Marco
Massa risponde a Giannozzo Pucci Caro
Giannozzo
è molto tempo che non ci vediamo e non abbiamo modo di discutere il disastro
attuale di Firenze. Ho letto il tuo intervento “Ripensare la città”, ma credo
che il piano di Edoardo Detti con quello che sta avvenendo oggi a Firenze non c’entri
per nulla, anzi, e che sia gravemente fuorviante implicare Detti nel massacro
urbanistico degli ultimi decenni.
Forse oggi il piano del 62 ci appare come un “santino” esposto in vetrina
mentre nel retrobottega si combinano gli affari più dannosi per la città, ma
non è colpa sua.
La
concezione del piano era probabilmente “illuminista” e certamente modernista ma
al contempo rappresentativa di un periodo preciso: quello della ricostruzione,
nel quale le istituzioni pubbliche erano forti e le ipotesi di trasformazione
più corrette tentavano di dar senso e forma ad una crescita tumultuosa
allora vista come inevitabile. E
infatti il piano Detti si basava sull’iniziativa pubblica sia per la fase di
progettazione (tutti gli interventi maggiori erano sottoposti ad un piano
particolareggiato di iniziativa pubblica) che direttamente per quella esecutiva
(con abbondanza di edilizia pubblica, servizi, attrezzature).
Oggi l’unica idea politica perseguita discende invece dalla convinzione (a
voler essere educati) dell’assoluta debolezza/subordinazione da tutti i punti
di vista dell’azione pubblica e di conseguenza dalla scelta di svendere tutto all’iniziativa
privata, sia la fase di progettazione che quella dell’attuazione e addirittura
della cessione della proprietà quando non è privata, come l’ex caserma Vittorio
Veneto, il teatro Comunale, la villa Basilewski, e molti altri casi.
Le
critiche relative allo svuotamento del centro storico per attuare un
disordinato decentramento periferico sono non solo ingenerose ma soprattutto
inesatte. I rapporti fra centro storico e resto della città erano già studiati
con cura nel piano (con la tutela, le funzioni appropriate, il controllo
pubblico dei progetti). Se poi si vuole avere un’idea, un colpo d’occhio, del
rapporto con l’intera piana e col parco si può guardare il concorso
dell’Università del 71, che mette in forma le ipotesi del piano del 62, dove il
disegno territoriale rappresenta bene l’equilibrio fra le componenti dell’area
metropolitana dell’epoca. Naturalmente
da parecchio tempo (dalla fine degli anni 70 da quando cioè si è affermata la
filosofia del recupero urbano) il piano Detti richiederebbe di essere
sostituito ma se queste ipotesi si fossero realizzate quando e come erano state
concepite sicuramente oggi Firenze sarebbe una città migliore a viverci e
paragonabile ad una città europea contemporanea. Ma
quel piano è rimasto sulla carta e la città che si è realizzata è stata
completamente diversa, come tutti sanno, passando da nuovi piani faticosamente
rattoppati per decenni e poi da varianti infinite, una storia di effrazioni al
Piano del 62 approfondita in mille ricerche e pubblicazioni. Si
deve sottolineare piuttosto in questa storia, dopo l’alluvione del 66,
l’ostinato rifiuto di tutte le amministrazioni a predisporre un serio piano per
il centro storico mentre si accentuava la pressione del flusso turistico: unico
grande centro italiano ad essere privo di uno strumento che avrebbe consentito
la difesa dei caratteri ambientali, come dimostrano altre città che ne
dispongono come Bologna. Questa lacuna è divenuta una delle cause della crisi
dell’intera area.
Quindi attribuire la colpa al piano Detti significa liberare i veri
responsabili che sono quasi tutti gli amministratori che si sono succeduti, mentre
la vicenda contemporanea si svolge in modi nuovi, indipendenti da quel piano, a
un livello molto più basso nei contenuti e nella qualità tecnico-politica come
dimostra la vicenda dell’ex Caserma V. Veneto. Ma su questo credo che siamo
d’accordo. A
presto. Marco
Massa