Rinaldi
in dialogo con un Fiorentino amareggiato. Aseguito dei miei interventi a sostegno di una attenta valutazione
storico-artistica e rispettosa dell’assetto territoriale e geologico per il
recupero dei monasteri di Costa San Giorgio a Firenze, apparsi su Odissea il 10
e il 23 Giugno e i tanti altri articoli di esperti ben più qualificati del
sottoscritto, in materia di arte, architettura e storia cittadina, mi pare
interessante riportare uno scambio che ho avuto sulla questione con un
fiorentino vero, anche se non più residente. Una persona a me molto vicina e
che rappresenta una fonte sicuramente attendibile (ma non rivelabile), col
rilancio di una “vox populi” che merita attenzione anche per i connotati di
sconforto e rassegnazione, in una parola il pessimismo che sembra ormai
pervadere quanti hanno a cuore la città di Firenze, di fronte a certe scelte
degli amministratori. M.Oramai “Florentia” non è
più la mia città da tempo ma ciò non significa che non le sia legato
affettivamente. Già dalle ultime visite ho potuto constatare alcuni segnali
allarmanti. Il mercatino di San Lorenzo con i suoi “Barrocci” è totalmente in
mano a stranieri: africani, cinesi, sudamericani, est europei, così come molti
vecchi negozi tipici e i prodotti in vendita sono di qualità scadente o
contraffatti. Si sente sempre meno parlare “Fiorentino”. Di contro stanno
fiorendo “atelier”, lussuosissimi, delle grandi marche: Armani, Gucci, Prada,
ecc., negozi dove nessun fiorentino “normale” si può avvicinare per le compere.
È vero quanto evidenziato negli articoli di Odissea, stanno plasmando Firenze
per i turisti come fosse un grande resort a scapito dei fiorentini, delle tradizionali
attività artigianali ed anche dell’arte e del paesaggio della città. Hanno
persino snaturato delle normative di legge che fino a poco tempo fa
salvaguardavano il centro storico per quanto concerne le ristrutturazioni.
Prima su un edificio in centro non potevi neanche piantare un chiodo! R.Infatti, è ora che
qualcuno si svegli e si ribelli per la salvaguardia del bene comune. Che non
significa proprietà del Comune (e la sua Giunta), nonostante la pensino a quel
modo da troppo tempo ormai a Palazzo Vecchio e purtroppo in molti altri palazzi
comunali d’Italia. Gli
amministratori dovranno rendersi conto, prima o poi, che sono al servizio dei
cittadini e non viceversa e devono occuparsi del bene comune per rendere la
vita della comunità che amministrano più consona e adatta alle esigenze della
popolazione residente che li elegge di tanto in tanto. E soprattutto nel
rispetto delle leggi di salvaguardia del territorio e dei suoi beni di cui
tutti in Italia si fanno un gran vanto. M.In merito al degrado “mentale”
dei potenti di Palazzo Vecchio, mi viene in mente un episodio avvenuto un paio
di decenni orsono. La pavimentazione di Piazza della Signoria e delle strade
adiacenti, costituita da spesse lastre della tipica pietra-macigno, quando
diventava troppo consumata dal calpestio veniva rinnovata dagli scalpellini che
in loco, seduti a terra, ricostituivano le scanalature per ridare tenuta alle
suole delle scarpe. In una occasione “i cervelloni” decisero che era più
moderno e pratico scalzare le pietre e trattarle in luogo idoneo. Vennero
quindi prelevate e sostituite temporaneamente con pietre nuove, squadrate a
macchina, ricavate da una nota cava. Trascorso qualche tempo, anzi molto, venne
deciso di ripristinare la pavimentazione originale. E qui la sorpresa; gran
parte delle pietre originali (del ‘700) era sparita. Le solite malelingue
dissero che qualche assessore si era rifatto il vialetto della villa in
campagna o le aveva messe in giardino. La citazione in giudizio da parte del
procuratore di Firenze di varie persone incaricate di controllare e dirigere le
lavorazioni per quello che doveva essere un restauro conservativo e si rivelò
invece essere la posa in opera di una copia, quindi di un falso, non portò, per
quanto posso ricordare, alla identificazione certa dei responsabili né ad
alcuna condanna anche se i colpevoli dovevano essere ben noti agli “addetti ai
lavori”. Anche in quel caso, mi sembra di ricordare, l’autorizzazione per
procedere alla sostituzione del lastricato originale con pietre “false” veniva
dagli stessi soggetti che ne avrebbero dovuto tutelare la conservazione ed il
restauro. Quindi, per concludere se già in tempi non sospetti (si fa per dire)
è potuto accadere un fatto del genere, a dispetto dei cittadini oltre che del
buon senso e delle norme vigenti, ora mi aspetto di tutto, anche che
trasformino Palazzo Pitti in un mega albergo superlusso! R.Scommetto però che ti
piacerebbe molto il ripristino della legalità. Magari col ricorso al “restauro
conservativo” della gogna. M.Sì, sì, questa l’è una
bella idea. E mi piacerebbe vedere le facce de’ holpevoli esposte ne’ ceppi
tutt’attorno a Palazzo Vecchio!