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lunedì 28 giugno 2021

VOX POPULI
di Romano Rinaldi

 
Rinaldi in dialogo con un Fiorentino amareggiato.  
 
A seguito dei miei interventi a sostegno di una attenta valutazione storico-artistica e rispettosa dell’assetto territoriale e geologico per il recupero dei monasteri di Costa San Giorgio a Firenze, apparsi su Odissea il 10 e il 23 Giugno e i tanti altri articoli di esperti ben più qualificati del sottoscritto, in materia di arte, architettura e storia cittadina, mi pare interessante riportare uno scambio che ho avuto sulla questione con un fiorentino vero, anche se non più residente. Una persona a me molto vicina e che rappresenta una fonte sicuramente attendibile (ma non rivelabile), col rilancio di una “vox populi” che merita attenzione anche per i connotati di sconforto e rassegnazione, in una parola il pessimismo che sembra ormai pervadere quanti hanno a cuore la città di Firenze, di fronte a certe scelte degli amministratori.
 
M. Oramai “Florentia” non è più la mia città da tempo ma ciò non significa che non le sia legato affettivamente. Già dalle ultime visite ho potuto constatare alcuni segnali allarmanti. Il mercatino di San Lorenzo con i suoi “Barrocci” è totalmente in mano a stranieri: africani, cinesi, sudamericani, est europei, così come molti vecchi negozi tipici e i prodotti in vendita sono di qualità scadente o contraffatti. Si sente sempre meno parlare “Fiorentino”. Di contro stanno fiorendo “atelier”, lussuosissimi, delle grandi marche: Armani, Gucci, Prada, ecc., negozi dove nessun fiorentino “normale” si può avvicinare per le compere. È vero quanto evidenziato negli articoli di Odissea, stanno plasmando Firenze per i turisti come fosse un grande resort a scapito dei fiorentini, delle tradizionali attività artigianali ed anche dell’arte e del paesaggio della città. Hanno persino snaturato delle normative di legge che fino a poco tempo fa salvaguardavano il centro storico per quanto concerne le ristrutturazioni. Prima su un edificio in centro non potevi neanche piantare un chiodo!
 
R. Infatti, è ora che qualcuno si svegli e si ribelli per la salvaguardia del bene comune. Che non significa proprietà del Comune (e la sua Giunta), nonostante la pensino a quel modo da troppo tempo ormai a Palazzo Vecchio e purtroppo in molti altri palazzi comunali d’Italia.
Gli amministratori dovranno rendersi conto, prima o poi, che sono al servizio dei cittadini e non viceversa e devono occuparsi del bene comune per rendere la vita della comunità che amministrano più consona e adatta alle esigenze della popolazione residente che li elegge di tanto in tanto. E soprattutto nel rispetto delle leggi di salvaguardia del territorio e dei suoi beni di cui tutti in Italia si fanno un gran vanto.
 
M. In merito al degrado “mentale” dei potenti di Palazzo Vecchio, mi viene in mente un episodio avvenuto un paio di decenni orsono. La pavimentazione di Piazza della Signoria e delle strade adiacenti, costituita da spesse lastre della tipica pietra-macigno, quando diventava troppo consumata dal calpestio veniva rinnovata dagli scalpellini che in loco, seduti a terra, ricostituivano le scanalature per ridare tenuta alle suole delle scarpe. In una occasione “i cervelloni” decisero che era più moderno e pratico scalzare le pietre e trattarle in luogo idoneo. Vennero quindi prelevate e sostituite temporaneamente con pietre nuove, squadrate a macchina, ricavate da una nota cava. Trascorso qualche tempo, anzi molto, venne deciso di ripristinare la pavimentazione originale. E qui la sorpresa; gran parte delle pietre originali (del ‘700) era sparita. Le solite malelingue dissero che qualche assessore si era rifatto il vialetto della villa in campagna o le aveva messe in giardino. La citazione in giudizio da parte del procuratore di Firenze di varie persone incaricate di controllare e dirigere le lavorazioni per quello che doveva essere un restauro conservativo e si rivelò invece essere la posa in opera di una copia, quindi di un falso, non portò, per quanto posso ricordare, alla identificazione certa dei responsabili né ad alcuna condanna anche se i colpevoli dovevano essere ben noti agli “addetti ai lavori”. Anche in quel caso, mi sembra di ricordare, l’autorizzazione per procedere alla sostituzione del lastricato originale con pietre “false” veniva dagli stessi soggetti che ne avrebbero dovuto tutelare la conservazione ed il restauro. Quindi, per concludere se già in tempi non sospetti (si fa per dire) è potuto accadere un fatto del genere, a dispetto dei cittadini oltre che del buon senso e delle norme vigenti, ora mi aspetto di tutto, anche che trasformino Palazzo Pitti in un mega albergo superlusso!
 
R. Scommetto però che ti piacerebbe molto il ripristino della legalità. Magari col ricorso al “restauro conservativo” della gogna.
 
M. Sì, sì, questa l’è una bella idea. E mi piacerebbe vedere le facce de’ holpevoli esposte ne’ ceppi tutt’attorno a Palazzo Vecchio!