigurasse la rivista intrisa di sangue con i corpi dei morti a panino fra le pagine e la dicitura: “satira alla francese”. “Effettivamente si tratta di spazzatura, senza alcuna utilità”, scriveva Robert McLiam Wilson, collaboratore della stessa Charlie, “è uno schiaffo in faccia, una provocazione crudele e insensibile. Non raggiunge alcuno scopo qualsivoglia, politico, polemico o morale. È un gigantesco nulla, un vuoto sgradevole e inutile”. E poi si chiedeva “à quoi ça sert?”, che sarebbe la versione francese del latino “cui prodest?” A che serve? A chi reca vantaggio? Vero che alcuni comici non riescono a piegare la propria inclinazione alle ragioni di convenienza e decoro e far tacere la propria natura di sbeffeggiatori e irriverenti. Sappiamo bene che a volte le situazioni più banali e ordinarie possono far nascere il riso e ancor di più le occasioni solenni, le cerimonie istituzionali, gli eventi dolorosi. Un funerale può cagionare un attacco insopprimibile di ridarella, specie ai più cinici e cuordipietra. Così un episodio discriminatorio nei confronti delle classi più deboli o di soggetti svantaggiati può offrire il destro alla satira più bassa per strappare il riso con una battuta facile. In questo caso, però, la satira, oltre a far indignare tutti, manca della sua stessa ragion d’essere, l’ironia, lo sberleffo, e la rete stavolta, proprio il popolo dei social che determina oggi il successo dei personaggi mediatici, si è dissociato da Pio e Amedeo, ha preso le distanze. Questi maledici spiriti dello sghignazzo tanto oltrepassano il segno che finiscono per essere ridicoli ed osteggiati da quegli stessi che poco prima ridevano delle loro malignità. In effetti, se tutto è risibile, anche la battuta infelice, la gag non riuscita, lo sono. Per paradosso, proprio perché è una battuta che non va a segno, essa è banale, scontata, cretina, allora suscita il riso, anzi meglio lo sghignazzo; si ride di chi non fa ridere, si schernisce il ridicolo, lo si sbertuccia, canzona. Sberteggiamo allora i due comici pugliesi!