Pagine

mercoledì 2 giugno 2021

CONFRONTO SULLA CITTÀ
di Marco Massa

Marco Massa

Marco Massa risponde a Giannozzo Pucci
 
Caro Giannozzo
è molto tempo che non ci vediamo e non abbiamo modo di discutere il disastro attuale di Firenze. Ho letto il tuo intervento “Ripensare la città”, ma credo che il piano di Edoardo Detti con quello che sta avvenendo oggi a Firenze non c’entri per nulla, anzi, e che sia gravemente fuorviante implicare Detti nel massacro urbanistico degli ultimi decenni.
Forse oggi il piano del 62 ci appare come un “santino” esposto in vetrina mentre nel retrobottega si combinano gli affari più dannosi per la città, ma non è colpa sua.
 


La concezione del piano era probabilmente “illuminista” e certamente modernista ma al contempo rappresentativa di un periodo preciso: quello della ricostruzione, nel quale le istituzioni pubbliche erano forti e le ipotesi di trasformazione più corrette tentavano di dar senso e forma ad una crescita tumultuosa allora vista come inevitabile.
E infatti il piano Detti si basava sull’iniziativa pubblica sia per la fase di progettazione (tutti gli interventi maggiori erano sottoposti ad un piano particolareggiato di iniziativa pubblica) che direttamente per quella esecutiva (con abbondanza di edilizia pubblica, servizi, attrezzature).
Oggi l’unica idea politica perseguita discende invece dalla convinzione (a voler essere educati) dell’assoluta debolezza/subordinazione da tutti i punti di vista dell’azione pubblica e di conseguenza dalla scelta di svendere tutto all’iniziativa privata, sia la fase di progettazione che quella dell’attuazione e addirittura della cessione della proprietà quando non è privata, come l’ex caserma Vittorio Veneto, il teatro Comunale, la villa Basilewski, e molti altri casi.



Le critiche relative allo svuotamento del centro storico per attuare un disordinato decentramento periferico sono non solo ingenerose ma soprattutto inesatte. I rapporti fra centro storico e resto della città erano già studiati con cura nel piano (con la tutela, le funzioni appropriate, il controllo pubblico dei progetti). Se poi si vuole avere un’idea, un colpo d’occhio, del rapporto con l’intera piana e col parco si può guardare il concorso dell’Università del 71, che mette in forma le ipotesi del piano del 62, dove il disegno territoriale rappresenta bene l’equilibrio fra le componenti dell’area metropolitana dell’epoca.
Naturalmente da parecchio tempo (dalla fine degli anni 70 da quando cioè si è affermata la filosofia del recupero urbano) il piano Detti richiederebbe di essere sostituito ma se queste ipotesi si fossero realizzate quando e come erano state concepite sicuramente oggi Firenze sarebbe una città migliore a viverci e paragonabile ad una città europea contemporanea.
Ma quel piano è rimasto sulla carta e la città che si è realizzata è stata completamente diversa, come tutti sanno, passando da nuovi piani faticosamente rattoppati per decenni e poi da varianti infinite, una storia di effrazioni al Piano del 62 approfondita in mille ricerche e pubblicazioni.
Si deve sottolineare piuttosto in questa storia, dopo l’alluvione del 66, l’ostinato rifiuto di tutte le amministrazioni a predisporre un serio piano per il centro storico mentre si accentuava la pressione del flusso turistico: unico grande centro italiano ad essere privo di uno strumento che avrebbe consentito la difesa dei caratteri ambientali, come dimostrano altre città che ne dispongono come Bologna. Questa lacuna è divenuta una delle cause della crisi dell’intera area.
Quindi attribuire la colpa al piano Detti significa liberare i veri responsabili che sono quasi tutti gli amministratori che si sono succeduti, mentre la vicenda contemporanea si svolge in modi nuovi, indipendenti da quel piano, a un livello molto più basso nei contenuti e nella qualità tecnico-politica come dimostra la vicenda dell’ex Caserma V. Veneto. Ma su questo credo che siamo d’accordo.
A presto. Marco Massa